Anche l’Italia, dopo tanta attesa, ha ora una strategia per l’intelligenza artificiale (Ia). E adesso bisogna correre, sfruttando i miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), seguendo le linee del «programma strategico» italiano per l’Ia 2022-2024, approvato a fine novembre dal consiglio dei ministri.

Secondo gli esperti internazionali, infatti, l’intelligenza artificiale sarà motore della quarta rivoluzione industriale. Ossia quella successiva alla grande trasformazione avuta con i computer e internet.

L’importanza dell’intelligenza artificiale

Il Parlamento europeo, in un suo rapporto, ha sottolineato che, secondo «la maggior parte degli studi», l’intelligenza artificiale «avrà un impatto economico significativo». Accenture prevede che entro il 2035, l’Ia potrebbe raddoppiare i tassi annuali di crescita economica globale, con un forte aumento della produttività del lavoro (fino al 40 per cento).

Beneficio ottenuto grazie a tecnologie innovative che permettono una gestione più efficiente del tempo della forza lavoro e a un aumento dell’automazione in molti settori. Peraltro si tratta di una tendenza già accelerata dal Covid-19 in alcuni ambiti come la sanità e la logistica.

Ebbene, dopo essere arrivata in ritardo sul treno di internet, sottovalutata dalle aziende e dalla politica per decenni, l’Italia ora è ben posizionata per perdere anche quello dell’intelligenza artificiale. Forse l’ultimo disponibile per restare nella classifica delle principali economie globali.

I ritardi italiani

Lo stesso «programma strategico» italiano (curato dal ministero dell’Università e della ricerca, da quello dello Sviluppo economico e da quello per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale) non nasconde i numerosi ritardi e i punti di debolezza del nostro paese.

Se da una parte abbiamo una community molto attiva e buone università in ambito dell’Ia, il nostro mercato è minuscolo – solo il 3 per cento di quello europeo per investimenti secondo le stime 2020 del Politecnico di Milano.

La ricerca è frammentata e gode di pochi investimenti pubblici e privati. «Mentre la formazione di nuovi talenti in Italia è a livelli adeguati, l’attrazione di profili dall’estero è scarsa, con pochi ricercatori qualificati che si trasferiscono per lavorare in Italia. Fino a ora nessuna strategia dedicata è stata efficace a favorire un flusso consistente di ricercatori e professionisti stranieri», si legge nel programma, che denuncia anche un «divario di genere significativo».

«Un sondaggio del 2020 di CINILab AIIS National Assembly tra i suoi membri mostra che solo il 19,6 per cento dei ricercatori di Ia sono donne, rispetto a quasi il 50 per centro nelle Stem (Science, technology, engineering e mathematics ndr) in generale». Pochi anche i brevetti italiani in questo campo.

Ma in ritardo è lo stesso piano nazionale italiano sull’Ia, come nota Stefano Da Empoli, presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com), che ha fatto parte del primo gruppo di esperti chiamati nel 2018, dal governo di allora, per definire una strategia nazionale.

«L’allora ministro dello Sviluppo economico, Luigi di Maio, aveva fissato a giugno 2019 la data per un nostro piano; cambi di governi e disattenzione politica hanno rallentato moltissimo il processo, facendo dell’Italia un caso a livello europeo», dice Da Empoli. Francia e Germania si sono dotate di una strategia già nel 2018.

Forse anche il Covid-19 ha contribuito a rallentare tutto. Ma al tempo stesso la pandemia ha confermato la necessità della trasformazione digitale per la tenuta economico-sociale di un paese.

Fatto sta che il governo guidato da Mario Draghi ha creato un nuovo gruppo di esperti e ha varato, in poco tempo, l’attuale piano, «molto forte e completo», riconosce Da Empoli.

I contenuti del piano

Il piano prevede 24 azioni politiche per rafforzare la formazione, le competenze, la ricerca e diffondere le applicazioni di intelligenza artificiale.

Non ci sarà un centro nazionale di ricerca di base a applicata, sul modello dell’Alan Turing Institute britannico, presente nelle prime versioni della strategia. Al suo posto, una cooperazione rafforzata tra i diversi dipartimenti universitari e centri di ricerca.

Si prevede di aumentare dottorati e corsi di lauree in materie Stem; finanziare la ricerca; sostenere start up in quest’ambito; introdurre crediti di imposta e voucher alle aziende che si dotino di queste tecnologie e figure professionali attinenti.

C’è anche il progetto di creare una piattaforma nazionale di dati utilizzabili per migliorare algoritmi e relativi servizi. Come fare? Soprattutto con i fondi del Pnrr. E con alcuni fondi minori, come quello della Scienza.

Secondo Da Empoli l’attuazione del piano sarà la sfida maggiore. E anche Giovanni Miragliotta, professore del Politecnico di Milano e uno degli esperti consultati dal governo, è d’accordo.

Il piano infatti non indica ancora di preciso quanti miliardi assegnare a questi obiettivi. «Una delle principali sfide sarà l’articolazione temporale degli interventi e il potenziamento delle eccellenze – dice Miragliotta – trovando un equilibrio tra la necessaria velocità di utilizzo delle risorse e l’altrettanto necessario presidio dei risultati».

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