«È come se un asteroide si stesse dirigendo verso la terra e il governo avesse deciso di chiudere le nostre uniche difese. Cercando di bloccare questo giudizio, il governo insiste senza mezzi termini sul fatto che ha il potere assoluto e irripetibile di distruggere la nazione».

Con queste parole, in una lunga e appassionata dissenting opinion, il giudice Staton della Corte dell’Oregon ha preso le distanze dalla decisione degli altri componenti del collegio con cui è stata respinta la domanda proposta da ventuno giovani contro il governo statunitense. Il contenzioso, conclusosi il 17 gennaio 2020, era incentrato sulla responsabilità climatica del governo statunitense, accusato di aver incoraggiato e autorizzato attività connesse alle emissioni di gas serra.

Non si tratta di un caso isolato, soprattutto negli Stati Uniti. Già nel 2007, infatti, il governo era stato citato dallo stato di Massachusetts in merito alle emissioni delle automobili. In quell’occasione, il governo si era difeso affermando che le automobili costituivano soltanto una fra le tante fonti dei gas serra e che pertanto le emissioni delle auto non dovevano essere sottoposte al regime normativo degli inquinanti. La tesi, tuttavia, non ha persuaso la Corte suprema, che già a quel tempo ha rimarcato la serietà dei danni associati ai cambiamenti climatici.

La giustizia climatica è stata invocata anche contro l’Unione europea, senza ottenere risultati favorevoli. Nel 2018, alcune famiglie, associazioni non governative e imprenditori agivano davanti al tribunale Ue per ottenere l’annullamento del pacchetto legislativo in materia di gas a effetto serra. I ricorrenti, nella loro variegata composizione, chiedevano il risarcimento del danno derivante dall’impatto negativo sulla qualità della vita, personale e professionale (in relazione soprattutto alle attività turistiche e agricole), determinato dal cambiamento climatico. Il giudizio, sicuramente suggestivo e innovativo dal punto di vista giuridico, si è concluso con una pronuncia di inammissibilità per motivi procedurali, difettando la lesività dei provvedimenti impugnati.

Precedenti in tutto il mondo

Più in generale, le azioni per la giustizia climatica sono proliferate in tutto il mondo nel corso degli ultimi anni.

I due casi più eclatanti sono senza dubbio quello francese e quello olandese.

Il caso francese origina da una petizione di firme avviata nel 2018 da quattro associazioni. A questa petizione, dal nome emblematico L'affaire du siècle, avevano aderito oltre due milioni di cittadini, i quali invocavano un maggiore sforzo dello Stato francese nella riduzione delle emissioni di Co2 e nel rispetto degli impegni derivanti dall’accordo di Parigi del 2015. Non soddisfatte della risposta ricevuta, le associazioni hanno instaurato un giudizio davanti al tribunale amministrativo, che si è concluso lo scorso 3 febbraio con la condanna dello Stato francese per inazione climatica.

Anche il contenzioso olandese, portato avanti dalla fondazione Urgenda, si è concluso nel dicembre 2019 con una sentenza di condanna. In quel caso, lo stato olandese è stato condannato ad ottenere una drastica riduzione delle emissioni inquinanti entro l’anno in corso. Si tratta di una riduzione addirittura del 25 per cento rispetto ai livelli raggiunti nell’anno 1990, che ha imposto al governo olandese una brusca e complessa accelerazione sugli impegni della propria agenda.

In questa direzione stanno agendo anche i cittadini belgi, canadesi, colombiani, tedeschi, irlandesi, francesi e svizzeri, che hanno instaurato giudizi di responsabilità ambientale contro le autorità pubbliche in relazione ai cambiamenti climatici.

Contro le multinazionali

Il contenzioso contro le imprese private appare una novità, intorno alla quale non si è ancora formata una casistica significativa e sussiste un rilevante margine di opinabilità. Al riguardo, si citano tre casi emblematici.

Il primo caso concerne i rappresentanti di alcune piccole nazioni dell’oceano Pacifico (Filippine, Figi, Vanatu, Kiribati, Tuvalu e isole Salomone), che nel 2019 hanno sottoscritto il documento People’s Declaration for Climate Justice, nel quale si manifesta l’intenzione di agire nei confronti delle principali società petrolifere, ritenute responsabili degli scompensi ambientali verificatisi in quella zona.

Un altro interessante contenzioso è stato avviato nel 2015 da un agricoltore peruviano dinanzi ad un tribunale tedesco per richiedere un risarcimento dei danni contro il più grande produttore di energia elettrica in Germania. Ad avviso del ricorrente, la compagnia elettrica, emettendo notevoli volumi di gas a effetto serra, avrebbe consapevolmente contribuito al cambiamento climatico e, pertanto, sarebbe responsabile per lo scioglimento dei ghiacciai montani, dal quale è conseguito anche un notevole aumento volumetrico di un lago peruviano. È stato così richiesto il risarcimento dei costi sostenuti per l’adozione delle misure di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico.

L’ultimo caso risale a qualche mese fa e riguarda la Francia, ove alcuni attivisti si sono alleati con alcune autorità locali per intraprendere un’azione legale contro una primaria compagnia petrolifera. Nello specifico, gli attivisti hanno richiesto alla società di allinearsi agli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015 attraverso una maggiore integrazione dei profili climatici all’interno delle strategie imprenditoriali.

I rimedi in concreto

Si tratta della nuova frontiera della giustizia ambientale, conosciuta a livello globale con il termine di Climate Change Litigation. È un concetto generico, che racchiude una serie di differenti rimedi cui possono ricorrere i privati cittadini nei confronti sia delle imprese private sia delle istituzioni pubbliche. A questi soggetti può infatti essere contestato di aver contribuito a modificare il clima o di non aver adottato le misure idonee per contrastare tale fenomeno.

Gli esiti possono essere differenti, come dimostra la variegata casistica. Rilevano principalmente le azioni di responsabilità civile, che possono risolversi in una pronuncia di risarcimento patrimoniale dei costi sostenuti in conseguenza dei cambiamenti climatici così come in una condanna ad adottare un comportamento specifico (ad esempio, per i decisori pubblici può consistere nell’adozione di determinate politiche).

Le azioni risarcitorie non paiono però gli unici rimedi esperibili sul piano processuale, essendo infatti astrattamente percorribili anche le azioni che inibiscono l’adozione o la prosecuzione di determinati comportamenti ritenuti dannosi. Un’altra via è quella, essenzialmente pubblicistica, delle azioni di annullamento degli atti che si pongono in conflitto con gli obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici recepiti dai governi statali in attuazione degli obblighi internazionali.

Non trascurabile – ed anzi, alle volte è proprio l’effetto sperato di queste iniziative – è la risonanza mediatica che deriva dalla proposizione di tali giudizi, che catturano l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema, con la conseguenza di orientare i comportamenti dei cittadini.

L’ordinamento italiano

Quest’ultima finalità pare orientare l’iniziativa intrapresa nel nostro ordinamento dall’associazione Giudizio universale, determinata ad agire in sede civile nei confronti dello stato italiano. L’azione si fonderebbe sulle risultanze del rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che non sarebbero state tenute adeguatamente in considerazione da parte dello Stato italiano nell’adozione dei propri strumenti giuridici.

Nell’ordinamento italiano, però, la questione può essere affrontata diversamente, ricorrendo anche alla figura del danno ambientale. Se la fattispecie venisse ricondotta in questa categoria, allora la titolarità dell’azione spetterebbe in capo al Ministro dell’ambiente. Questa strada, tuttavia, porrebbe il paradosso per cui il citato dicastero dovrebbe agire per il risarcimento di un danno causato da esso stesso e dalle altre amministrazioni pubbliche cui sono attribuite competenze in materia di contrasto al cambiamento climatico.

Lo stesso paradosso sussisterebbe anche nel caso in cui il Ministero dovesse agire nei confronti delle imprese private. Il vero tema critico, infatti, è dato dall’adeguatezza delle prescrizioni autorizzative rispetto agli obiettivi di contrasto al cambiamento climatico: le attività imprenditoriali private possono rivelarsi pregiudizievoli per il clima ma al contempo non antigiuridiche, anzi lecite poiché autorizzate dallo stesso Stato, e dunque esenti da responsabilità.

Quale scenario?

È evidente come la giustizia climatica costituisca uno sviluppo imprescindibile dell’ordinamento, in quanto necessaria per garantire l’effettività della tutela dell’ambiente, della salute e della stessa sopravvivenza umana.

In assenza di previsioni normative, un ruolo fondamentale sarà svolto dai giudici, ai quali è affidato il delicato compito di innestare queste forme di tutela sugli istituti fondamentali del sistema.

C’è poi da augurarsi che gli effetti dirompenti sul sistema sociale ed economico portati dalla pandemia di Covid-19 di questi ultimi mesi possano finalmente indurre gli Stati ad adottare le misure idonee a contrastare effettivamente, tempestivamente e globalmente il cambiamento climatico, adottando le politiche normative, economiche e fiscali necessarie allo scopo.

Nella speranza, ovviamente, di dirottare la traiettoria dell’asteroide e salvare il destino comune a tutti, senza distinzioni di giurisdizione.

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