Con il suo intervento al comizio a Valencia di Vox, Giorgia Meloni ha definitivamente scoperto le carte. Non solo le sue, ma quelle di tutta la destra europea: trasformare il Green Deal e la lotta contro la crisi climatica nel nuovo totem ideologico per mobilitare l’elettorato, anche a costo di mettere l’Europa fuori dalla Storia.

Le sue parole sono arrivate subito dopo il fallito tentativo di affondare la legge sul ripristino della natura al parlamento europeo e sono parte dello stesso disegno: fare del clima quello che nei cicli elettorali passati sono stati l’euro o le migrazioni.

«Contrastare il fanatismo ultraecologista che sta portando la sinistra ad attaccare il nostro modello economico e produttivo», ha detto. Meloni ha scelto con attenzione la platea a cui consegnare il suo manifesto, la comfort zone di un partito ancora più spregiudicato di Fratelli d’Italia nel flirt con il negazionismo climatico. «Un po’ di riscaldamento globale eviterà di morire di freddo», aveva detto in parlamento il deputato di Vox Francisco José Contreras.

I danni della crisi climatica

Era il 2021, quell’anno era uscita la prima parte del sesto rapporto dell’Ipcc sui cambiamenti climatici. L’estate successiva, a confermare quei modelli, sarebbe stata la più calda nella storia d’Europa. Una serie di ondate di calore che hanno fatto una strage: oltre 61mila vittime, di cui oltre 18mila in Italia. Siamo il paese con più vittime di caldo nel continente che si riscalda di più al mondo: +2,28°C rispetto alla normalità climatica, che significano 295 decessi per milione di abitanti, quando siamo ancora nella fase ascendente della curva del riscaldamento.

Nel 2040 le vittime di caldo in Europa potrebbero essere quasi 100mila ogni estate, con un impatto sproporzionato sulle persone più vulnerabili, per età o per condizioni socio-economiche: quasi il 10 per cento delle famiglie italiane è in povertà energetica e non deve scegliere tra pace e condizionatore ma tra salute e fine del mese, quando si tratta di rinfrescare la casa.

È questo il modello economico e produttivo che Meloni vuole difendere dall’«ultra ecologia»? Globalmente, le ore di lavoro perse a causa del caldo sono già oggi 650 miliardi all'anno, 400 miliardi più delle stime precedenti, secondo una ricerca pubblicata su Environmental Research Letters, un numero paragonabile a quelle perse a causa della pandemia. Ed è necessario ripetere che questo è solo l’inizio, sono i dati del riscaldamento globale che abbiamo già causato, non di quello che rischiamo di aggravare con l’inazione promossa da Fratelli d’Italia, Vox e alleati.

La responsabilità del futuro

La transizione da un’economia fossile a una a zero emissioni non è un processo lineare, né indolore, ma diventa completamente inaffrontabile se viene letta attraverso le lenti ideologiche di una culture war, come sta dimostrando di voler fare Meloni.

È un processo inevitabile, e lo è al là di qualunque considerazione morale sul futuro delle prossime generazioni (o sul «patto con i non ancora nati», per usare il lessico sovranista): tutte le grandi economie globali stanno correndo in quella direzione. La Cina, che installa più rinnovabili del resto del mondo messo insieme, e che controlla oggi tutte le filiere anche perché dieci anni fa ha anticipato il cambiamento e lo ha indirizzato secondo i suoi interessi nazionali. Gli Stati Uniti, che con l’Inflation Reduction Act stanno provando non solo a dimezzare le emissioni come richiesto dalla scienza, ma anche a usare questo compito come occasione per re-industrializzarsi. L’Europa nell’ultimo decennio ha perso un treno dietro l’altro, dalla tecnologie abilitanti per la digitalizzazione ai microchip all'intelligenza artificiale, ma ha la possibilità di rimanere agganciata a quello dell’economia decarbonizzata, grazie alla strategia industriale varata dalla Commissione e ai vari piani di riconversione delle filiere, dalle gigafactory ai pannelli fovoltaici.

Meloni ha la responsabilità di guidare l’Italia negli anni decisivi di questo processo, se deciderà di farne una trincea culturale e di fare dell’Italia il fortino del vecchio mondo fossile rischia di fare danni che si ripercuoteranno su generazioni di italiani.

Perdere un’occasione

I cambiamenti climatici sono presenti, e sono causati dagli esseri umani. La trasformazione dell’economia mondiale per rispondere a questa sfida è uno dei processi più complessi e difficili che un paese possa affrontare.

Fallirla, e trovarsi in uno scenario di un aumento di temperatura da oltre 3°C di temperatura, vorrebbe dire per l’Italia affrontare danni per 115 miliardi di euro da qui al 2070. Sono i dati di un rapporto Deloitte, non di Ultima generazione. Fermare la transizione vuol dire perdere il 7,6 per cento del Pil rispetto a uno scenario senza crisi climatica. Ma accelerarla vuol dire aggiungere 43mila miliardi di dollari all’economia globale nei prossimi cinque decenni: che fetta di questa torta vuole far conquistare Meloni all’Italia?

La variante fondamentale rispetto a un cambiamento così vasto e brusco sono i tempi di reazione: se arriveremo tardi, rimarranno le briciole. Non è facile governare la transizione, le stime sui saldi di occupazione tra lavoro perso e creato oscillano di molto, a seconda degli osservatori e dei centri studi, ma è certo che si rischiano di perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro nei settori più critici, a partire da automotive e componentistica.

Se ne aggiungeranno altrettanti in quelli dell’economia decarbonizzata, ma trasferire persone e competenze non è un compito facile, serve visione, serve un piano, serve senso pratico, serve un’Europa forte, stabile e determinata, come quella che per il piano Fit for 55 ha destinato 55 miliardi di euro a un fondo di giusta transizione. Non è qualcosa che si possa affrontare con luoghi comuni su uomo e natura o con la stessa citazione del filosofo Roger Scruton che Meloni ripete ogni volta che deve intervenire sull’argomento.

Gli italiani le hanno affidato il timone della trasformazione più importante da quando esiste la rivoluzione industriale, finora l’unica reazione è stata ostacolarla ovunque si è potuto in Europa, ignorarla sugli scenari globali più delicati, dove brilliamo solo per la nostra assenza (Cop27 sul clima, Cop15 sulla biodiversità), e deriderla quando si trova a parlare con gli elettori. Non il massimo dell’assunzione di responsabilità.

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