A prima vista sembra una soluzione vincente per tutti: gli editori ottengono una bella somma da Google per il lavoro che gli viene richiesto di svolgere e il colosso di Mountain View aggiunge un nuovo prodotto, dedicato all’informazione di qualità, al suo carniere. Dopo Gran Bretagna, Australia, Germania, Brasile, Argentina, Francia e non solo, Google News Showcase sbarca anche in Italia, dove il 24 marzo sono stati annunciati gli accordi con, tra gli altri, Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, Il Foglio, Libero e realtà native digitali come FanPage, VareseNews, MilanoToday.

Showcase, che in Italia entrerà in funzione nei prossimi mesi, sarà una sezione della app di Google News all’interno della quale le testate stesse cureranno la propria area, dando visibilità ai contenuti per loro più importanti, offrendo contesto alla notizie principali, consentendo di leggere anche qualche approfondimento coperto da paywall e creando così, in definitiva, una sorta di vetrina che garantisce visibilità ai giornali.

L’investimento annunciato da Google è di quelli che saltano all’occhio: un miliardo di dollari distribuito su tre anni e che contribuirà a dare sollievo alle casse (in sofferenza) del Financial Times e della Reuters, Clarin e La Nación, Le Monde e Le Figaro, Der Spiegel e Die Zeit. Sarebbe però un errore pensare a un’iniziativa destinata soltanto ai colossi tradizionali dell’editoria e che taglia fuori le realtà più piccole o locali: le porte di Google sono aperte a tutti. «Questi sono solo i primi accordi, chiunque potenzialmente può farne richiesta», spiega a Domani un portavoce di Google Italia. «Ci sono dei requisiti da rispettare, tra cui quello di essere un sito di notizie, ma questo progetto rende possibile la remunerazione anche di testate medie o piccole».

Quale sia il guadagno per gli editori che partecipano al progetto, a questo punto, è chiaro: Google paga alle testata una cifra non nota (da poche centinaia di migliaia di dollari fino a qualche milione a testa) affinché popolino di contenuti di qualità un prodotto di Big G. Quello che è meno chiaro è che cosa ci guadagni Google, visto che questa sezione (come tutto Google News) non ha pubblicità e quindi non genera guadagni. «Per noi è un modo di offrire un ulteriore prodotto di qualità ai nostri utenti», spiegano sempre da Google. «Un modo per fidelizzarli e incentivarli a continuare a usare i nostri prodotti».

Davvero dalle parti di Mountain View ritengono che la concorrenza (?) sia talmente agguerrita da rendere necessaria la collaborazione delle testate giornalistiche per garantire il successo della suite di prodotti di Google destinati al web?

L’irrilevanza economica per Google

Dal punto di vista del rapporto costi/ricavi, l’iniziativa Google News Showcase non sembra avere senso: se anche si rivelasse un successo straordinario (cosa difficile, visto che si tratta di una sezione che va scovata nella app di Google News), Showcase non porterebbe nemmeno un euro nelle casse straripanti di Alphabet (la società madre di Google). Ma se anche l’obiettivo fosse davvero solo quello di creare un prodotto di nicchia e di qualità, c’era bisogno di spendere un miliardo di dollari per ottenerlo?

«Avrebbero potuto sfruttare i loro algoritmi per creare una raccolta dei migliori articoli delle varie riviste e dare al tutto una bella veste grafica, senza il coinvolgimento di alcun essere umano e redattore», ha scritto per esempio Joshua Benton della Nieman Foundation for Journalism. «Se anche Google avesse proprio voluto ottenere una curatela editoriale, avrebbe potuto assumere decine di redattori e farla fare a loro. Sarebbe sicuramente costato molto meno di un miliardo di dollari».

Senza contare che un lettore desideroso di scoprire gli approfondimenti e i contenuti messi in evidenza da una determinata testata può benissimo recarsi direttamente sul sito o scaricare la app o addirittura andare in edicola e comprare il quotidiano. Per quale ragione dovrebbe aprire Google News, cercare la sezione “Showcase” e poi da lì andare sulla vetrina della testata che, alla fine, rimanda comunque al sito?

Il problema col settore dei media

In this image from video, Sundar Pichai, CEO of YouTube parent Google, testifies during a House Energy and Commerce Committee hearing at the U.S. Capitol in Washington, Thursday, March 25, 2021. (House Energy and Commerce Committee via AP)

Per capire quali siano le ragioni che hanno spinto Google a creare un prodotto tanto costoso quando economicamente irrazionale, bisogna fare un passo indietro. Tra la società fondata da Sergey Brin e Larry Page e le grandi testate è in corso da anni un braccio di ferro.

Gli editori chiedono a Google di spartire con loro una quota dei guadagni, visto che è in buona parte grazie ai contenuti giornalistici che il motore di ricerca (dal quale Google ricava la maggior parte dei suoi 134 miliardi di dollari di fatturato annuo) ha senso di esistere.

Il colosso di Mountain View sostiene invece che, grazie al suo motore di ricerca, Google aiuti tutti i siti indicizzati a generare un’enorme quantità di traffico. Per esempio, solo in Europa i siti degli editori ricevono dal motore di ricerca 8 miliardi di visite al mese.

Chi ha ragione? Difficile a dirsi, ma generalmente i tentativi di regolamentazione sono andati nella direzione auspicata dagli editori. L’articolo 15 della direttiva UE sul copyright sostiene, per esempio, che le società tecnologiche debbano pagare per poter mostrare estratti da “pubblicazioni di carattere giornalistico”, eccetto che si tratti di “singole parole o estratti molto brevi di pubblicazioni di carattere giornalistico”.

Gli estratti utilizzati dal motore di ricerca e da Google News sono sufficientemente brevi o sono invece troppo lunghi? Dipende da cosa decideranno le varie nazioni europee, che hanno tempo fino al giugno di quest’anno per trasformare in legge la direttiva Ue. Ma i rischi peggiori sono stati in parte disinnescati proprio grazie alle intese siglate in Europa per Google News Showcase, che – si legge nel comunicato ufficiale – «tengono in considerazione i diritti previsti dall’Articolo 15 della Direttiva europea sul copyright».

È un po’ quanto avvenuto anche in Australia, dove lo scontro tra Google ed editori che ha preceduto il varo della legge che impone alle piattaforme di pagare per l’utilizzo di contenuti giornalistici è stata superato proprio grazie agli accordi stretti da Google.

Il progetto Showcase è quindi una risposta a questi tentativi di regolamentare la situazione. E lo conferma anche Google: «Noi riteniamo che uno dei principi del web sia la gratuità dei link: pagare per i risultati mostrati dal motore di ricerca sconvolgerebbe il significato della ricerca», spiega sempre un portavoce di Google Italia. «Questo non vuol dire che non vogliamo pagare gli editori, anche tenendo in considerazione le richieste giunte per la remunerazione dei diritti connessi. Per molti editori europei, Showcase soddisfa le richieste contenute nella direttiva copyright». Gli accordi prevedono infatti che le testate coinvolte rinuncino a ogni ulteriore pretesa nei confronti di Google.

I tentativi del passato

Che Big G sia ben disposta a pagare gli editori, e a supportare il mondo del giornalismo in generale, non è una novità: lo dimostra anche la Google News Initiative attraverso la quale Mountain View ha destinato 300 milioni di dollari per “aiutare il giornalismo a prosperare nell’epoca digitale” (supportando singoli progetti innovativi).

Cos’hanno in comune i vari modi con con cui Google finanzia l’editoria? Prima di tutto, che a dettare le condizioni è sempre lei, non gli editori o i legislatori. In secondo luogo, che è Google a scegliere con chi collaborare e anche quanti soldi ciascun partner riceverà (senza divulgarlo).

Per Google, in fondo, un miliardo di dollari non è la cifra pazzesca che può sembrare. Se manterrà i risultati attuali, nei prossimi tre anni il colosso della Silicon Valley farà profitti per oltre 120 miliardi di dollari con un fatturato complessivo di circa 540 miliardi.

In questo contesto, l’investimento in Showcase ne esce drasticamente ridimensionato, soprattutto visto che si tratta di una cifra versata una tantum (potrebbe benissimo non essere confermata nel 2024) grazie alla quale Google riesce ad arginare i tentativi degli editori di ottenere un compenso sistematico e regolare.

Cos’è meglio: versare un miliardo di dollari oggi o rischiare di dover pagare una piccolissima quota ogni singola volta che qualcuno clicca su un link su Google, sul quale vengono eseguite 5,6 miliardi di ricerche al giorno? L’investimento di Google sembra più che altro uno strumento utile a siglare una tregua con gli editori, offrendo loro le agognate compensazioni, ma alle condizioni di Google, ottenendo titoli positivi sui quotidiani e arginando i tentativi di regolamentazione dei vari governi.

Se si considera la razionalità economica dell’iniziativa, si arriva alla conclusione che Google News Showcase non sia veramente un prodotto. Assomiglia molto di più a una complicata manovra di pubbliche relazioni.

© Riproduzione riservata