Sul clima i giovani non hanno più voglia di essere relegati al ruolo di “fare i giovani”: è questo il responso del vertice per giovani sul clima organizzato da governo e Onu e concluso giovedì a Milano. Anche Mario Draghi ha parlato del bisogno di includere le nuove generazioni in modo istituzionale dentro questi negoziati. «Non possiamo immaginare nessun risultato in questo campo senza la partecipazione delle persone giovani ai processi decisionali», ha detto all’assemblea di Youth4Climate.

Il presidente del Consiglio ha spesso mostrato di avere ben presente l’ingiustizia generazionale del riscaldamento globale e in mattinata aveva voluto incontrare in Prefettura l’avanguardia mediatica del movimento: Greta Thunberg, Vanessa Nakate e Martina Comparelli.

La conversazione fuori programma di mezz’ora era il momento più significativo della giornata, la foto di copertina per impacchettare l’evento, ma le buone intenzioni del dialogo personale tra il settantenne Draghi e i ventenni sono collassate per la debolezza dell’impianto intorno a loro. 

Distanza abissale

Youth4Climate ha solo finito col misurare la distanza dei giovani dal potere politico che decide sul loro futuro, l’ha resa chiara non solo a quelli che per tutta la mattina hanno protestato bloccando le vie di Milano ma soprattutto a quelli accreditati e invitati ai negoziati.

Dopo tre giorni di tavoli, alcuni delegati si sono accorti di aver davvero attraversato il mondo per prendere parte a una recita didattica. Così all’arrivo di Draghi all’assemblea plenaria, subito dopo il suo incontro in Prefettura con le attiviste, una decina di loro ha protestato con cori e cartelli: sono stati circondati, fatti uscire, gli hanno sequestrato il passaporto e gli hanno impedito di rientrare.

In un’esercitazione scolastica ci sta che quelli indisciplinati vengano allontanati con fermezza, in un vertice diplomatico non potrebbe mai succedere di vedere il passaporto tolto di mano ai negoziatori perché hanno alzato la voce. Nella conferenza stampa di chiusura, il ministro Roberto Cingolani ha spiegato che la durezza insolita della reazione era dovuta ai protocolli di sicurezza necessari per la partecipazione di presidente del Consiglio e della Repubblica.

Le promesse del premier

L’intervento delle forze dell’ordine non è stato un episodio di per sé gravissimo, i passaporti dopo un’ora sono stati restituiti, ma ha sicuramente guastato l’atmosfera di concordia intergenerazionale che Draghi aveva provato a trasmettere con le foto e i video informali del suo dialogo con le tre attiviste.

C’era attesa per la successiva conferenza stampa di Greta Thunberg sul prato del parco di CityLife. L’attivista ha prima voluto verificare la situazione dei compagni, poi si è presentata ai giornalisti delusa, sguardo torvo, si è fatta fotografare insieme agli altri con i polsi affiancati in segno di protesta e non ha voluto dire una parola su Draghi.

A nome del gruppo ha parlato una delle portavoce italiane, Martina Comparelli: «Non ci siamo tirati i pomodori in faccia, c’era buona comunicazione, migliore che con altri leader del passato. Draghi ci ha dato ragione su tutto, si è impegnato a spendere la sua voce al G20 per rafforzare gli aiuti finanziari ai paesi vulnerabili».

Da tempo gli ambientalisti italiani chiedono a Draghi proprio questo, non solo di verificare la transizione ecologica dell’Italia, ma anche di spendere la sua autorevolezza per far funzionare le cose a livello globale. Lui si è impegnato, ha promesso tutto quello che si poteva premettere. Ma il piccolo incidente in sala ha vanificato il suo tentativo  di raffreddare la tensione. Oggi Greta Thunberg sarà in corteo a Milano.

Le richieste degli attivisti

Le richieste dei 400 delegati, cioè l’obiettivo ufficiale di Youth4Climate, sono state formulate e saranno portate alla Cop26 di Glasgow. Ogni singolo politico, da Cingolani ad Alok Sharma, ministro britannico con delega ai negoziati sul clima, si è impegnato pubblicamente a far sì che vengano davvero prese in considerazione nei processi decisionali.

Non è un caso che la più politica delle richieste fosse proprio di partecipare ai tavoli dove si prendono le decisioni: è come se avessero chiesto di fondare la Nazione dei giovani, per partecipare agli eventi sul clima come fanno Stati Uniti, Unione europea, Regno Unito e Cina.

Cingolani e Sharma si sono impegnati affinché questo evento non sia un unicum ma diventi il primo di una serie, da affiancare alla diplomazia sui cambiamenti climatici delle Cop.

Gli attivisti però vogliono di più, non un ruolo dentro un recinto, ma una voce dove le decisioni si prendono davvero. È stata istruttiva la storia raccontata da una delegata irlandese, Saoi O’Connor, che partecipava a un tavolo sul ruolo degli attori non statali e che ha spiegato con chiarezza il metodo seguito per l’evento: «Ci hanno fatto lavorare su un documento già scritto, al quale potevamo apportare soltanto delle modifiche, pensavamo di occuparci dei diritti delle popolazioni indigene, ci hanno fatto lavorare su arte, sport e moda, c’erano delle cose che non potevamo scrivere e sentivamo di non avere molta libertà».

Il risultato è che quel tavolo ha rotto il protocollo, ha deciso di concentrarsi sull’industria delle fonti fossili e ha prodotto la richiesta di un’uscita entro il 2030. I momenti più significativi dell’evento sono stati tutti fughe dal cerimoniale, dal quale si è sfilato spesso lo stesso Cingolani.

Il ministro ha cercato a più riprese un dialogo diretto con i delegati, a molti di loro ha lasciato email e numero di telefono personale, ha chiesto di scrivergli, di contattarlo, ha detto in conferenza stampa di aver imparato molto da loro e di voler continuare a imparare.

Anche Alok Sharma ha sottolineato l’alto livello delle competenze specifiche di molti di questi delegati. È come se i politici avessero scoperto che gli interlocutori avevano qualcosa da dire e da proporre, oltre al radicale senso di urgenza (che già basterebbe).

Tutto quello che si sono conquistati, fuori e dentro il palazzo, i giovani di Youth4Climate lo hanno fatto evadendo da una cornice di sfiducia su quello che erano in grado di offrire a questi negoziati. Gli avevano detto di stare zitti e buoni, per citare i Måneskin, loro hanno fatto altrimenti.

A Milano intanto ha preso il via la PreCop, ultimo giro di negoziati prima della curva più importante: G20 e Cop26. Nessuno sa a che titolo parteciperà la Nazione dei giovani, una volta archiviato il loro turbolento mini-vertice.

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