Le profondità degli oceani sono buie, non si era mai parlato tanto di quel buio quanto questa settimana, a causa dell'incidente del sottomarino Titan. Questa storia ci ha spinto a interrogarci su quel buio: è giusto esplorarlo? Per quali motivi è giusto esplorarlo? Chi ne ha diritto? Com'è morire in quel buio? Com'è avere paura in quel buio? E poi il capitalismo, il turismo estrattivo e performativo, annegare da ricchi e annegare da poveri, ovviamente le orche.

Quel buio, come ogni buio, ha un antidoto. «Trascinate una rete sotto una nave praticamente ovunque sotto la linea di confine dell'oscurità e quasi ogni animale che tirerete su con quella rete sarà un animale che fa luce», scrive l'oceanografa Edith Widder nel suo libro Below the Edge of Darkness. Un mondo buio pieno di creature che hanno imparato a creare la luce. Alghe unicellulari che la usano per lanciare allarmi, crostacei che producono vomito blu per distrarre i predatori. Bioluminescenza, ovvero convertire l'energia chimica di un corpo in energia luminosa. Gli organi che fanno questa conversione si chiamano fotofori, di solito sono delle dimensioni di pochi millimetri, perché fare luce è un processo costoso, un lusso da dosare.

E poi ci sono animali come il Taningia danae, il calamaro polpo gigante, che può arrivare a quasi tre metri di lunghezza e ha fotofori grandi come limoni. «La luce più grande nelle profondità del mare». Perché hanno queste dimensioni? A che servono? A cacciare o a difendersi, a vivere o a sopravvivere? Perché dedicare tanta energia a fare tutta quella luce? Non lo sappiamo, perché tutta la nostra capacità di deduzione e di ricerca si scontra con il fatto che noi questi animali non li vediamo vivere nel loro ambiente naturale, li possiamo solo immaginare lì.

Abbiamo studiato i fotofori del Taningia danae presi dal ventre di capodogli, o intrappolati nelle reti, o negli acquari, niente che ci aiuti a capire, perché il buio non ha laboratori, non possiamo né replicare né osservare quelle condizioni, eppure avremmo bisogno, e desiderio, e diritto, di capire. E forse un giorno capiremo.

Quello che succede sotto la linea dell'oscurità, nell'oceano, è una domanda alla quale siamo tutti tentati di dare risposte. Chi ha un quarto di milione di dollari per un biglietto, ci va, e magari non torna indietro. È il capitalismo, ma è anche la natura umana. Questo è l'episodio numero 128 di Areale, buongiorno.

Atlantico in soffocamento, Artico in mutazione

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Più in superficie, prosegue l'eccezionale ondata di calore che ha colpito l'Oceano Atlantico. «La più forte che stia colpendo la Terra in questo momento», ha detto alla Cnn Mika Rantanen del Finnish Meteorological Institute. Terra che in questo momento è colpita da ondate di calore simultanee in Cina, India, Stati Uniti, Europa. L'ondata di calore oceanica è stata valutata di «categoria 4» dal National oceanic and atmospheric administration (Noaa). Traduzione: «estrema», si estende dall'Islanda ai Tropici, con i picchi peggiori al largo del Regno Unito e dell'Europa nord-occidentale, dove in alcune zone le temperature sono di 5°C sopra le medie.

È una tendenza in corso da mesi, aprile e maggio sono stati i mesi più caldi nella storia degli oceani. «Oltre le previsioni peggiori, è spaventoso quello che sta succedendo all'Atlantico», ha detto Richard Unsworth, fondatore del Project-Seagrass e docente di bioscienze alla Swansea University.

Le ondate di calore marine stanno diventando, come molti altri eventi estremi, più comuni e più intense. La loro frequenza è aumentata di venti volte a causa del riscaldamento globale, il loro numero è raddoppiato tra il 1982 e il 2016. Siamo nel terzo mese di allarme totale consecutivo e secondo la Noaa potremmo trascinarci questa anomalia fino all'autunno inoltrato (90 per cento di probabilità che duri fino a novembre).

La vittima collaterale delle ondate di calore in Atlantico potrebbe essere il ghiaccio marino in Artico. E c'è un indizio, una spia, di un cambiamento già in corso, che va sotto il nome di atlantificazione dell'Artico.

Quella spia si chiama capelin, il mallotto, un pesce che i ricercatori del Geomar helmholtz centre for ocean research di Kiel in Germania. hanno iniziato ad avvistare nell'Oceano artico, 400 chilometri più a nord rispetto a dove si dovrebbe trovare.

Un colonizzatore dell'Atlantico settentrionale ben fuori dal suo areale, che secondo gli studiosi sta diventando più frequente da incontrare rispetto alle specie padrone di casa come l'halibut. E se lo incontriamo così a nord, la lettura è chiara: le condizioni di vita in Artico stanno diventando simili a quelle dell'Atlantico del nord. E non è una buona notizia.

Lo Stretto di Fram, tra le isole Svalbard e la Groenlandia, è già oggi più caldo di 2°C rispetto all'era pre industriale, ed è un dato spropositato, dal momento che gli oceani si riscaldano meno della superficie terrestre. Ma questo processo di atlantificazione non riguarda solo le temperature, cambia le condizioni fisiche e chimiche per la vita.

In condizioni normali, lo scambio tra le acque dell'Atlantico (più calde e salate) e quelle dell'Artico avviene solo in profondità, non ci sono scambi in superficie per via della diversa densità. Con l'amplificazione artica e la perdita di ghiaccio, la differenza di temperatura e densità viene meno, ci sono meno barriere a divedere i due oceani e inizia così l'invasione atlantica in Artico.

Le migrazioni verso i poli nord e sud delle specie marine è una tendenza molto più ampia del capelin, come ha appurato una ricerca dell'università di Glasgow, la più estesa mai realizzata su questo tema. Gli animali stanno scappando in direzione del freddo, perché il caldo di queste ondate marine è diventato insopportabile per loro.
Il 2023 sarà l’anno decisivo per comprendere l'effetto del riscaldamento globale sugli oceani e sulla vita marina, una sorta di stress test per la resistenza della biodiversità al caldo estremo, che sta facendo crollare il pH dell'acqua, sta riducendo l'ossigeno e cambiando anche il metabolismo degli animali: in acque più calde hanno bisogno di più cibo per vivere, ma in acque con meno ossigeno ci sono anche meno cibo e meno vita. Come ha spiegato Curtis Deutsch della Princeton university, a questo punto la domanda è: «Quanti estremi di temperatura così frequenti ci possiamo permettere conservando ancora popolazioni stabili?».

Per avere il senso delle proporzioni: il 90 per cento del calore aggiunto alla Terra dalle nostre emissioni tra il 1971 e oggi è stato assorbito dagli oceani. Da allora abbiamo aggiunto 381 zettajoule di calore al sistema biologico e fisico che regola la nostra vita: è come aver assorbito il calore di 6 miliardi di bombe atomiche delle dimensioni di quella che distrusse Hiroshima nel 1945. Nel 2022 abbiamo aggiunto 159 bombe atomiche rispetto al 2021, e il 2021 era stato l'anno più caldo nella storia degli oceani. Vedremo cosa ci diranno i dati alla fine del 2023.

Il trattato degli oceani in attesa di ratifica

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Intanto, una buona notizia, le Nazioni unite hanno adottato il trattato più importante nella storia della diplomazia oceanica, nome ufficiale Treaty on Biodiversity Beyond National Jurisdiction.

Lo storico accordo politico era stato raggiunto a marzo dopo quasi due decenni di negoziati, ora la sostanza è diventata anche forma, ma il processo non è ancora completo, anzi, perché i prossimi passaggi sono le ratifiche degli stati.

Dovrebbero essere solo una formalità, ma in questo mondo le formalità sono sempre da verificare alla prova dei fatti. Si potrà firmare a partire dal prossimo 20 settembre, durante l'incontro annuale dei leader mondiali all'Assemblea generale delle Nazioni unite.

Entrerà davvero in vigore quando l'avranno ratificato almeno 60 paesi. Tra i contenuti più importanti di questo accordo, le procedure per fare le valutazioni ambientali prima di avviare attività commerciali oceaniche, pesca, trasporti marittimi, estrazioni minerarie, geoingegneria, una clausola di sicurezza contro appetiti ed esplorazioni.

Inoltre, stabilisce parametri e cornici regolatorie per la creazione di aree protette fuori dalle acque territoriali. Oggi solo l'1 per cento delle acque internazionali è protetto. Insomma, una buona notizia in cammino. 

Cosa significa il referendum svizzero sul clima

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C'è un momento di stanchezza e di pessimismo nell'attivismo, è inutile negarlo. Con due elezioni-mondo che si svolgeranno nel 2024 (le europee e le presidenziali negli Stati Uniti), ci stiamo facendo tutti delle domande su quale presa hanno in questo momento le ragioni del clima e quelle della scienza.

Una risposta è arrivata dalla Svizzera, ed è una risposta importante, da prendere in considerazione nei nostri bilanci sul desiderabile, il possibile e il reale. C'è stato un referendum sulla legge clima, votata a settembre, che prevede il taglio dell'uso dei combustibili fossili e la neutralità climatica al 2050.

La legge è stata sottoposta a referendum - è il modello svizzero della democrazia diretta -, era accompagnata dal consenso di molte forze politiche ma anche dalla propaganda populista, tutta giocata sulla paura dell'inflazione e dei costi energetici, e sulla piccola quota di contributo delle emissioni della confederazione sul totale globale (la solita obiezione: e la Cina? E l'India?). Il leader del partito populista Svp, Marco Chiesa, aveva giocato la campagna sulla linea utopia contro la (sua) realtà, aveva sparato numeri fuori scala, 4,8 miliardi di euro di costi per questa presunta utopia. Insomma, artiglieria, modello Brexit 2016.

Tutto questo groviglio è stato sottoposto al voto e gli svizzeri hanno deciso, con una maggioranza del 59,1 per cento, che alla fine la vogliono una legge sul clima. Era uno stress test piccolo e locale, ma significativo. Realtà contro propaganda, e scaletta delle priorità decisa in tempo reale, nella testa delle persone e nel corpo elettorale.

La Svizzera ha perso il 6 per cento del volume di tutti i suoi ghiacciai solo lo scorso anno, un rischio per la tenuta ecologica e anche economica del paese (dove il turismo invernale, lo sappiamo, è una fonte di reddito importante). Le temperature in Svizzera si sono alzate più della media mondiale e anche di quella europea: +2.5°C. Con la transizione verso le rinnovabili ci sono anche in gioco la sicurezza e l'indipendenza energetica della Svizzera, che oggi importa tre quarti della sua energia dall'estero.

La legge clima salvata dal referendum prevede una dotazione di oltre 2 miliardi di euro per fare la transizione energetica e spingere la riconversione delle aziende e delle attività. «Sono molto felice che le ragioni della scienza abbiano vinto», ha detto Matthias Huss, il più illustre dei glaciologi svizzeri. Duecento scienziati avevamo firmato un documento di sostegno alla legge e al referendum. La scienza ha vinto, ed è un sollievo e una lezione. Non è impossibile. Niente di tutto questo lo è.

Cosa significa la repressione dei movimenti in Francia

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L'altra notizia politica della settimana arriva dalla Francia: il governo, per decisione del ministro dell'interno Gérald Darmanin, ha avviato lo scioglimento del movimento Soulèvements de la Terre, una rete di oltre 200 organizzazioni ambientaliste ed ecologiste che ha catalizzato, convogliato e portato su scala le proteste in Francia.

La più vistosa e importante: quella contro i mega bacini irrigui organizzata in primavera. Nel frattempo hanno combattuto l'industria del cemento, il tratto francese dell'alta velocità Torino Lione e altri grandi progetti infrastrutturali. Sono stati chiusi attraverso una legge del 1936 usata per finalità anti-terroristiche contro 33 organizzazioni diverse dal 2017 a oggi.

«Il governo sta cerando di farci scomparire, ma nella realtà noi stiamo soltanto diventando sempre più visibili», hanno fatto sapere da Soulèvements de la Terre, oltre all'intenzione di fare appello contro la decisione.

Non è la fine della storia, questa decisione del governo francese, ma semplicemente l'inizio di una delle battaglie legali e politiche più importanti di quest'anno: repressione, diritto di protesta, tenuta della democrazia, in questa vicenda c'è tutto quello che è importante. Si sono già schierate le organizzazioni per i diritti umani, a partire da Amnesty International, e anche la sinistra istituzionale francese (la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, Jean-Luc Mélenchon).

Il governo francese ha contestato le azioni violente di Soulèvements de la Terre, ma probabilmente quello che ha davvero spinto Darmanin a dare seguito a questo scioglimento (annunciato mesi fa) sono la scala del movimento e la sua capacità di mobilitazione. Secondo la CNN, ha 110mila membri registrati, una massa critica con pochi eguali nelle altre società europee, creata con una cosa che sta mancando, per esempio, in Italia: l'aggregazione.

E sono proprio l'aggregazione, la capacità di costruire una rete in grado di essere più della somma delle parti, il segreto del successo di Soulèvements de la Terre e della reazione che ha scatenato. Lo scioglimento, arrivato proprio mentre Parigi ospitava un summit sulla finanza climatica fortemente voluto dal presidente Macron, è la misura della forza di questo movimento. C'è qualcosa da imparare qui, ed è una storia da seguire, e la seguiremo.

Per questa settimana è tutto, se hai voglia di scrivermi, il mio indirizzo è ferdinando.cotugno@gmail.com. Per comunicare con Domani, invece, la mail è lettori@editorialedomani.it.

Buon sabato!

Ferdinando Cotugno

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