Rapido riassunto: il 4 aprile scorso, Elon Musk ha rivelato di aver acquistato il 9 per cento di Twitter, facendo salire il prezzo delle azioni del 27 per cento. Poco dopo, gli è stato offerto di entrare a far parte del consiglio d’amministrazione: Musk ha inizialmente accettato ricevendo anche una lettera di benvenuto da parte dell’amministratore delegato Parag Agrawal.

Lo scorso weekend Musk ha però improvvisamente cambiato idea decidendo di non prendere più parte al cda, forse dopo aver scoperto che ciò gli avrebbe impedito di conquistare più del 15 per cento delle azioni e che avrebbe limitato la sua libertà di twittare tutto ciò che gli passa per la testa.

È trascorso qualche giorno ed ecco l’ultima novità: Elon Musk ha annunciato di volersi accaparrare il 100 per cento di Twitter e ovviamente ritirare la società dalla Borsa, offrendo 54,2 dollari ad azione (il 38 per cento in più rispetto a prima che tutta questa storia iniziasse, ma molto meno del record di 77 dollari ad azione raggiunto nel febbraio 2021).

Come si intuisce, le ultime due settimane sono state particolarmente complesse per Twitter, che adesso si trova alle prese con la (tentata) scalata totale da parte dell’uomo più ricco del mondo.

Se avesse successo, quest’impresa metterebbe la piattaforma che più di ogni altra contribuisce a plasmare l’agenda politica, mediatica e comunicativa occidentale – nonostante i suoi 217 milioni di utenti impallidiscano di fronte a Facebook, Instagram, TikTok e perfino Snapchat –,  nelle mani di una sola persona. E non una persona qualunque, bensì l’imprenditore più imprevedibile, ambiguo e sopra le righe della nostra epoca.

Quarto potere 

E che cosa farebbe Musk con il suo giocattolino valutato 43 miliardi di dollari? «Il paragone più vicino potrebbe essere quello con magnati della stampa del Diciannovesimo secolo come William Randolph Hearst, Joseph Pulitzer e il personaggio immaginario di Charles Foster Kane (il protagonista di Quarto potere, ndr), che usavano i loro quotidiani per fini personali, per sensazionalizzare gli eventi e per perseguitare i loro avversari», ha scritto Shira Ovide nella sua newsletter OnTech.

Di sicuro il fondatore di Tesla, SpaceX, Neuralink e altro ancora, ricorda più questi personaggi spregiudicati di quanto non faccia venire in mente il suo arcirivale Jeff Bezos, che ha finora garantito al Washington Post, di cui è proprietario, una completa libertà editoriale (come dimostra il modo in cui questo quotidiano ha coperto le tante e importantissime polemiche sul trattamento dei lavoratori all’interno di Amazon).

Certo, i social media sono delle realtà molto diverse dalle tradizionali testate giornalistiche. Una differenza che hanno sempre tenuto a sottolineare, soprattutto quando si trattava di giustificare la (conveniente) politica del laissez faire nei confronti dei contenuti più controversi, estremi, cospirazionisti e violenti che per lungo tempo ha contraddistinto quelle che si autodefinivano “piattaforme neutrali”: luoghi che offrono a tutti la possibilità di esprimersi senza essere responsabili del modo in cui questa opportunità viene sfruttata.

Libertà di espressione

Ci sono voluti anni a base di teorie del complotto, suprematisti bianchi e assalti al Campidoglio per far sì che Facebook, Twitter, YouTube e gli altri si assumessero le loro responsabilità nei confronti dei contenuti che ospitano, intraprendendo finalmente una politica di moderazione dei contenuti più controversi, violenti ed estremi.

Da questo punto di vista, la conquista di Twitter da parte di Elon Musk sarebbe un enorme passo indietro. Lo ha confermato lui stesso, spiegando di essere convinto che la «censura su Twitter» ne stia intralciando le potenzialità e stia facendo venir meno il suo ruolo di «pubblica piazza de facto», che dovrebbe tutelare senza limiti la libertà d’espressione.

Da notare che la libertà d’espressione non è mai parso un valore sacro per Musk che, come riportano Quartz e The Nation, ha nel tempo licenziato un impiegato di Tesla che aveva postato su YouTube una sua critica al sistema di assistenza alla guida della società di auto elettriche e un’ingegnere donna che sempre in Tesla aveva denunciato una «pervasiva cultura di molestie», oltre ad aver cercato di far tacere un impiegato nero che aveva accusato alcuni colleghi di razzismo.

È così che si comporta una persona che considera sacra la libertà d’espressione? O forse è come si comporta chi vuole fare tutto quello che gli pare con il suo giocattolino preferito senza che nessuno possa mettergli i bastoni tra le ruote?

Il ritorno di Trump

Esistono già altri social network nati per protestare contro la “censura” sulle principali piattaforme: Gab, Parler, Gettr o Truth Social (da poco fondato da Donald Trump). Il filo che lega tutte queste realtà è soprattutto uno: sono popolate quasi esclusivamente da utenti e contenuti di estrema destra, che usano la “libertà d’espressione” per dare sfogo a discorsi fascisti, nazisti, razzisti, sessisti e compagnia.

«Ben poche persone vorrebbero il loro feed saturato da pubblicità truffaldine di criptovalute, proposte di reclutamento da parte di terroristi o molestie rivolte ai bambini», scrive ancora Shira Ovide. «E nessuno è sicuro di che forma prenderebbe un Twitter che non deve rendere conto a nessuno se non a Elon Musk».

Una cosa, però, è venuta in mente a chiunque: se l’accusa a Twitter è di essere una piattaforma che non lascia libertà d’espressione e che ricorre indiscriminatamente alla censura, c’è sicuramente una persona che aspetta solo che la scalata di Musk abbia successo: Donald Trump, che a rigor di logica dovrebbe tornare attivo su Twitter – dove prima della messa al bando contava 88 milioni di follower – il giorno dopo l’eventuale passaggio di consegne.

La ricetta giusta

A parte la questione relativa alla libertà d’espressione, finora poco si sa della strategia di Elon Musk per Twitter, che durante una tempestiva intervista ai Ted 2022 si è limitato a dichiarare di «non considerarlo un modo per fare soldi» e «di non essere minimamente interessato all’aspetto economico».

Per il resto, nei giorni scorsi ha soltanto ventilato di introdurre la modifica ai tweet anche dopo la pubblicazione e di voler cambiare almeno in parte il modello di business, oggi basato quasi interamente sulla pubblicità.

Qualche altra informazione si può ricavare dalla lettera alla Sec (l’equivalente della nostra Consob) con cui ha presentato la sua proposta finanziaria: «La società non potrà mai prosperare né adempiere all’imperativo sociale della libertà d’espressione nella sua forma attuale. Twitter ha un potenziale straordinario, io sarò in grado di liberarlo».

La sensazione è che quindi Musk sia l’ennesimo imprenditore – dopo Jack Dorsey, Ev Williams e Dick Costolo (e senza dimenticare i tentati acquisti da parte di Salesforce e anche Disney) – convinto di avere la ricetta per far crescere la base utenti di Twitter, che sarà anche il social preferito da giornalisti, imprenditori e politici (da cui la sua straordinaria influenza), ma è poco utilizzato nel mondo reale.

Twitter, finora, non è sicuramente stato gestito al meglio e ha più volte dato la sensazione di essere un social che le prova tutte senza azzeccarne una. Anche dal punto di vista finanziario – nonostante i netti progressi degli ultimi anni – non ha mai raggiunto risultati neanche lontanamente paragonabili a quelli dei principali rivali. Ma è davvero un problema? È davvero necessario che anche Twitter diventi una macchina da decine di miliardi di dollari di profitti? Deve per forza inseguire il pubblico di massa visto che questo è già conteso da colossi come Facebook, Instagram e TikTok?

Forse il social network dei 280 caratteri non ha bisogno di rivoluzioni che rischierebbero di snaturarlo, ma di una guida stabile in grado di apportare gradualmente le poche migliorie davvero indispensabili (per esempio, aumentare l’engagement anche degli utenti che non hanno centinaia di migliaia di follower) e di evitare che le energie vengano disperse in una sequenza di sperimentazioni fallimentari (da ultimi i fleet, l’ennesimo clone delle storie).

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Il piano B

L’arrivo di Musk rischierebbe di creare soltanto ulteriore confusione. Sempre che possa davvero comprare Twitter, visto che – per essere l’uomo più ricco del mondo – l’imprenditore di origine sudafricana ha poca liquidità (3 miliardi di dollari, i restanti 256 del suo patrimonio sono principalmente in azioni Tesla e altri asset finanziari) e non è detto che riesca a trovare i partner in grado di supportarlo. Lo ha ammesso lui stesso sempre parlando al Ted 2022, durante il quale ha affermato di non essere «sicuro di riuscire a comprare Twitter», ma di avere comunque un non meglio specificato «piano B».

Probabilmente, è il caso di augurarsi che il “piano A” non vada a buon fine e che una piattaforma dotata di una tale influenza sulla nostra società occidentale non finisca nelle mani di un uomo solo, il cui obiettivo – più che una presunta “maggiore libertà d’espressione” – sembra essere quello di controllare a piacimento il social network preferito.

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