Se disperse nell’ambiente, anche le bioplastiche hanno tempi di degradazione molto lunghi, comparabili a quelli di materiali plastici non bio. Lo dimostrano i risultati di un innovativo esperimento condotto congiuntamente da Consiglio nazionale delle ricerche e altri gruppi di ricerca.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Open Access Polymers, ha riguardato il comportamento a lungo termine di differenti tipologie di granuli di plastica vergine utilizzati per realizzare oggetti di uso comune. Sono stati comparati due polimeri (particolari molecole con forme a catena allungata) tra i più impiegati negli oggetti di plastica (Hdpe e Pp) e due polimeri di plastica biodegradabile (Pla e Pbat), verificandone il grado di invecchiamento e degradazione rispettivamente in acqua di mare e sabbia: in entrambi gli ambienti, nell’arco di sei mesi di osservazione, né i polimeri tradizionali né quelli bio hanno mostrato una degradazione significativa.

L’osservazione dei campioni, unitamente all’esito di analisi chimiche, spettroscopiche e termiche condotte presso il laboratorio pisano del Cnr-Ipfc, coordinato dalla ricercatrice Simona Bronco, mostra che nell’ambiente naturale le bioplastiche hanno tempi di degradazione molto più lunghi rispetto a quelli che si verificano in condizioni di compostaggio industriale.

«Data l’altissima diffusione di questi materiali, è importante essere consapevoli dei rischi ambientali che l’utilizzo della bioplastica pone, se dispersa o non opportunamente conferita per lo smaltimento: è necessario informare correttamente», spiega la ricercatrice Silvia Merlino del Cnr-Ismar di Lerici (La Spezia), coordinatrice del progetto.

«Questo studio mette in luce l’importanza di una corretta informazione riguardo alla plastica biodegradabile, soprattutto dopo lo stop alla plastica usa e getta in vigore in Italia dal gennaio 2021 in attuazione della direttiva europea ‘Single use plastic’, che ha portato alla progressiva commercializzazione di prodotti monouso in plastica biodegradabile, come i polimeri presi in esame», aggiunge Marina Locritani, ricercatrice dell’INGV e co-coordinatrice dello studio.

L’esperimento, a oggi il primo di questo tipo realizzato interamente in situ, ha utilizzato per il set up sperimentale la piattaforma di monitoraggio ambientale “Stazione Costiera del Lab Mare” posta a  10 metri di profondità nella Baia di Santa Teresa nel Golfo della  Spezia, realizzata nell’ambito del progetto Laboratorio Mare del Distretto ligure per le tecnologie marine (cofinanziamento Regione  Liguria, risorse PAR-FSC 2007-2013 “Fondo per lo sviluppo e la coesione”), alla quale collaborano anche l’Istituto Idrografico della Marina e l’Enea.

Sul fondo sono state alloggiate particolari “gabbie” progettate per contenere i campioni di plastica; è stata inoltre predisposta una vasca contenente sabbia, esposta agli agenti atmosferici per simulare la superficie di una spiaggia. L’esperimento è tuttora in corso e si concluderà nel 2023.

Ulteriori esperimenti riguarderanno lo studio dei processi di degradazione in condizioni di maggiore profondità, grazie all’installazione di ulteriori gabbie contenenti plastiche e bioplastiche nella “Stazione profonda del Lab Mare” a circa 400 metri di profondità, sempre in acque liguri.

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