Per il terzo anno di fila, Eni è sponsor del festival di Sanremo, col doppio marchio, Enilive (mobilità sostenibile) e Plenitude (energie rinnovabili). Dal prossimo anno, per un triennio, la Seria A diventerà la Serie A Enilive. I due campi principali di attenzione degli italiani, il festival più nazionalpopolare e il campionato di calcio, raccontano solo la versione dei fatti dell’azienda oil & gas di stato su energia e clima.

Per rispettare la segmentazione dei pubblici, anche grandi eventi culturali, come il Festivaletteratura di Mantova, portano lo stesso marchio e la stessa storia (anche se all’interno di quel festival la sponsorizzazione è molto più sofferta e contestata).

Insomma, che tu segua la musica, il pallone o l’editoria, a un certo punto in Italia ti dovrai confrontare con Eni che si descrive, come da nota ufficiale, «avamposto della transizione energetica», cioè con un fatto che non è vero e che continua a non essere vero per quanto il marchio ora sia verde, il tappeto sia verde, e gli «arbusti tipici del territorio ligure» messi da Eni davanti all’Ariston siano verdi.

Eni persegue legittimamente la sua politica industriale ed energetica basata sui combustibili fossili, come legittimamente la politica di una società a partecipazione pubblica può essere contestata da esperti e attivisti. È la democrazia.

Quello che è meno legittimo è nascondere una realtà in cui per investimenti il rapporto tra rinnovabili e fossili è di uno (rinnovabili) a quindici (fossile) e mostrare invece una versione in cui ci sono solo le rinnovabili, mentre petrolio e gas vengono trattati come un imbarazzante dettaglio che sarebbe maleducato menzionare in pubblico.

Stiamo assistendo alla normalizzazione del fatto che quella di Eni sia l’unica idea possibile di transizione in Italia, una realtà parallela cui basta investire (relativamente poco, rispetto al volume complessivo) in rinnovabili senza minimamente intaccare il peso di petrolio e gas nel piano industriale. Non è l’idea della scienza, dell’Onu, dell’Agenzia internazionale dell’energia.

La crisi di cui non si parla

Intanto gennaio è stato l’ottavo mese di fila da record per aumento di temperature, negli ultimi dodici mesi abbiamo stabilmente superato quota 1,5°C di aumento del riscaldamento globale, ma tutto questo, fuori dalle bolle di chi già sa e già si preoccupa, è completamente invisibile.

Il festival di Sanremo è sempre stato permeabile alle inquietudini e alle paure della società italiana, come dimostra lo spazio conquistato dalle proteste degli agricoltori, ma la crisi climatica e l’insostenibilità del nostro attuale modello energetico rimangono in un cono d’ombra.

E stanno in quel cono d’ombra perché, attraverso una sponsorizzazione costata a Eni una cifra che gli italiani non hanno il diritto di conoscere, l’azienda oil & gas ha comprato anche il diritto a controllare il discorso pubblico, lì dove è più rilevante e può avere un impatto vero, cioè al festival della canzone.

I contenziosi climatici

Nel corso di questo mese entra nel vivo la causa intentata contro Eni da due ong centrali nell’ambientalismo italiano, Greenpeace e ReCommon, a cui l’azienda ha risposto con una controcitazione.

È tutto normale e piuttosto comune, esistono contenziosi climatici di questo tipo ormai in ogni grande democrazia occidentale, il rapporto Global Climate Litigation Report dell’agenzia ambiente dell’Onu ne ha mappati 2.180, ma l’Italia è l’unico paese dove queste cause (ce ne sono due) rimangono di fatto invisibili, ed è un altro effetto del controllo del discorso pubblico garantito dalle sponsorizzazioni.

Ogni tentativo di contestazione, per quanto blando, viene spento a colpi di fogli di via (come successo proprio a Sanremo) e muscolari identificazioni da parte della Digos, come avvenuto all’ultima edizione del Festivaletteratura di Mantova.

Nel primo anno di questa partnership tra Plenitude e Sanremo sul palco del teatro Ariston qualche frammento di questo conflitto era riuscito a bucare il muro di Eni e Rai. Era stato Cosmo che, durante la serata delle cover, aveva infilato uno «stop greenwashing» che è rimasto uno dei pochissimi momenti in cui la realtà è apparsa, quasi clandestinamente, nel mondo immaginario del festival.

Guidato da Eni, Sanremo 2024 sta trattando la crisi climatica come John Travolta ha trattato la sua imbarazzante performance di ballo: qualcosa che si può nascondere.

La realtà, però, tende sempre a vincere, il video di Travolta è diventato virale anche senza liberatoria e la crisi climatica è sempre là fuori ad attendere cantanti, conduttori e pubblico chiusi nel fortino negazionista dell’Ariston.

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