Solo un mese fa a Trento e Rovereto è stata inaugurata l’ultima mostra di Sebastião Salgado: si intitola Ghiacciai, sono fotografie in bianco e nero di paesaggi in cui non l’umano si fa da parte, è assente, come non ci fosse bisogno di lui per dire cose importanti. Restano ghiaccio, pietra, cielo.

Il fotografo brasiliano è morto a 81 anni a Parigi, lo hanno annunciato ieri l’Académie des Bueux-Arts di Parigi, di cui era membro, ricordandolo come «grande testimone della condizione umana e dello stato del pianeta». L’Instituto Terra che aveva fondato assieme alla moglie ha confermato la notizia, senza fornire altri dettagli ma già il mese scorso non aveva partecipato all’inaugurazione della mostra in Trentino perché indebolito da problemi di salute.

Le ferite del pianeta

Era intervenuto, però, in collegamento da Parigi, per raccontare che i ghiacciai sono il nostro termometro, il termometro per misurare la temperatura di una terra con la febbre sempre più alta. Per tutta la sua carriera, del resto, aveva documentato le ferite del pianeta non solo come atto di denuncia ma con la fiducia e l’amore di chi crede nella guarigione. I ghiacciai sono vecchi di millenni, ci rivelano lo stato del presente e ci rivelano possibilità di futuro, raccontava a Rovereto.

SEBASTIAO SALGADO / ANSA / PAL

Figlio di contadini, Sebastião Salgado era nato nel 1944 ad Aimorés, nello stato brasiliano del Minas Gerais, in una fazenda immersa nella foresta atlantica, a stretto contatto con la terra, un legame che segnerà profondamente la sua visione del mondo. Economista e statistico di formazione, Salgado era diventato fotografo per vocazione interiore. Aveva già trent’anni, viveva a Parigi e lavorava per l’Organizzazione Internazionale del Caffè quando cominciarono i primi viaggi in Africa: la fotografia arriva in quel momento, da lì in poi sarà il suo linguaggio per raccontare il mondo. Lascia il lavoro, torna a Parigi con la moglie Léila Wanick e nel corso degli anni Settanta comincia a lavorare per le grandi agenzie fotografiche, prima Sygma, poi Gamma, infine nel 1979 la Magnum, la stessa agenzia per cui lavoravano Robert Capa e Henri Cartier-Bresson.

I reportage

Il primo reportage è del 1973, corpi e terra arsi documentano la siccità del Sahel, il secondo è dedicato ai lavoratori immigrati in Europa.

Documenterà anche la rivoluzione dei garofani in Portogallo nel ‘74, la guerra civile in Angola fra il 1974 e il 1975, la vita nelle campagne dell’America latina, poi il lavoro nelle miniere d’oro del Brasile, i cantieri navali dell’India, i campi di rifugiati del Rwanda nel ’94 con Exodus, uno dei lavori più duri. Insieme a Workers – La mano dell’uomo (1993) e Genesis (2013) diventerà una delle pietre miliardi della fotografia documentaria.

In quello stesso anno Salgado lascia la Magnum e fonda con la moglie Amazonas Images: è l’enorme progetto fotografico dedicato alla foresta Amazonica, alla deforestazione, al cambiamento climatico e alle vite indigene che lottano per esistere, per difendere e curare la foresta e la terra. Torna in Brasile e nel 1998 fonda insieme a Lélia l’Instituto Terra, un progetto di riforestazione per trasformare migliaia di ettari di pascoli degradati in foresta tropicale, per contribuire a rimarginare alcune delle ferite del pianeta.

ANSA

La violenza del nord globale

Se fino alla prima metà degli anni novanta Salgado si è dedicato soprattutto alla «mano dell’uomo sull’uomo», attraverso il racconto di guerre, colonialismo, sfruttamento, e nella seconda parte della sua carriera il suo sguardo si è concentrato principalmente sulla «mano dell’uomo sulla terra», mai queste due cose sono state disgiunte, la violenza del nord globale industrializzato si abbatte sugli umani e sulla terra con la stessa violenza e i paesaggi di Salgado assomigliano tanto ai suoi ritratti.

I ghiacciai che vediamo nella mostra di Trento e Rovereto sono vivi e vicini, raccontano cosa succede in luoghi lontani, che non vediamo ma ci interrogano guardandoci dritti negli occhi, con bellezza grave e sfrontata. Sono gesto politico, come gesto politico è stato sempre il lavoro fotografico di Salgado, parlano anche senza bisogno di volti umani e parleranno ancora domani.

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