Appena entrato nella “social lobby” virtuale, mi sono trovato circondato da uomini e donne digitali che chiacchieravano tra di loro in un ambiente privo di gravità. Mentre i videogiocatori che li controllavano erano probabilmente seduti sul divano in qualche angolo del mondo, i loro avatar fluttuavano nel vuoto o si tenevano attaccati a un qualunque appiglio, interagendo tra loro in inglese. Pochi secondi dopo essere entrato in questa zona destinata al relax di Echo Vr – un videogioco sportivo in cui si compete con altri gamer in una sorta di pallamano futuristica a gravità zero – qualcuno mi si è piazzato davanti per fare conoscenza. Notando il mio spaesamento, ha deciso di farmi uno scherzo: mi si è lanciato contro e mi è passato attraverso, lasciandomi per un secondo senza fiato.

Quando si sperimenta la realtà virtuale è facile fare esperienze di questo tipo che, soprattutto in epoca di Covid-19, ne mostrano immediatamente le potenzialità. Quale momento migliore per trascorrere del tempo in compagnia e immersi in un’arena spaziale – o sulle montagne russe, in uno scenario horror, su un ring di pugilato o qualunque sia l’ambiente che più vi incuriosisce – che durante una fase delle nostre vite in cui siamo obbligati a stare il più possibile chiusi in casa?

La mancata crescita

L’ultimo anno all’insegna della pandemia avrebbe dovuto essere il momento d’oro per la realtà virtuale e per le varie aziende – Oculus, Sony, Htc e altre – che su questa tecnologia stanno scommettendo dal 2016. Nel primo trimestre del 2020, società di analisi come Idc avevano in effetti confermato le aspettative, prevedendo una crescita nella vendita dei visori Vr (virtual reality) superiore del 30 per cento rispetto all’anno precedente. Le cose sono andate molto diversamente: secondo la società di analisi Omdia, nel 2020 sono stati venduti 6,4 milioni di dispositivi per la realtà virtuale, una crescita di un modesto sei per cento rispetto all’anno precedente (per fare un confronto, il mercato degli smartphone a quattro anni dall’introduzione dell’iPhone cresceva del 60/70 per cento su base annua).

Nel complesso, il fatturato della vendita dei giochi in realtà virtuale ha di poco superato il miliardo di dollari, una percentuale minima degli oltre 160 miliardi raggiunti dal settore dei videogame nel suo complesso. Non solo: dal 2016 a oggi, Sony ha venduto circa 5 milioni di Ps-Vr (visori per la realtà virtuale da collegare alla console) rispetto ai 115 milioni di Playstation 4. Numeri che forse spiegano per quale ragione il colosso giapponese non abbia ancora annunciato la nuova generazione di dispositivi Vr (nonostante il recente lancio della Playstation 5) e anche perché Microsoft, fino a questo momento, non stia pianificando di affiancare un visore per la realtà virtuale alla sua Xbox. «Stiamo rispondendo alle richieste dei nostri clienti. E per il momento nessuno ci chiede la realtà virtuale», aveva spiegato nei primi mesi del 2020 il responsabile di Xbox Phil Spencer.

I limiti per l’immersione

Un futuro in stile Ready player one, il film di Steven Spielberg in cui la maggior parte della vita quotidiana trascorre in un mondo virtuale, sembra essere oggi ancora parecchio lontano. Ma perché una resistenza così forte nei confronti di una tecnologia che permette di immergersi completamente in mondi virtuali e di vedere documentari mozzafiato girati a 360 gradi (com’è il caso, per fare solo un esempio, di Everest VR)? Prima di tutto, la maggior parte dei visori oggi sul mercato è intralciato dai cavi necessari per collegarli al computer o alla console; inoltre quasi tutti i giochi consentono di muoversi nei mondi digitali solo utilizzando i joypad: limiti che impediscono di sentirsi davvero immersi in ambiente virtuale e ci ricordano invece costantemente di essere nel soggiorno di casa. Un altro ostacolo è invece economico: per supportare la realtà virtuale servono computer dalle prestazioni molto elevate e costosi visori da connettere al Pc (Vive Cosmos di Htc costa per esempio 800 euro). Più economica la Psvr di Sony (300 euro), a cui si aggiunge però il prezzo della Playstation e che comunque non è ottimizzata per l’ultima generazione della console giapponese.

Oculus

Sia l’ostacolo del prezzo sia quello rappresentato dai cavi sono però stati superati dal nuovo Quest 2 di Oculus (azienda di proprietà di Facebook), il cui prezzo parte da 350 euro ma che non richiede di essere collegato a nulla: basta indossare il visore e si può cominciare a giocare. Una caratteristica che permette di sfruttare al meglio – soprattutto per chi ha case spaziose o un giardino – videogiochi come Superhot, uno sparatutto in prima persona che permette di muoversi liberamente, con le proprie gambe, all’interno degli scenari digitali e di lanciarsi fisicamente dietro le barriere virtuali per proteggersi dal fuoco nemico. Quanti esemplari di Quest 2 (lanciato a ottobre 2020) siano stati finora venduti non è noto, si sa però che i preordini sono stati cinque volte superiori rispetto alla versione precedente e che dalle parti di Facebook si è registrata una certa soddisfazione. «Quest 2 ha superato, in termini di utenti attivi mensilmente, i numeri della precedente versione in meno di sette settimane e sempre più persone lo stanno utilizzando per giocare con gli amici, restare in forma e collaborare con i colleghi», ha spiegato in un comunicato il responsabile dei Reality labs di Facebook, Andrew Bosworth.

Non è un caso che Bosworth abbia menzionato la possibilità di restare in forma e di collaborare con i colleghi, perché sono proprio le nuove frontiere su cui Oculus sta puntando. Supernatural è infatti il nome di un servizio in abbonamento che permette di fare esercizi di fitness immersi nella realtà virtuale, mentre nuove applicazioni pensate per il mondo del lavoro, come Spatial, consentono di collaborare da remoto con i colleghi come se ci si trovasse nella stessa stanza, condividendo anche lo schermo dei computer.

In tempo di smart working e di palestre chiuse, l’obiettivo è di espandere l’uso quotidiano della realtà virtuale oltre i soli videogiochi o documentari a 360 gradi. Non sarà facile: nonostante i progressi e le nuove applicazioni sperimentali, i visori per la realtà virtuale sono ancora oggi dei mattoni ingombranti, difficili da tenere in testa per un tempo prolungato e il cui utilizzo può facilmente provocare nausea. Per quanto condividere uno spazio virtuale con i colleghi possa essere curioso, l’utilizzo dei classici Zoom o Slack è molto più semplice e funzionale. La realtà virtuale, inoltre, estranea e isola completamente dal resto del mondo, rendendo difficile usarla a lungo in un contesto familiare e impossibile condividere l’esperienza videoludica con gli amici (senza dimenticare il rischio di travolgere il cane o qualche soprammobile). Camminare su un’asse di legno sospesa nel vuoto, dimenticandosi di essere in realtà nel proprio soggiorno e preparandosi fisicamente all’impatto nel momento in cui si perde l’equilibrio e si precipita, è un’esperienza da brividi che probabilmente una parte crescente della popolazione vorrà sperimentare.

Le sale giochi

Ma è davvero la casa il luogo migliore in cui affrontarla? Secondo alcuni esperti, la realtà virtuale è più adatta a essere utilizzata in spazi appositi, progettati per sfruttarne al meglio le caratteristiche e per condividere l’esperienza con gli amici. In poche parole, questa tecnologia potrebbe avere le carte in regola per dare nuova vita alle sale giochi, invece che essere utilizzata nel chiuso delle proprie abitazioni.

Le potenzialità della realtà virtuale sono pari solo ai limiti che finora ne hanno ostacolato il successo. Sebbene la fiducia nei confronti di questa tecnologia sia elevata, resta l’incognita del tempo necessario affinché raggiunga il vero successo: «Non avverrà quest’anno e nemmeno il prossimo», ha affermato Jim Ryan, ceo di Sony Interactive Entertainment. «Ma a un certo punto i tempi saranno maturi. Noi ci crediamo».

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