Agli incontri di primavera della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale è successo qualcosa di importante nell’ottica della crisi climatica. Come ha detto Laurence Tubiana, ceo della European Climate Foundation, «i vecchi tabù sono stati rotti e le richieste di una piena trasformazione dell’architettura finanziaria sono al centro della scena».

Il tema è la sottovalutata reazione a catena scatenata alla Cop27 di Sharm El Sheikh, che ha visto l’inizio di un rovesciamento degli schemi di potere finanziari ereditati dalla fine della Seconda guerra mondiale, pensati in un mondo vecchio, per esigenze vecchie, a specchio di una forma della politica internazionale e di una geografia che da tempo non sono più quelle del presente.

Il contenuto principale della ribellione dei paesi emergenti e in via di sviluppo alla Cop27 era stato: Banca mondiale e Fondo monetario internazionale sono infrastrutture finanziarie non adeguate a rispondere alla crisi climatica, quindi devono cambiare. Come dice Tubiana: «La nostra attuale architettura finanziaria non è pronta ad affrontare la doppia morsa di vulnerabilità climatica e stress da debito. Le disuguaglianze fondamentali di questo sistema si correggono a partire dalla crisi debitoria».

Soffocati dal debito

A Cop27 si è cristallizzato il fronte del «mondo altro», un’alleanza di alleanze che va dal Brasile di Lula al Pakistan devastato dallo spaventoso monsone dello scorso autunno, da Barbados capo sindacalista delle economie di bassa classe media mondiale devastate dagli eventi estremi ai paesi più poveri dell’Africa sub-sahariana.

Tutti dicono la stessa cosa: possiamo anche affrontare la crisi climatica, ma solo se non siamo contemporaneamente soffocati dal debito. Dal 2008 l’esposizione debitoria delle economie in via di sviluppo ed emergenti è salita da 1,4 triliardi di dollari a 3,9 triliardi di dollari, secondo un report diffuso dal Global Policy Centre della Boston University. Ci sono 812 miliardi di dollari di debiti da ristrutturare al più presto per evitare il collasso di 61 paesi.

E secondo Action Aid il 93 per cento dei paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico sono paesi che hanno uno stress debitorio alto. E quindi, tradotto: alle attuali condizioni di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, questi paesi o ripagano il debito o investono in adattamento contro desertificazione, innalzamento del livello del mare, uragani, tifoni e cicloni. E già oggi, sempre secondo Action Aid, il 60 per cento di questi paesi disinvestiranno sulla resilienza climatica a causa del loro indebitamento internazionale. Una spirale da cui solo le Banche multilaterali di sviluppo possono tirare fuori l'umanità, diventando a loro volta strumenti di adattamento climatico.

Timidi passi

Una metamorfosi di questo tipo non poteva avvenire in pochi mesi, e infatti gli incontri di primavera di Fondo monetario internazionale e Banca mondiale ci hanno detto che il tema è nelle mappe e nell’orizzonte, ma i passi sono stati ancora troppo timidi. Le istituzioni internazionali provano a tappare le falle della propria inadeguatezza senza cambiare il meccanismo generale.

Un primo segnale, però, era arrivato con la sostituzione del presidente della World Bank: dopo Cop27 era ormai insostenibile avere un negazionista climatico come David Malpass alla guida di un’istituzione di questo tipo, e infatti è stato mandato via con un anno di anticipo ed è stato sostituito da Ajay Banga, ex ceo di Mastercard.

La Banca mondiale ha pubblicato un aggiornamento del suo piano di sviluppo, che prevede la riforma di policy e metodi, per mettere il clima al centro della propria agenda. Ha leggermente aumento la propria capacità di prestiti a condizioni agevolate, con 4 miliardi di dollari aggiuntivi, e ha annunciato la sua intenzione di mobilitarne altri 50 nel prossimo decennio per le sfide climatiche. Tra i piani c’è la creazione di un programma ibrido tra capitale pubblico e privato.

Secondo il V20, il gruppo dei paesi più vulnerabili alla crisi climatica, tutto questo non è ancora abbastanza: servono più soldi, serve più capacità di consegnarli in fretta (contro i disastri il fattore tempo è decisivo), servono condizioni migliori. Le prossime tappe sono il Global Pact summit a Parigi, i prossimi meeting di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale a Marrakesh, e infine Cop28 a novembre, dove si vedranno anche i progressi per la parte operativa del fondo loss and damage.

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