Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana


Il silenzio di Stefano Bisi non può ritenersi un fatto isolato, essendosi riscontrati altri atteggiamenti similari, piegati al silenzio, e, per di più, anche quando i fatti nascosti abbiano assunto astratto rilievo penale.

Nel contesto dell’ispezione disposta dal gran maestro Raffi sulla “Rocco Verduci”, infatti, era emerso, come accertato dalla documentazione in sequestro, che un magistrato onorario, appartenente alla predetta loggia, aveva chiaramente denunciato, ma soltanto in ambito massonico, una prima vicenda, risalente al dicembre 2010, riguardante le pressioni da egli subite ad opera di due suoi confratelli affinché si adoperasse per intervenire sul giudice monocratico del tribunale di Locri al fine di ottenere, in favore dei figli di uno dei due, sottoposti a un procedimento penale per ricettazione, la derubricazione del reato.

Vale la pena aggiungere che il massone che sollecitava l’intervento del magistrato onorario in favore dei propri figli indagati, era un medico della Asl di Locri, poi sciolta per mafia, nonché figlio di un noto boss ‘ndranghetista, mentre il massone che lo accompagnava, per sostenerne la richiesta, era un soggetto che, all’epoca di fatti, svolgeva un ruolo direttivo nell’ambito della “Rocco Verduci”.

Più tardi si verificava un similare episodio, ancor più significativo. Dai documenti ispettivi risulta infatti che, intorno al mese di aprile 2012, il predetto magistrato onorario fu ulteriormente sollecitato, da un altro dei suoi fratelli di loggia, affinché intervenisse ancora, riservatamente, presso i magistrati della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria al fine di perorare la causa di un terzo massone, già consigliere della Regione Calabria, avendo questi saputo che, in quel momento, nell’ambito di una indagine antimafia, naturalmente coperta dal più rigoroso segreto, si stava vagliando la sua posizione.

Vale la pena aggiungere, anche in questo caso, che il massone che si stava prodigando, presso il magistrato onorario, in favore del politico, già si era prestato, nei confronti di quest’ultimo per far ammettere nella loggia un nuovo bussante, figlio incensurato di un soggetto tratto in arresto per associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione “Saggezza” della Dda di Reggio Calabria.

Non vi è dubbio che la sollecitazione non andò in porto o non diede i frutti sperati, atteso che, da lì a un mese, nel maggio 2012, nell’ambito dell’operazione “Falsa politica”, l’ex consigliere regionale fu tratto in arresto unitamente ad altri 13 soggetti a vario titolo accusati di essere contigui alla “locale” di ‘ndrangheta di Siderno, e poi condannato a 12 anni di reclusione per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. con sentenza non ancora definitiva.

Orbene, coerentemente con quanto evidenziato nei paragrafi precedenti, rileva l’atteggiamento della gerarchia calabrese e nazionale del Goi dinanzi alla segnalazione di tali gravi fatti. Vero è che sotto la granmaestranza di Raffi queste vicende, a differenza di quanto accaduto con l’avvento di Bisi, contribuirono alla sospensione della “Rocco Verduci” per “ inquinamento malavitoso”. Tuttavia, né gli ispettori dell’epoca, né il responsabile calabrese, né la struttura centrale del Goi ritennero opportuno, anzi doveroso, informare le autorità civili – non vi è traccia di alcuna forma di segnalazione - degli evidenti indizi di violazione delle norme penali. E nemmeno da parte del magistrato onorario risulta alcuna denuncia, nonostante la sua qualifica di pubblico ufficiale.

Il vincolo di solidarietà, dunque, non solo consentiva agli esponenti mafiosi di potere contare, in quanto massoni, perfino dei servigi contra legem del confratello magistrato, ma anche sul silenzio di questi e degli altri venuti a conoscenza delle vicende.

Tutto doveva rimanere all’interno del circuito della massoneria e l’agire massonico si è qui atteggiato pericolosamente ad ordinamento separato dello Stato.

Le circostanze accertate, peraltro solo una parte del compendio probatorio, conducono necessariamente ad una conclusione.

Quando la segretezza massonica, con i suoi corollari, finisce per sconfinare dai rituali esoterici, per atteggiarsi ad ostacolo alla conoscenza da parte dello stesso Stato, non solo si mina, in un sistema democratico, il pilastro della trasparenza intesa come anticamera del controllo sociale, ma si crea un humus particolarmente fertile all’infiltrazione mafiosa.

Se la realizzazione, o il tentativo di realizzazione, dei programmi criminosi, infatti, avviene in un contesto riservato, chiuso ad ogni interferenza statale, ciò non può che agevolare i disegni mafiosi che rimangono fisiologicamente sottotraccia e, per di più, ammantati dai valori massonici e tutelati dalla privacy riconosciuta alle associazioni di diritto privato.

Ma vi è di più. Quando la massoneria, nonostante la consapevolezza del pericolo che, nel suo seno, possano trovare composizione interessi di dubbia liceità, mantiene la propria chiusura, evitando la pubblica denuncia di chi alla massoneria attenta, conserva talune usanze, consone ai momenti storici in cui furono introdotte e invece inaccettabili con l’avvento della democrazia, che consentono la strumentalizzazione di chi nella massoneria persegue finalità diverse da quelle filantropiche; non si preoccupa di opporsi alla colonizzazione mafiosa con un sistema di controlli reali, non può che ritenersi che essa è tollerante nei confronti della mafia.

Probabilmente, un atteggiamento diverso, magari accompagnato da una modernizzazione degli ordinamenti massonici, attraverso un’apertura all’esterno e, soprattutto, un rapporto non conflittuale con le leggi dello Stato, gioverebbe già alla stessa massoneria perché si abbatterebbe quel diffuso pregiudizio nei suoi confronti e, soprattutto, ridurrebbe il rischio della formazione nel suo stesso ambito di pericolose zone grigie.

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