Lupi e sciacalli sono alle porte delle città. Non è una metafora. Gli animali predatori sono scesi dai monti in pianura e stanno occupando le oasi naturali e quelle aree marginali, semiabbandonate, tra campagna e città. Gli avvistamenti nelle periferie sono sempre più numerosi, tra eccitazione e spavento della società umana, suscitando un’attenzione e un allarme inversamente proporzionali all’esiguità dei numeri assoluti. Le stime attuali indicano in 2.500 i lupi e 150 gli sciacalli. A pietra di paragone i cinghiali sono 900mila, i caprioli 450mila.

«È un fenomeno interessante, sempre più diffuso – spiega Piero Genovesi, responsabile del Servizio coordinamento fauna selvatica dell’Ispra – ci sono branchi di lupi che si spingono dentro Roma, da Fiumicino, dall’Aurelia, sulla Cristoforo Colombo. Altre segnalazioni recentissime giungono dal ferrarese, nelle valli di Argenta, nel Delta del Po, fino verso il mare Adriatico. Il lupo sta ricolonizzando il territorio italiano da nord a sud, fino agli uliveti in Salento.

Diverso il caso dello sciacallo dorato, partito dai Balcani e rapidamente diffusosi in tutta Europa, fino a raggiungere i paesi baltici. In Italia è da trent’anni in Friuli Venezia Giulia e Veneto, certo negli ultimi tempi mostra un’espansione costante sorprendente. Questi predatori non sono animali pericolosi per l’uomo, ma vanno trattati da animali selvatici quali sono, quindi nessuna confidenza, né dar loro da mangiare». Il contrario di quanto segnalato a Potenza, recentemente, e di quanto avvenne l’estate scorsa a Otranto, dove una donna fu morsicata da un lupo divenuto estremamente confidente. Dopo la cattura ora vive in cattività in un’ampia area recintata in provincia di Bologna.

Gli spostamenti

Nella dorsale appenninica in Toscana ed Emilia sembra esserci la più alta concentrazione di lupi, con colonizzazioni sempre più spinte in collina e pianura. Tanto da aver attraversato il medio Po: gli ululati ora riecheggiano anche nella bassa lombarda. Territorio prediletto sembrano essere le province di Parma e Reggio Emilia. «Nel corso del tempo – dice Luigi Molinari, zoologo del Wac, Wolf appennin center del Parco dell’Appennino Tosco Emiliano – abbiamo curato da ferite e rimesso in libertà 30 lupi, dotandoli di radiocollare. Questo ci permette di compiere rilevazioni satellitari e così tracciare mappe dei movimenti notturni.

Notiamo ad esempio che c’è un branco stabile posizionato tra quattro stalle di bovine da latte in un determinato punto della collina reggiana. Di giorno stanno acquattati, di notte perlustrano i dintorni, visitando le letamaie, alla ricerca di placente o carcasse di vitelli morti, smaltiti non correttamente. I parti delle vacche si succedono ogni tre quattro giorni, e per i lupi è come accomodarsi al ristorante».

Altri esemplari con il radiocollare agiscono da “dispersal”, ossia vagano alla ricerca di territori liberi, dove stabilirsi. Un lupo partito da Imola è arrivato fino a Piacenza, dove ha trascorso l’estate, tra la periferia e le isolette sul Po. Un altro, chiamato Ettore, da mesi si è insediato nella campagna parmense e compie spesso incursioni fino al carcere, nella periferia est di Parma. Nei pressi, due chilometri più a nord, a Pedrignano, un mese fa è stato fotografato a sorpresa un predatore mai visto prima: lo sciacallo dorato. E lo scorso 8 gennaio, al secondo appostamento notturno tramite stimolazioni bioacustiche (ossia riproducendo l’ululato sciacallesco) un nucleo di esperti naturalisti accompagnati dal Comando dei Carabinieri forestali di Parma, hanno ricevuto ululati in risposta, in quattro distinti momenti, potendo appurare che si tratta di una famigliola di sciacalli con almeno tre componenti.

Verso sud

A guidare i tecnici c’era Luca Lapini, zoologo del Museo Friulano di storia naturale di Udine, entusiasta della scoperta: «È il primo gruppo riproduttivo a sud del Po. Segna un momento importante nell’espansione dello sciacallo dorato, specie diffusa in tutto il settentrione. Di solito frequenta ambienti umidi, pedecollinari, ma essendo un animale sinantropico ci aspettavamo accadesse di trovarlo tra fabbriche e agglomerati urbani come avviene a Pordenone, nei pressi di Gardaland e ora a Parma.

Si può dire che in natura si va verificando una competizione triangolare tra lupo, sciacallo e volpe a cui, per certi versi, possiamo aggiungere il cane». «Lo sciacallo raggiunge un peso di 10-15 chili, - spiega Emanuele Fior, tecnico del settore Conservazione dell’ente Parchi del Ducato, che ha partecipato al rilevamento - ha una taglia intermedia tra il lupo, che può raggiungere i 30 chili, e la volpe. Quest’ultima è specie cacciabile, mentre lo sciacallo è protetto, come il lupo. È raro vederlo poiché è animale completamente notturno, è predatore dei piccoli mammiferi, come topi e arvicole, ma onnivoro e oltre alle carcasse si ciba di frutta, cereali e scarti alimentari in genere».

Evidentemente nell’areale dell’industria agroalimentare ha trovato un habitat ideale. Ma dove possono nascondersi questi predatori durante il giorno in pianura, dove i boschi non ci sono? «Basta veramente poco: canneti e cespugli lungo i fossi, macchie spontanee in aree dismesse o degradate. Luoghi non frequentati dall’uomo, anche se in prossimità di aree urbane».

E poi ci sono i parchi naturali, come il Parco del Taro, uno dei primi luoghi ad ospitare il lupo in pianura, già da anni. Quattro mesi fa il capobranco, il lupo Vincenzo, è morto, investito da un auto. «Nel giro di due mesi è stato rimpiazzato da un nuovo lupo alfa – sorride Fior – che abbiamo soprannominato Pablo, come Picasso, per un ciuffo bianco nella coda, che sembra un pennello. Non sappiamo se sia un giovane del branco o un arrivo da fuori. Fatto sta che il branco di 8-9 lupi è rimasto, mantenendo l’equilibrio».

La dieta del lupo varia in base all’altimetria: se in montagna è al 90 per cento di ungulati (caprioli, cervi, cinghiali) più si scende di quota, più si fa variegata: a parte il “contributo” delle stalle, e rimanendo la caccia agli ungulati, vicino ai fiumi azzanna la nutria, roditore infestante che forse nel lupo ha trovato il suo predatore naturale. C’è poi il capitolo degli attacchi agli allevamenti, ovini e bovini, più sporadici.

«Si verificano – circostanzia Genovesi – e pur provocando danni limitati, sui 50mila euro l’anno in Lessinia (Verona) e altrettanti in Piemonte, non vanno minimizzati poiché incidono su settori già provati economicamente e socialmente». Giusto in Piemonte il lupo sta allargando i suoi confini. «I branchi di lupo hanno colonizzato tutte le Alpi occidentali, con areali di 200 kmq – afferma Francesca Marucco, coordinatrice scientifica del progetto Life Wolfalps Eu, Università di Torino – e dove c’è un branco non c’è spazio per altri, così i giovani lasciano i territori e si spingono verso est, Svizzera, Lombardia, Trentino, oppure provano in collina e pianura in zone quali Roero e le Langhe, che si sono inselvatichite e sono ricche di caprioli e cinghiali. In pianura, specie in provincia di Alessandria, siamo a campo aperto e ci sono anche case. Così capita di avvistarli con maggior frequenza».

Il dibattito

Da nord a sud, da Aosta a Potenza, quasi ogni giorno sui giornali locali e sui social, sono pubblicate foto di lupi, e altri predatori, nei contesti più vari. Spesso scatenando dibattiti polarizzati pro e contro, con migliaia di commenti. Specialmente quando vi sono predazioni di cani e gatti domestici. «Questo avviene perché il lupo è radicato nel nostro immaginario dalla preistoria – dice Riccardo Rao, storico medievalista dell’università di Bergamo, autore del libro Il tempo dei lupi – e se in epoca remota era simbolo di coraggio positivo (pensiamo al mito fondativo di Roma, ndr) dall’affermarsi della cristianità le cose cambiano per due motivi: da un lato l’immagine metafora del pastore che conduce il gregge di fedeli viene esasperato e il lupo non è più solo l’allegoria del male spirituale; dall’altra nel medioevo si sviluppa la transumanza e di conseguenza il forte conflitto tra allevatori e cacciatori verso il lupo, che cerca di predare le pecore e anche i giovanissimi pastorelli, cui sono affidate le greggi.

È un bagaglio ancestrale di mille anni che ci portiamo dentro. E si nota nell’evoluzione della fiaba di Cappuccetto rosso, che oggi si tramuta di nuovo nel finale, con il lupo buono, come era nell’originale di Edgardo di Liegi, nell’XI secolo, per via della veste rossa, salvifica per i cristiani». Dai motivi ancestrali all’interesse scientifico e sociale, in ottobre è partito un mastodontico monitoraggio del lupo, voluto dal ministero dell’Ambiente e coordinato da Ispra, con la partecipazione di oltre 30 tra enti e associazioni ambientaliste, in mille celle territoriali sulla penisola, di 100 kmq l’una, con quattromila volontari impegnati nella raccolta dati per scattare una fotografia al lupo italiano. Tra questi, Paolo Mainardi dell’Osservatorio Lupi Wwf di Fidenza: «Siamo un gruppo di sei volontari, appassionati di natura. Mettiamo fototrappole e raccogliamo dati, che poi giriamo al Wac. Il lupo esercita un fascino particolare, è un animale totemico. A seguito di un webinar Wwf dedicato al lupo in pianura stiamo ricevendo tantissime richieste per creare nuovi gruppi osservatori, da tutto il centro nord Italia».

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