L’ipotesi dei meloniani è puntare alla Lombardia, ma il voto non è imminente. Timori per le Marche, Acquaroli rischia di perdere. L’ex sindaco di Pesaro Ricci, dopo il successo delle europee, è avversario temibile. Ma anche Decaro in Puglia sembra imbattibile
La partita delle regionali si complica sempre di più nel centrodestra. In una dura intervista a Libero, il presidente del Veneto Luca Zaia ha rivendicato, nonostante la sentenza costituzionale che gli inibisce un nuovo mandato, la regione alla Lega. In pole position c’è Alberto Stefani, segretario regionale che Zaia ha sostenuto solo in extremis e che viene considerato molto vicino a Matteo Salvini. Fratelli d’Italia, che in regione conta il triplo dei voti dei cugini leghisti, è in ambasce: da un lato la base reclamerebbe lo scranno del palazzo della regione, dall’altro c’è la piena coscienza che l’umiliazione a livello locale non gioverebbe agli equilibri interni della maggioranza a Roma.
La certezza è che con Zaia, volenti o nolenti, bisognerà scendere a patti: sua è la maggioranza relativa in regione, sua la decisione su quando si andrà a votare. Lui punta alla primavera 2026, come indicherebbe la legge regionale, l’opposizione spera invece che succeda già a ottobre. «Bypassare gli elettori è un errore sempre, pensare di imporre da Roma una governance ai veneti lo è doppiamente», ha ripetuto Zaia a Libero, nonostante ormai sia chiaro che tutti i ragionamenti del centrodestra passano dal confronto tra i leader. Una certezza, tuttavia, sta nel fatto che l’investitura del nuovo candidato di centrodestra – che a meno di sfaceli sarà anche il prossimo presidente di regione – dovrà arrivare dal “doge”.
La partita è complicata e il centrodestra dovrà riunire il tavolo entro fine settimana per decidere non solo le sorti del nord, ma anche quelle di Marche, Campania, Toscana e Puglia. Se le partite in Puglia e Toscana si danno per perse, in Campania il centrodestra è rassegnato a convergere sul candidato di FdI, Edmondo Cirielli. Ma il vero patema d’animo di Giorgia Meloni riguarda le Marche. Una delle regioni in cui FdI ha investito la propria credibilità con un candidato di stretta osservanza meloniana come Francesco Acquaroli, rischia di esser persa. Il centrosinistra punta infatti sull’ex sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, reduce da un gran successo alle elezioni europee. Consensi che lo incoraggiano in vista della sfida regionale.
Una possibile sconfitta nelle Marche, che farebbe il paio con la difficile candidatura di Edmondo Cirielli in Campania, sempre in quota FdI, metterebbe una certa pressione sul partito di governo. Perdere in centro Italia verrbbe visto come un segnale di arretramento mentre il mancato ottenimento della Campania, anche senza la leadership di Vicenzo De Luca, mostrerebbe la fragilità di una dirigenza locale non all’altezza degli exploit a livello nazionale del partito della premier.
In questo ecosistema così complesso non mancano i personalismi. A partire dalla Lega. Massima pressione viene avvertita in Lombardia, dove i meloniani scaldano i muscoli in vista di un avvicendamento rispetto al presidente Attilio Fontana, il cui scranno potrebbe essere considerato la contropartita rispetto al Veneto.
L’attuale presidente ha tentato di mettere le mani avanti. «La Lombardia non può essere oggetto di scambio. I segretari dei partiti di maggioranza troveranno delle compensazioni alternative ai territori come nomine e incarichi. I territori devono essere riservati ai partiti territoriali», ha detto per rispondere all’ipotesi di uno scambio Milano-Venezia, nonostante il mandato in Lombardia scada tra tre anni.
Il punto, però, è drammaticamente semplice: il partito di Meloni non governa alcuna delle grandi regioni del nord, dove pure è maggioranza relativa, e dare sangue per gli alleati, pur con scranni di peso nelle giunte, rischia di non essere più sufficiente a saziare gli appetiti locali.
Le regioni chiave
Non solo, il rischio che corre Meloni è di perdere tre regioni chiave: le Marche a scapito di Ricci del Pd, riconsegnare la Puglia al centrosinistra con l’eurodeputato Antonio Decaro a cui l’uscente Michele Emiliano ha già spianato la strada, e perdere la Campania in favore di un candidato sostenuto da De Luca, che nel suo territorio conta ancora una gran presa elettorale a fronte di un candidato non imbattibile nel centrodestra.
Il Pd si riunisce oggi per tirare le somme della situazione interna, all’indomani della sentenza della Consulta che ha inibito il terzo mandato di De Luca. Alle 10.30, nella sede di Napoli, saranno presenti due membri della segreteria nazionale, Igor Taruffi, responsabile organizzazione, e Davide Baruffi, che ha delega per gli enti locali, che su mandato della segretaria Elly Schlein incontreranno i leader territoriali, i consiglieri regionali, i parlamentari e gli europarlamentari.
Tra i parlamentari convocati c’è ovviamente anche Piero De Luca, figlio del presidente della Campania, che in questi mesi si è incaricato del ruolo di intermediario. La sfida, del resto, è aperta. Vincere in tutte – o quasi – le regioni al voto potrebbe essere per il centrosinistra il modo di dimostrare che, anche a livello nazionale, una alternativa al governo di centrodestra esiste.
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