Cosa succede quando si abusa di una tecnologia ancora non matura? Nel caso delle auto autonome, la risposta potrebbe venire dai vari incidenti che hanno coinvolto i proprietari di Tesla che hanno fatto eccessivo affidamento su Autopilot, il software installato sulle auto elettriche dell’azienda fondata da Elon Musk. Per quanto Autopilot rappresenti probabilmente la tecnologia di guida assistita più evoluta tra quelle già in commercio, si tratta appunto – come sottolineato dalla stessa Tesla – di un semplice assistente e non di vera e propria guida autonoma. Il nome potrà forse trarre in inganno, ma quando si utilizza Autopilot è sempre necessario restare al posto di guida, con gli occhi sulla strada e le mani sul volante.

Promesse tradite

Sono gli stessi incidenti avvenuti negli ultimi anni a dimostrarlo: nel febbraio 2020, un impiegato di Apple è morto dopo che la sua Tesla si è schiantata contro una barriera mentre lui giocava ai videogiochi; pochi mesi prima una persona è stata invece multata dopo essere stata beccata a dormire mentre l’auto viaggiava da sola in autostrada; recentemente, due persone sono morte a Houston dopo lo schianto della Tesla, in un incidente dalla dinamica ancora poco chiara. Più in generale, su YouTube si sprecano i video in cui i proprietari riprendono dall’interno le auto che si guidano da sole senza nessuno al volante.

Il fatto che comportamenti di questo tipo possano avere esiti drammatici è il più chiaro indicatore di quanto la guida veramente autonoma, in cui è possibile lasciare il volante all’intelligenza artificiale in qualunque situazione, sia una tecnologia ancora molto lontana dal concretizzarsi.

E pensare che, stando alle promesse del passato, le self driving cars avrebbero dovuto già essere realtà: nel 2015 lo stesso Elon Musk aveva garantito che le sue Tesla sarebbero state completamente autonome entro il 2017. L’anno fatidico è stato poi rinviato al 2019 e infine ancora al 2020, senza che nessuna di queste date venisse mai rispettata.

Musk non è un caso isolato: nel 2016, l’allora ministro dei Trasporti statunitense dichiarò che nel giro di cinque anni ci sarebbero state auto autonome ovunque, riecheggiando le promesse che venivano fatte un po’ da tutte le realtà del settore.

Il 2021 è arrivato, ma di auto autonome che circolano liberamente su strada ancora non c’è traccia. Peggio ancora, Uber – che puntava ad automatizzare la flotta entro il 2025 – l’anno scorso ha venduto la sua divisione di self driving cars alla startup Aurora per 4 miliardi di dollari, la metà di quanto venisse valutata nel 2019. La società britannica di noleggio auto con conducente Addison Lee, che prometteva di invadere Londra con i cosiddetti “robotaxi” entro il 2021, ha invece abbandonato nel marzo dello scorso anno la sua partnership con la società di auto autonome Oxbotica.

Successi, ma senza esagerare

Qualche successo, comunque, c’è stato: Waymo, la società di Google valutata 30 miliardi di dollari, ha annunciato l’ottobre scorso che in una porzione della città di Phoenix è ora possibile sfruttare liberamente la sua flotta di taxi autonomi.

07 May 2018, US, Mountain View: A self-driving car made by Google's sister company Waymo is on the road for a test drive. The car is a rebuilt minivan of the model Chrysler Pacifica by Fiat Chrysler. Photo by: Andrej Sokolow/picture-alliance/dpa/AP Images

Dando uno sguardo alla capitale dell’Arizona si capisce perché sia proprio questa una delle poche città in cui le auto autonome stanno diventando realtà: gli ampi viali, le strade che corrono parallele e perpendicolari e lo scarso traffico sono tutti elementi che facilitano di molto la vita delle self driving cars.

Altrettanto fanno le condizioni climatiche: in una città desertica dove il sole splende sempre (in media ci sono 17 giorni di pioggia l’anno), i sensori montati sui robotaxi non rischiano di avere problemi di visibilità a causa della pioggia, di farsi confondere dalle foglie trasportate dal vento o di andare in tilt a causa della nebbia.

Come reagirebbe invece un’auto autonoma abbandonata tra i confusionari vicoli del centro di Milano, in mezzo ai motorini che sfrecciano a Roma, sotto la pioggia di Londra o nel traffico di Istanbul? Per il momento, nessuna startup ha nemmeno osato sperimentare i suoi veicoli nel centro delle complicatissime città europee.

Fino a pochi anni fa, sembrava fosse però solo una questione di tempo: dopo aver iniziato la sperimentazione in metropoli dalle ampie corsie stradali e buone condizioni climatiche, si sarebbero gradualmente conquistate le competenze necessarie a guidare anche negli ambienti più caotici. E invece è proprio in questo cruciale passaggio che le intelligenze artificiali alla guida delle self driving car stanno dimostrando di avere più difficoltà del previsto.

Strade troppo umane

Per quanto le strade siano generalmente progettate per essere ambienti ordinati e regolari, ciò che avviene al loro interno è tutto tranne che prevedibile. Auto parcheggiate in doppia fila, motorini che sfrecciano ovunque, biciclette in contromano, pedoni che attraversano quando meno ce lo si aspetta: quando si guida in città, gli imprevisti sono la norma. Con l’esperienza, noi esseri umani impariamo ad affrontarli senza troppe difficoltà (ma mettendo in conto la possibilità di sbagliare e di fare un incidente).

Per le intelligenze artificiali è molto diverso. Gli algoritmi di deep learning basano infatti il loro comportamento su calcoli statistici. Per imparare a portare a termine un determinato compito devono prima analizzare centinaia di migliaia di dati ed esercitarsi in una lunghissima serie di tentativi ed errori. Per farla semplice, a furia di venire travolto (in ambienti virtuali) quando passa con il rosso o di investire i pedoni che attraversano sulle strisce, il software di intelligenza artificiale impara a fermarsi nei punti in cui è necessario farlo. Ma è possibile individuare per via statistica il modo in cui affrontare correttamente ogni situazione che si verifica nel reale traffico cittadino, dove le incognite, gli imprevisti, gli eventi inattesi e le infrazioni sono all’ordine del giorno? Come ha recentemente ammesso il responsabile per la guida autonoma di Volvo Marcus Rothoff, «la casualità dei comportamenti non può essere gestita dalla tecnologia di oggi».

I tanti ostacoli incontrati non devono però far sottovalutare gli enormi progressi compiuti in questo settore, grazie al quale oggi i normali assistenti alla guida, montati su un numero sempre crescente di automobili, sono in grado di fornire avvisi sulla base dei cartelli stradali incrociati, di frenare all’improvviso in caso di necessità, di parcheggiare da soli, di svegliarci se abbiamo un colpo di sonno e anche di restare all’interno della corsia se chiaramente segnalata.

La guida semi-autonoma è già realtà. Contemporaneamente, non si fermeranno le sperimentazioni e la ricerca della guida completamente autonoma, anche per via della quantità di denaro riversato in questo settore.

Le principali startup hanno ricevuto finora finanziamenti per 7,5 miliardi di dollari, ai quali vanno aggiunti gli enormi investimenti di Google, Amazon, Apple e altri colossi dell’industria automobilistica. La speranza è che, anche grazie a questi fiumi di denaro, sarà possibile sviluppare le tecnologie necessarie a superare ostacoli che si sono dimostrati molto più ardui del previsto. Quali siano i tempi, però, nessuno osa più prevederlo: «Non avverrà in sei mesi, ma nemmeno ci vorranno 50 anni prima che non si debba più guidare per andare al lavoro», ha per esempio spiegato in un podcast il Ceo di Zoox (startup di auto autonome recentemente acquistata da Amazon per 1,3 miliardi di dollari).

05 November 2019, US, San Francisco: A Zoox robot car is on a test drive. Photo by: Andrej Sokolow/picture-alliance/dpa/AP Images

Più di sei mesi, meno di cinquant’anni. Una previsione che, nella sua vaghezza, rende l’idea di quanto sia cambiata l’aria rispetto agli audaci pronostici a cui eravamo abituati.

E invece, cosa possiamo aspettarci nell’immediato futuro? È probabile che i software più evoluti di guida autonoma nei prossimi anni permetteranno di lasciare il volante almeno sulle strade meno caotiche, come possono essere essere le autostrade con traffico scorrevole, e che i robotaxi si diffondano in ambienti controllati come campus universitari, grandi ospedali o aeroporti. Per tutto il resto, possedere una patente sarà fondamentale ancora per molto tempo.

© Riproduzione riservata