La deforestazione finisce anche nella tazzina del caffè: le principali aree di produzione di caffè in Brasile hanno perso centinaia di migliaia di ettari negli ultimi due decenni per effetto diretto e indiretto delle coltivazioni, secondo un’estesa analisi di dati satellitari pubblicata oggi dalla Ong statunitense Coffee Watch.

«La deforestazione legata al caffè ha creato una voragine nelle foreste brasiliane delle dimensioni dell’Honduras», afferma Etelle Higonnet, direttrice di Coffee Watch, che ha pubblicato oggi il report “Wake up and Smell the Deforestation”. «Questo è quello che ci mostrano i dati satellitari, che sono disponibili dai primi anni 2000 ad oggi», ci ha detto Higonnet.

La ricerca si basa sull’analisi di tre diverse banche dati indipendenti sul consumo di suolo e sulla deforestazione – MapBiomas, Hansen e SPAM (della Nasa) – e si è concentrata sul Brasile, che è il principale produttore al mondo di caffè, rappresentando da solo il 40 per cento della produzione mondiale. Questo primato, secondo gli autori, è stato raggiunto in pochi decenni con un elevato costo ambientale: «Tra il 1990 e il 2023, l’area coltivata è più che raddoppiata, passando da 600mila a oltre 1,25 milioni di ettari». Intanto, «dal 2001 al 2023, oltre 737mila ettari di foresta sono stati deforestati all’interno delle aziende che producono caffè» nella cosiddetta “Coffee Belt”, la cintura di produzione che in Brasile interessa in particolare gli Stati di Minas Gerais e Bahia, dove a farne le spese sono stati i biomi del Cerrado (569 mila ettari) e della Foresta Atlantica (145 mila ettari).

Secondo gli autori, l’impatto complessivo del caffè sarebbe molto più elevato: nei distretti di produzione gli ettari andati in fumo negli ultimi due decenni sono 11 milioni, con le piantagioni che avrebbero avuto spesso un ruolo di motore “indiretto”: «Queste mappe satellitari mostrano come il caffè abbia ridisegnato interi paesaggi, non solo rimpiazzando le foreste, ma spostando i pascoli, spingendo le strade in aree remote, soffiando sulla speculazione agraria», si legge nel rapporto.

Alle soglie della COP

Il tema della deforestazione è tornato al centro dell'attenzione negli ultimi mesi, in vista della Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sul clima (COP30), che si terrà a novembre a Belem, in Parà, nella regione amazzonica del Nordest del Brasile.

Secondo l’ultimo Forest Declaration Assessment, un monitoraggio annuale che verifica lo stato di avanzamento verso l’obiettivo Onu di azzerare la deforestazione al 2030, pubblicato a ottobre, i tassi di deforestazione sono rimasti «ostinatamente alti» negli ultimi anni. Nel 2024 «la deforestazione globale ha raggiunto 8,1 milioni di ettari», ben oltre il limite massimo di 3,1 milioni di ettari previsto, e soltanto alcuni Paesi e industrie hanno mostrato progressi «all'altezza dell'urgenza degli impegni globali».

Il Brasile non è tra i Paesi virtuosi. Secondo il World Resource Institute, nel 2024 è stato al primo posto per perdita di foreste primarie, a causa di una stagione record degli incendi, che ha distrutto 2,82 milioni di ettari. La diffusione dei roghi è riconducibile all’operato di gruppi criminali organizzati e all'avanzata dell’agricoltura - che in Brasile come in tutto il mondo è considerata responsabile di circa il 90 per cento della deforestazione tropicale. Tra Amazzonia, Cerrado e Foresta Atlantica questa avanzata ha principalmente il volto dei pascoli di bovini e delle distese di soia.

Proprio sulla soia si sono accesi di recente i riflettori, per l’aumento della domanda cinese verso i Paesi del Sud America, Brasile e Argentina in testa, trainata dall’industria dei mangimi e dalla guerra dei dazi con gli Stati Uniti. Ma con l’avvicinarsi del summit Onu sul clima, l’attenzione ha raggiunto anche altre filiere, come quella dei biocombustibili, del legno o della produzione di caffè.

L’industria del caffè, secondo Coffee Watch, negli anni 2010 aveva ridotto significativamente il suo impatto sulle foreste in Brasile, ma dopo il 2020 è tornata a impennarsi, segnando un picco di 45 mila ettari deforestati nel 2023.

Marcia indietro in UE

L’Europa storicamente è una delle principali destinazioni delle materie prime legate alla deforestazione in Brasile. L'Italia è un grande importatore di legname, di carne di manzo (usata per la bresaola), di pelle, di soia per la produzione di mangimi. E, ovviamente, di caffè. Nel 2024 l'Italia ha importato dal Brasile 238 mila tonnellate di caffè (circa un terzo del suo fabbisogno, dati Eurostat), per un valore di 982,4 milioni di Euro. Il Brasile nello stesso anno ha esportato verso i 27 Paesi dell’Unione 1,210 mila tonnellate, per un valore di 4,9 miliardi di euro.

Per via di questo “peso”, il caffè è una delle sette materie prime interessate dal regolamento Europeo contro la deforestazione (EUDR), che prevede una serie di prescrizioni molto severe sulla tracciabilità di materie prime importate da aree a rischio. L’entrata in vigore del regolamento era prevista a dicembre 2024, ma è stata rinviata di 12 mesi, anche per effetto proprio della lobby del caffè. «Se l’EUDR fosse implementato il 30 dicembre, temiamo interruzioni devastanti», ha scritto in una lettera a Ursula von der Leyen a febbraio 2024 Eileen Gordon Laity, segretario generale della European Coffee Federation, associazione di categoria che rappresenta il 90 per cento dei produttori europei di caffè.

Ottenuto il rinvio di 12 mesi, il 2025 ha portato nuove pressioni. A luglio, Giuseppe Lavazza ha chiesto che la regolamentazione europea fosse «rinviata di un altro anno», a causa di rischi di approvvigionamento. Il gruppo Lavazza non ha risposto a una nostra richiesta di commento.

Il 23 settembre la Commissione ha mostrato segni di cedimento, annunciando un possibile nuovo rinvio dell’EUDR, che dovrebbe entrare in vigore il prossimo 30 dicembre - ufficialmente per problemi tecnici ai sistemi informatici.

Questo annuncio è stato celebrato dal governo italiano come un traguardo: il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha commentato nel corso di un’intervista che «bene ha fatto la Commissione Europea a sospendere le norme sulla deforestazione, che andavano certamente in una direzione negativa per l’industria e l’agricoltura».

Di segno opposto le reazioni di diversi europarlamentari e organizzazioni della società civile, e persino di una rete di aziende, tra cui Ferrero, Socfin e Nestlè. Queste ultime a inizio ottobre hanno scritto al commissario Europeo all’Ambiente Jessika Roswall che «il ritardo proposto mette a rischio la conservazione delle foreste in tutto il mondo, accelererà gli effetti del cambiamento climatico e mina la fiducia negli impegni normativi dell’Europa».

Secondo alcune Ong, i continui rinvii rappresentano un rischio anche in vista dell’entrata in vigore degli accordi di libero scambio UE-Mercosur (firmato il 6 dicembre 2024) e UE-Indonesia (firmato lo scorso 24 settembre – un giorno dopo l'annuncio del possibile rinvio dell’EUDR), che potrebbero rendere sostanzialmente inapplicabile il regolamento contro la deforestazione.

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