Per il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, «il mondo è pieno di ambientalisti radical chic, oltranzisti, ideologici: loro sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati».

Sono parole tristemente simili a quelle pronunciate da Salvini nel 2018 quando parlava di «ambientalismo da salotto».

Non sono mai stato appassionato delle dichiarazioni dei ministri, ho sempre pensato che alla vacuità delle parole pronunciate durante un convegno, siano le politiche intraprese, i decreti, le leggi, a fare da cartina di tornasole di questo o quel ministro, di questo o quel governo. 

Ma quelle di Cingolani, per l’arroganza e la presunzione con cui sono state pronunciate, meritano alcune riflessioni. La prima. Cingolani dovrebbe ringraziare gli «ambientalisti oltranzisti e ideologici» se oggi ricopre il ruolo di ministro. 

Se pochi anni fa una giovane e solitaria attivista svedese, al secolo Greta Thunberg, non avesse iniziato uno sciopero settimanale per denunciare gli effetti della crisi climatica, se quella giovane attivista non fosse stata presa a modello da un’intera generazione di giovani che in questi anni hanno riempito le piazze di tutto il mondo – puntando il dito contro le istituzioni (tutte) colpevoli di aver girato la testa dall’altra parte rispetto agli scenari catastrofici di cui oggi parla il Ministro – se non ci fosse stato tutto questo, semplicemente, oggi, non sarebbe inistro della Transizione ecologica, perché non ci sarebbe la consapevolezza dei pericoli legati all’emergenza climatica.

Nel 1962, quando il movimento ambientalista muoveva i primi passi, Rachel Carson scrisse Primavera silenziosa, un libro-denuncia contro i danni  del Ddt e dei pesticidi per l’ambiente e la salute.

Se allora Cingolani fosse stato ministro, sicuramente l’avrebbe bollata come “ambientalista radical chic”, ma è grazie a quella denuncia “ideologica e radical chic” che il Ddt è stato ritirato dal mercato. 

Ed è proprio grazie al variegato arcipelago del movimento ecologista che ci si è potuti liberare dal nucleare in Italia, che l’acqua è rimasta bene pubblico o che gli Ogm siano vietati nel nostro paese.

Immagino che per Cingolani  il ruolo del movimento ecologista debba essere relegato alla pulizia di una strada o alla piantumazione di qualche albero qua e là. Certo per lui sarebbe più semplice: il governo avrebbe così la strada spianata per rilanciare – come sta provando a fare – il  “nucleare pulito” e realizzare il ponte sullo Stretto. 

Fortunatamente esiste una vastità di persone in grado di opporsi a queste politiche. Un movimento fatto di associazioni che studiano, conoscono le norme e, tra le altre cose, sanno che il tanto decantato Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) contiene investimenti che nulla hanno a che fare con la transizione ecologica, come il caso dei pannelli fotovoltaici sui tetti degli allevamenti intensivi pensati per «migliorare il benessere animale».

Se Cingolani pensa che i 36,6 miliardi di euro di costi “nascosti” generati dall’impatto ambientale e sanitario del consumo di carne in Italia, che le di emissioni di CO2 degli allevamenti, la conseguente esposizione a PM2,5 (l’Italia è tra i paesi europei con il più alto tasso di mortalità) possano essere coperti da qualche pannello piazzato sul tetto di una stalla, sappia allora che ci sarà sempre qualche ambientalista a fargli notare questa assurdità. 

Se solo la politica avesse ascoltato il grido di dolore e di rabbia degli “oltranzisti radical chic”, forse oggi non saremmo immersi in una crisi climatica di queste proporzioni. Forse oggi, caro ministro, potremmo fare a meno di un ministero della transizione ecologica. Di certo faremmo a meno di un ministro che al confronto e all’attenzione del mondo ecologista, contrappone l’arroganza del potere.

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