La sigla di X-Files potrebbe essere una buona colonna sonora per il cambio al vertice della diplomazia climatica degli Stati Uniti.

John Podesta, l'uomo che Biden ha scelto come successore dell'inviato per il clima uscente John Kerry, è anche una delle figure pubbliche più esposte sugli alieni, da decenni chiede che sia tolto il segreto sui documenti del Pentagono sugli ufo.

Podesta avrà però poco tempo per occuparsi di vita extraterrestre e molto da fare con quella terrestre. Sostituirà Kerry in primavera, diventando una delle figure più importanti al mondo nella lotta al riscaldamento globale, ma non lascerà il suo attuale incarico, far funzionare l'Inflation Reduction Act, la legge sul clima da 370 miliardi di dollari votata dal Congresso nell'estate del 2022.

La persona che sta guidando la transizione energetica interna degli Usa dovrà anche coordinarne la politica internazionale sul clima, e garantire così sulla buona fede degli Stati Uniti e il fatto che i compiti a casa loro li stanno facendo.

Podesta è un giurista di formazione, uomo di apparato e di pragmatismo, mai una carica elettiva, sempre dietro le quinte, sarebbe il personaggio ideale di una serie come The West Wing.

Nei decenni è stato uno storico servitore dei presidenti americani. Prima capo di gabinetto di Bill Clinton, poi consigliere di Barack Obama, poi leader della campagna elettorale di Hillary Clinton del 2016, quando la casella e-mail di Podesta fu aperta da un gruppo di pirati russi e migliaia di suoi messaggi finirono su Wikileaks, con molto imbarazzo e gravi danni per il voto.

Le sue principali credenziali climatiche risalgono agli anni di Obama: è considerato uno degli artefici dell'accordo di Parigi del 2015.

L'anno prima aveva contribuito a una prima intesa sul clima tra Stati Uniti e Cina, considerata il tassello decisivo per sbloccare le reticenze dei due paesi con più emissioni di gas serra a firmare il trattato internazionale sulla crisi climatica.

Gerontocrazia

La continuità delle relazioni con la Cina è un'altra chiave di lettura per la scelta di Biden. Nei suoi tre anni, con relative Cop e infiniti viaggi, Kerry era stato il garante di questi rapporti diplomatici.

Nonostante i periodi di tensione su altre fronti, da Taiwan ai palloni spia, Kerry aveva sempre ricucito tutto, facendo sì che il clima fosse una zona protetta di negoziato.

Ci era riuscito anche in virtù della sua amicizia con l'equivalente cinese, Xie Zhenhua, anche lui a fine incarico. Con gli addii di Kerry e Zhenhua si è chiusa una stagione politica imperfetta ma feconda.

Alla prima Cop di Kerry, Glasgow 2021, le fonti fossili erano ancora un tabù politico, come nelle venticinque precedenti. Alla sua terza Cop, quella di Dubai nel 2023, sono finite nell'accordo finale con un impegno globale verso la transizione.

La nomina di Podesta, e non di una figura più giovane, inclusiva o radicale, serve a mostrare l'impegno a non disperdere il lavoro fatto finora, e pazienza se con lui si conferma la gerontocrazia di questa stagione della politica americana: esce un ottantenne come Kerry, entra un settantacinquenne come Podesta.

Durante il suo mandato, Kerry ha però visto gli Stati Uniti perdere peso politico sulla scena climatica internazionale: la ferita degli anni di Trump, con l'uscita dall'accordo di Parigi, non si è mai chiusa del tutto, e la prospettiva di un ritorno competitivo dell'ex presidente non aiuta.

Harjeet Singh è una delle voci più ascoltate della società civile ambientalista del sud globale e il commento non potrebbe essere più aspro: «La nomina di John Podesta proietta un'ombra di dubbio sull'impegno degli Stati Uniti a essere leader nella lotta ai cambiamenti climatici. Sembra che seguirà i passi di Kerry, e potrebbe essere ancora più prudente sul versante internazionale. Il fatto che manterrà l'incarico domestico mostra come i negoziati siano una priorità secondaria per gli Usa. Siamo sempre più scettici sulla loro capacità di prendersi le proprie responsabilità».

Al di là della polemica sul doppio incarico, queste parole sono la spia del fatto che nel sud globale nessuno più considera gli Stati Uniti l'interlocutore principale. Le Cop hanno anticipato la frattura che abbiamo visto alla Corte di giustizia internazionale su Gaza.

Podesta accetta un incarico delicato, durante un ciclo elettorale che si chiuderà appena una settimana prima della prossima conferenza sul clima. Il 5 novembre ci sono le elezioni, l'11 novembre parte la Cop29 di Baku, dove gli Stati Uniti saranno fondamentali, perché sarà la Cop della finanza per il clima, quindi dei soldi, veri e tanti, da mettere sul piatto per rendere operativo l'impegno di Dubai.

L’anno elettorale

Tra Cop28 e Cop29 oltre quattro miliardi di esseri umani andranno al voto, ma non ogni elezione sarà uguale: autocrazie o democrazie imperfette torneranno a Baku con gli stessi governi e gli stessi rappresentanti, le democrazie vere non possono offrire questa garanzia, e nessuno può dire in che condizioni politiche ci arriveranno gli Stati Uniti.

Podesta avrà il compito di promettere una cosa che nemmeno lui sa se è vera o no: che gli impegni Usa sul clima non cambieranno, a prescindere da chi sarà il presidente. Anche per evitare tensioni con i Repubblicani, Podesta non sarà inviato per il clima, come Kerry, ma consigliere per la policy climatica internazionale, quindi non avrà bisogno della conferma al Senato.

Non è la questione più importante, ma Podesta ha anche un ruolo della mitologia complottista che si respira forte tra i sostenitori di Trump. Gli stessi che credono che all'ex presidente siano state rubate le elezioni nel 2020, considerano Podesta un pedofilo e un satanista.

Bill McKibben, il più ascoltato ambientalista nordamericano, di Podesta ha scritto che «sa lavorare contro due orologi, quello della fisica che cambia il mondo e ci lascia poco tempo per intervenire, e quello della politica, che può sabotare ogni progresso».

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