Il sistema carcere nel nostro paese è collassato. I suicidi in aumento, gli atti di autolesionismo, il sovraffollamento, gli organici ridotti ne sono la testimonianza evidente. Le violenze all’interno degli istituti poi sono la prova regina di un meccanismo corroso, a tratti barbarico. L’ultimo esempio arriva da Milano, altre torture, un’altra retata, un’altra ondata di indignazione, alla quale seguirà una stagione di silenzio rotta dalla prossima operazione contro agenti infedeli.

Questa volta le vittime sono minori, rinchiusi nell’istituto milanese, Cesare Beccaria. Il tutto è avvenuto proprio nel carcere intitolato al giurista che ha illuminato le coscienze con il suo Dei delitti e delle pene e la storia del diritto contro pena di morte, abusi e torture. Anche lì è arrivato lo sfregio della Costituzione e della dignità umana in un «il clima invivibile» dove si consumava «un’inaudita violenza», usando le parole della procura di Milano.

I numeri dell’operazione raccontano ancora una volta che parlare di mele marce è un buon modo per coprire il virus che ha infettato il sistema, i coinvolti sono la metà dell’organico in servizio nell’istituto.

In manette gli agenti

La giudice, Stefania Donadeo, ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di tredici agenti della polizia penitenziaria, dodici dei quali tuttora in servizio presso l’istituto, e la misura della sospensione dall’esercizio di pubblici uffici nei confronti di altri otto, anch’essi tutti in servizio all’epoca dei fatti.

I reati contestati a vario titolo agli indagati sono un elenco sterminato e raccontano la gravità della vicenda: maltrattamento in danno di minori, tortura, lesioni, falso ideologico ed infine una tentata violenza sessuale ad opera di un agente nei confronti di un detenuto. Un orrore.

L’inchiesta è iniziata con l’invio di segnalazioni ai magistrati da parte del garante dei diritti dei detenuti, Francesco Maisto, e del consigliere comunale David Gentili, informato dalla psicologa del carcere, Laura Pedrazzoli.I magistrati hanno sviluppato l’indagine con intercettazioni e l’acquisizione dei video delle telecamere interne all’istituto, l’operazione è stata condotta dalla polizia di stato e dal nucleo investigativo regionale della penitenziaria.

Gli orrori

I reati raccontano il livello di degrado, ma i fatti ricostruiti ci riportano indietro di anni, alla famosa cella zero che, nel carcere di Poggioreale a Napoli, era in funzione per punire e picchiare. Erano gli anni Ottanta, quarant’anni dopo ci risiamo. Anche al Beccaria c’era una stanza dove avvenivano le violenze ed era ovviamente sprovvista di telecamere. «Dopo di ciò mi hanno portato giù in una stanza singola (...) Mentre mi picchiavano dicevano "sei venuto ieri e fai così, sei un bastardo, sei un arabo zingaro”», racconta una vittima. «In più occasioni prelevavano con la forza i detenuti dalle loro celle e li conducevano all'interno di una stanza dell'istituto priva di telecamere, ove li aggredivano fisicamente in gruppo, anche utilizzando le manette per immobilizzarli», si legge negli atti.

Le vittime sono soprattutto minori, in buona parte stranieri, l’ultimo anello della catena sociale, gli indifesi. Il nove novembre 2023 alcuni agenti aggredivano un ragazzino, A.H.. Uno dei poliziotti chiedeva al detenuto di avvicinarsi al blindo, gli spruzzava lo spray al peperoncino, a quel punto gli agenti entravano e lo picchiavano, «lo insultavano dicendogli "Sei un figlio di puttana, tua madre è una troia, sei un clandestino, ti faccio vedere io come fare il figlio di puttana”; una volta steso a terra, lo ammanettavano, continuando a colpirlo e gli strappavano la maglietta», si legge negli atti. Successivamente veniva portato in isolamento, spogliato, colpito con cinghiate anche sui genitali fino a provocare il sanguinamento, dopo una notte lasciato nudo in carcere, l’indomani «lo colpivano nuovamente in faccia con schiaffi e pugni, insultandolo con termini quali “sei un bastardo, sei un arabo zingaro, noi siamo napoletani, voi siete arabi di merda, sei venuto ieri”».

Le intercettazioni

Nelle intercettazioni si comprende la considerazione nei confronti degli ospiti della struttura da parte degli agenti indagati. «Tu sei il direttore, tu ci devi proteggere, punto. Punto. Per un marocchino di merda che manco parla l'italiano», dice un indagato al collega. «Praticamente Bonavolontà e Talamo si stupiscono che il nuovo direttore “vuole fare sul serio” e vuole acquisire le immagini delle telecamere che riprendono i pestaggi; anziché proteggere loro il direttore si preoccupa di un “marocchino di merda”», scrivono gli inquirenti. Tra le contestazioni spunta un altro possibile reato commesso da un agente. Un minore ha dichiarato di ricordare che a inizio novembre «si era improvvisamente svegliato perché uno degli agenti di polizia penitenziaria gli aveva messo una mano sul sedere mentre gli sussurrava “stai tranquillo voglio solo fare l'amore con te”».

Dopo la sua reazione fisica, nei giorni seguenti, è stato picchiato dalla squadretta di agenti, impegnati nelle spedizioni punitive. Per coprire tutto si agiva con il solito schema, false relazioni e minacce di ritorsioni. Tra gli indagati c’è l’ex comandante della polizia penitenziaria dell’istituto, Francesco Ferone, che risponde anche di falso perché avrebbe sempre coperto gli agenti con relazioni alterate. Dopo la pubblicazione da parte di questo giornale dei video delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, anche per i poliziotti indagati a Milano il problema erano «le immagini». Gli indagati potranno ricorrere al riesame contro i provvedimenti disposti dal giudice e difendersi dalle gravissime accuse.

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