La morte di Andrea Papi sul monte Peller in Trentino, ucciso dall’orsa JJ4, è una tragedia umana ed ecologica, e racconta molto più del fallimento nella gestione di questa popolazione introdotta in Trentino negli anni Novanta. Il disegno più grande ci parla dell’abbandono politico delle montagne e dell’incapacità italiana di affrontare in modo scientifico e razionale le sue questioni ambientali. C’è una frase illuminante, in questo senso, e l’ha scritta Paolo Cognetti su Repubblica.

Dice Cognetti che il bosco in Italia ha superato gli 11 milioni di ettari ed è ormai un terzo del paese, ed è vero. Ma poi: «È come dire che due terzi dell’Italia sono usati dall’uomo e un terzo è a disposizione dei selvatici».

Questo è il pensiero di abbandono alla base del tracollo sociale e ambientale dell’ambiente montano. Circa dieci milioni di italiani vivono in aree che potremmo definire montane o interne e anche la salute e il benessere degli altri cinquanta milioni dipende da quel fragile presidio: contenimento degli incendi, tenuta dei versanti, qualità dell’acqua, assorbimento di carbonio, prodotti legnosi e non legnosi delle foreste.

Un paese forestale

L’Italia non è il Canada dei grandi spazi selvaggi, le foreste primarie sono sparite dal tempo dei romani, ogni ambiente che percepiamo come naturale ha preso la sua forma per effetto di dinamiche umane. La wilderness italiana è una fantasia urbana, non esisterà mai una linea di demarcazione al di là della quale vivono orsi e lupi e al di qua gli umani.

Quello che qualcuno chiama inselvatichimento in realtà è abbandono. E l’abbandono è pericoloso, non solo per le comunità che resistono in altitudine facendo un servizio a tutti noi, ma anche per la tenuta ecologica del paese.

L’habitat boschivo dove ha incontrato la morte Andrea Papi è raddoppiato in meno di un secolo, la superficie forestale di recente ha superato quella agricola, siamo un paese con più boschi che campi. Marco Bussone è il presidente di Uncem, l’Unione dei comuni e delle comunità montane, ed è uno dei massimi conoscitori dell’innesto tra politico ed ecologico: «I paesi di montagna non sono altro rispetto al bosco, sono immersi nel bosco, così come le attività, le manifatture o gli spazi ludici», spiega. «L’Italia è un grande paese forestale ma se ne ricorda solo quando c’è una tragedia».  

Insegnare la convivenza

La reintroduzione dell’orso e il ritorno del lupo sono tra le poche vittorie ambientali nella storia di questo paese. L’unico modo per preservarla è accettare che con gli orsi introdotti con il programma Life Ursus non si è creato nessuno spazio selvaggio di esclusiva pertinenza della fauna, ma si è inaugurata una convivenza, da governare nella sua complessità.

Che passa dallo straziante ma necessario abbattimento di JJ4, ma anche dall’offrire alle comunità un’alternativa al demenziale populismo specista della Lega, che applica il giochino usato con i migranti all’orso straniero venuto dall’est e riscuote consenso nell’esasperazione di agricoltori, allevatori, malgari, gestori di attività turistiche.

La lettura ambientalista di questa storia non può essere: «Siamo a casa dell’orso, ospiti nel suo territorio». Nessuno è ospite di nessuno, la convivenza passa dalla ricerca sulla loro salute genetica, da infrastrutture tattiche (come i cassonetti anti orso per evitare che i paesi diventino fonte di cibo, o lo spray per escursionisti proposto dal Wwf) ma soprattutto da un vasto programma di formazione ed educazione.

Così come non basta piantare gli alberi, ma bisogna seguirne la crescita, allo stesso modo non si possono introdurre gli orsi e non preparare la popolazione alla convivenza.

Il disastro

Ed è qui che arriva il tema più grande: non sappiamo gestire la convivenza con 120 orsi così come non riusciamo ad amministrare l’acqua, l’ossigeno, il suolo. Una casa vuota diventa diroccata, ed è quello che succede sulle montagne italiane non sottoposte alla monocultura del turismo.

Abbiamo reintrodotto gli orsi nelle stesse valli in cui abbiamo chiuso scuole e presìdi sanitari, le valli di Lanzo sulle Alpi Graie sono le ultime in ordine di tempo a essere rimaste senza un pediatra. «Gli abitanti di montagna si riducono, l’Italia ha colto l’opportunità di disinvestire nei servizi base, più disinvestiamo, più si svuotano», dice Bussone.

Solo una classe politica incapace di pensare in qualunque cosa sopra i 500 metri di altitudine poteva incoraggiare una direzione simile. «In Italia non riconosciamo che le geografie sono una questione politica».

C’è una faglia tra i pochi italiani che amministrano il futuro ecologico del paese e gli altri, la morte di Papi rischia di scavare un solco. E non ci sarebbe niente più tossico che dividersi nella fazione che vuole il genocidio degli orsi e in quella che vuole lo svuotamento delle valli.

«Serve ascolto», conclude Bussone. «Noi montanari ci abbiamo messo del nostro, non sappiamo comunicare, non sappiamo farci rappresentare, ma questa è la storia di comunità che da troppo tempo non vengono ascoltate».

La frana, il terremoto, l’alluvione, l’orso, persino l’olimpiade, tutto quello che riguarda le montagne viene deciso sulla base di ondate emotive estemporanee, ma questo è il momento di accettare la responsabilità della gestione, perché la gestione salva vite. Non esiste nessun’Italia selvatica, esiste l’Italia di umani, orsi e lupi che devono vivere sullo stesso territorio.

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