Nel mese di ottobre di cento anni fa, l’egittologo Howard Carter e la sua squadra sollevarono il coperchio della bara più interna del sarcofago di Tutankhamon, interrompendo un silenzio durato oltre 3.200 anni. Fu così che trovarono la mummia del ”faraone bambino”, adornata da una straordinaria maschera funeraria in oro e pietre semipreziose. Quella visione non fu solo un momento epocale per l’archeologia, ma anche l’inizio della trasformazione di Tutankhamon in una delle icone più celebri dell’Antico Egitto.

La fama moderna di Tutankhamon deriva quasi interamente dalla scoperta della sua tomba, rinvenuta nel 1922 nella Valle dei Re, presso Luxor. Pur essendo stato un faraone relativamente marginale - salì al trono da bambino e regnò solo per circa nove anni, senza lasciare monumenti significativi né grandi imprese militari - la sua sepoltura era colma di oggetti preziosi: dalla celebre maschera d’oro a carri da guerra, statue, gioielli e persino un pugnale forgiato dal ferro di un meteorite. Questa opulenza solleva una domanda affascinante: se un faraone di secondaria importanza come Tutankhamon fu sepolto con tali ricchezze, quali tesori avrebbero potuto accompagnare faraoni più potenti come Ramses II o Cheope? Anche Carter se lo domandò, scrivendo: «Quanto grande doveva essere la ricchezza sepolta con quegli altri antichi faraoni!». Sfortunatamente, la maggior parte delle tombe reali dell’antico Egitto fu saccheggiata nei secoli successivi, rendendo difficile avere un confronto diretto. Tuttavia, una nuova ipotesi avanzata dall’egittologo Peter Lacovara fornisce una spiegazione sorprendente. Secondo lui, una combinazione di circostanze storiche, religiose e politiche ha fatto sì che la tomba di Tutankhamon fosse, paradossalmente, la più ricca mai trovata nell’intera storia egizia. «Neppure Cheope, nella sua imponente piramide, fu sepolto con un corredo paragonabile a quello di Tutankhamon», afferma Lacovara.

Piccolo faraone, grande corredo

Quando Carter aprì la bara in oro massiccio il 28 ottobre 1925 - tre anni dopo la scoperta della tomba – fu colpito dalla bellezza della mummia decorata e dalla solennità dell’atmosfera. «Il tempo… sembrava sospendersi davanti a uno spettacolo che evocava con forza i riti religiosi di una civiltà perduta», annotò. Tuttavia, a rendere ancora più sconcertante la ricchezza della sepoltura era il fatto che Tutankhamon era un faraone di modesta importanza dinastica. Come nota Nicholas Brown dell’università di Yale, egli era tra gli ultimi nella gerarchia della XVIII dinastia, che governò l’Egitto dal XVI al XIII secolo a.C. La sua tomba è tra le più piccole della Valle dei Re, con una superficie di appena 110 metri quadrati, un confronto impietoso con tombe molto più vaste come quella di Ramses III, quattro volte più grande. Le tombe ramessidi, tuttavia, erano spesso costruite per essere visitate da sacerdoti incaricati di mantenere i culti funerari dei faraoni. Per questo erano più visibili e accessibili (e quindi anche più vulnerabili ai saccheggi). La tomba di Tutankhamon, al contrario, era sigillata e nascosta, circostanza che ne ha permesso la conservazione pressoché intatta. Joann Fletcher dell’università di York sottolinea come le tombe della XVIII dinastia fossero generalmente meglio celate rispetto a quelle successive. Tuttavia, vi sono esempi che suggeriscono quanto siano stati realmente preziosi anche altri corredi funerari. Nel 1925, ad esempio, fu scoperto nei pressi della piramide di Cheope un deposito con i tesori funerari della regina Hetepheres, madre di Cheope, databile al XXVII secolo a.C. Vi si trovavano splendidi bracciali d’argento con intarsi di lapislazzuli e una scatola rivestita in oro. Negli anni Trenta, fu trovata anche la tomba intatta di Psusennes I, un faraone del X secolo a.C., la cui maschera funeraria in oro è sorprendentemente simile a quella di Tutankhamon, anche se molto meno sofisticata nella lavorazione.

Il restauro della maschera funeraria di Tutankhamon, condotto da Christian Eckmann e Katja Broschat del Centro Leibniz per l’Archeologia in Germania, ha rivelato che l’opera è composta da oltre 1.230 pezzi singoli, tra intarsi, accessori e inserti. La maschera di Psusennes I, a confronto, era costituita da due sole lamine d’oro e pochi intarsi per occhi e sopracciglia. Piers Litherland, direttore della New Kingdom Research Foundation, definisce la maschera di Tutankhamon come «l’apice dell’eccellenza artistica». Questo riflette la straordinaria stabilità politica ed economica dell’epoca del Nuovo Regno. Alcuni studi recenti, ancora in fase di pubblicazione, suggeriscono che all’epoca vi fosse un miglioramento climatico che avrebbe favorito agricoltura e commercio, contribuendo alla prosperità. Altri studiosi, come Lacovara, attribuiscono invece tale benessere alla politica estera aggressiva e alle scelte commerciali oculate dei faraoni.

I tanti tesori

Quando Carter e i suoi collaboratori catalogarono la tomba, trovarono circa 5.400 oggetti, tra cui numerosi letti, sedie, armi e giochi. Molti egittologi ritengono che parte di questi oggetti non appartenesse originariamente a Tutankhamon, ma provenisse dai corredi di altri faraoni precedenti, tra cui l’”eretico” per eccellenza, il padre di Tutankhamon, Akhenaton, il quale aveva tentato di instaurare una religione monoteista basata sul culto di Aton, il disco solare, chiudendo i templi delle divinità tradizionali. Alla sua morte, il culto atoniano fu rapidamente abbandonato. Tutankhamon, ancora bambino, fu spinto dai suoi consiglieri a restaurare il culto tradizionale. In questo senso, divenne una figura simbolica della restaurazione religiosa. Uno studio di Brown ha recentemente identificato nella sua tomba strumenti rituali che sembrano rappresentare la prima attestazione del rito del “Risveglio di Osiride”, documentato più compiutamente solo decenni dopo. Secondo Lacovara, la sepoltura di Tutankhamon potrebbe quindi essere stata arricchita con oggetti provenienti da tombe non utilizzate dei suoi predecessori atoniani, forse per disfarsene, secondo Joann Fletcher, o forse come segno di gratitudine per aver ripristinato l’ordine religioso, come suggerisce Brown.

“Giostra cosmica”

Un team di astronomi ha osservato, per la prima volta, uno scontro galattico in diretta risalente a quando l’Universo aveva meno di tre miliardi di anni. Al centro dello spettacolo c’è un quasar, ossia un nucleo di una galassia che brilla intensamente grazie all’energia sprigionata da un buco nero supermassiccio, che investe il suo partner con una potente “lancia” di radiazione distruttiva. Le due galassie, localizzate a circa 11 miliardi di anni luce, si scontrano a una velocità di quasi 2 milioni di km/h. I dati di ALMA, un potente radiotelescopio cileno, hanno permesso di decifrare la scena: una galassia ospita un quasar luminosissimo, mentre l’altra subisce il suo raggio estremamente energetico. «Per questo chiamiamo questo sistema “giostra cosmica”», afferma Pasquier Noterdaeme dell’Institut d’Astrophysique de Paris. Il quasar, alimentato da un buco nero supermassiccio (circa 200 milioni di volte la massa del Sole), irradia tantissimo, raggiungendo la soglia di Eddington, ossia il limite massimo di luminosità che un oggetto come una stella può raggiungere prima che la pressione della radiazione contrasti la gravità. Superare questa soglia significa che la radiazione emessa sarebbe così intensa da spingere via il materiale della stella, impedendole di accumulare ulteriore massa. Sergei Balashev, dell’Ioffe Institute, spiega che la radiazione del quasar sta letteralmente “forgiando” le nubi di gas dell’altra galassia, riducendo le regioni di formazione stellare a microscopiche isole dense che non possono dare luogo a nuove stelle. È la prima osservazione diretta di questo fenomeno in una galassia “normale”.

Il processo avvia un feedback positivo per il buco nero: mentre inghiotte gas dal partner, il quasar si rafforza, intensificando la radiazione che a sua volta devasta la galassia sorella. Nel primo Universo, fusioni galattiche e quasar erano eventi frequenti. Questo sistema si inserisce in un filone di ricerca che studia come questi incontri influenzino la formazione stellare e la crescita dei buchi neri supermassicci. Lo studio, pubblicato su Nature, segna una tappa fondamentale per questo tipo di studi. I prossimi passaggi includono osservazioni con JWST, Nancy Grace Roman e l’Extremely Large Telescope (ELT), per indagare ulteriormente i meccanismi di attraversamento e distruzione del gas galattico.

Caldo record

Ondate di calore senza precedenti si sono verificate in maggio 2025 in Islanda e Groenlandia, mettendo in crisi ecosistemi e società storicamente adattati al freddo. Secondo l’analisi realizzata dal network World Weather Attribution, le temperature del mese scorso sono state notevolmente superiori alla norma, con un chiaro impatto delle attività antropiche. In Islanda alcune zone hanno registrato valori superiori di oltre 10°C rispetto alla media stagionale, tanto che l’aeroporto di Egilsstadir ha toccato i 26,6°C il 15 maggio, stabilendo un nuovo record per il periodo.

In Groenlandia, invece, il calore ha accelerato la riduzione della calotta glaciale, pena che ha visto un tasso di fusione molte volte superiore alla media storica, alterando in modo significativo l’equilibrio dell’ecosistema artico e favorendo il contributo di ghiaccio alla crescita del livello del mare. Gli esperti evidenziano come eventi di simile portata, una volta rari con una probabilità dell’1 per cento annuale, oggi risultino quasi inevitabili a causa del riscaldamento globale indotto dall’uomo. La trasformazione dei climi freddi in ambienti soggetti a improvvisi e intensi episodi di calore non solo minaccia la biodiversità e gli habitat locali, ma incide anche sulla vita quotidiana delle comunità che da sempre hanno saputo convivere con condizioni climatiche rigide.

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