In prossimità del Polo Nord c’è quello che i meteorologi chiamano “vortice polare”: un’area di bassa pressione che staziona sopra il polo. Lo si immagini come una trottola che gira su se stessa in senso antiorario. Talvolta il vortice diviene meno stabile e si espande creando ai suoi bordi insenature e lobi in grado di spingere aria fredda e neve sull’Europa, sugli Stati Uniti orientali e in Asia orientale anche per settimane. Il fenomeno è del tutto naturale ed è noto da almeno 150 anni, ma sembra possa essere alterato dai cambiamenti climatici in atto. Lo afferma Judah Cohen dell’Atmospheric and environmental research in Massachusetts.

Quali conseguenze può causare un’alterazione al vortice? Un passo indietro: ricordiamoci che l’artico si sta riscaldando più velocemente di qualsiasi altra area del pianeta, perciò la copertura di ghiaccio marino si sta riducendo. Ciò comporta una maggiore umidità che dal mare migra verso l’interno della Siberia che in inverno è normalmente secca. L’umidità si trasforma in neve, che riflette il calore nello spazio rendendo la Siberia più fredda del normale. Ciò causa una destabilizzazione del vortice polare che ha come effetto una discesa di aria fredda verso le montagne Rocciose degli Stati Uniti, l’Europa settentrionale e l’Asia orientale.

«È come se la trottola che ruota con regolarità iniziasse a battere contro qualcosa, con oscillazioni» dice Cohen. «In Siberia le nevicate dell’ultimo mese sono state superiori alla media: c’è da aspettarsi anche tutto il resto». L’ipotesi di Cohen è stata pubblicata su Nature, non tutta la comunità dei climatologi e meteorologi è d’accordo ma è comunque evidente che un vortice polare non lineare porta a inverni più freddi in alcune parti dell’emisfero settentrionale. Secondo Cohen le oscillazioni possono anche dividere in due la circolazione del vortice polare portando aria ancor più fredda verso l’Europa e il Nord Atlantico. Non è facile prevedere l’arrivo di simili situazioni se non qualche giorno prima, ma quando succede il freddo che scende dal Polo Nord può persistere anche due settimane.

L’aumento della temperatura terrestre non porta solo a siccità, incendi o altro in estate, ma anche a fenomeni estremi in inverno, imprevisti pochi anni fa.

Covid-19 non ci salva dalla CO2

Quest’anno i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera sono destinati a raggiungere un valore che sarà del 50 per cento più alto rispetto a quello prima della rivoluzione Industriale. Lo prevede il Met Office britannico. Le concentrazioni di anidride carbonica (CO2) che si registreranno nel 2021 supereranno le 417 ppm (parti per milione; significa che immaginando un milione di molecole dell’aria 417 sono di CO2) tra aprile e giugno, il che vuol dire il 50 per cento in più rispetto alle 278 ppm presenti alla fine del XVIII secolo, quando iniziò la rivoluzione Industriale. E questo nonostante il fatto che nel 2020 vi sia stato un calo nella crescita di emissioni in seguito alla pandemia.

Dice Richard Betts del Met Office: «La CO2, un volta immessa nell’atmosfera, vi rimane a lungo e le emissioni di ogni anno si sommano a quelle dei precedenti. Sebbene la pandemia abbia frenato in tutto il mondo l’immissione in atmosfera di anidride carbonica, quella prodotta si è comunque andata ad aggiungere a quella già esistente».

Ciò significa, secondo il Met, che ci sono voluti circa 150 anni perché le concentrazioni di CO2 aumentassero del 25 per cento, ma ora in soli 30 anni ci si sta avvicinando a un aumento del 50 per cento. La presenza di CO2 nell’atmosfera viene misurata con estrema precisione dal 1958 dal Centro per il rilevamento dell’anidride carbonica al Mauna Loia, alle Hawaii. Se la previsione del Met si avvererà, come è assai probabile, saremo ben lontani dal realizzare gli accordi di Parigi, stando ai quali la maggior parte dei paesi del mondo si impegnarono di frenare il più possibile le emissioni di CO2 per tenere al di sotto di 1,5 gradi centigradi la crescita della temperatura terrestre rispetto a quella pre-industriale.

La siccità “raddoppia”

Alla Michigan State University si deve un importante studio su come i cambiamenti climatici potrebbero influenzare la disponibilità di acqua agli abitanti del pianeta. Le conclusioni, apparse su Nature Climate Change, dicono che entro la fine del secolo raddoppieranno le aree della superficie terrestre (e corrispettiva popolazione) colpite da periodi di siccità estreme: passeranno dal 3 per cento del periodo 1876-2005 al 7 o 8 per cento.

Yadu Pokhrel, principale autore della ricerca, dice che «se la situazione climatica continua come negli ultimi decenni e la gestione dell’acqua rimane simile all'attuale, la crescita della popolazione che dovrà combattere la siccità aumenterà drasticamente, colpendo maggiormente le aree dell’emisfero meridionale, dove le siccità si abbattono già duramente. Ciò porterà a migrazioni, conflitti e instabilità alimentare».

Lo studio tiene conto dell’accumulo di acqua nei fiumi, laghi, bacini idrici, nelle zone umide e non ultimo nella neve, dalla superficie al sottosuolo fin dove è tecnicamente possibile reperire acqua, e le precipitazioni future. «I risultati sono di grande preoccupazione», dice Pokhrel. «Le previsioni sono molto realistiche perché abbiamo utilizzato numerosi modelli matematici messi a confronto e tutti portano a medesimi risultati». La ricerca ha utilizzato 27 simulazioni di modelli idrologico-climatiche globali che coprono un periodo di 125 anni, grazie al progetto Inter-Sectoral Impact Model Intercomparison Project, di cui Pokhrel fa parte.

Mai così caldi gli oceani

Il 2020 è stato tra gli anni più caldi dal 1850, e non solo: uno studio apparso su Advances in Atmospheric Sciences mostra che la temperatura media globale degli oceani nel 2020 è la più calda mai registrata; e i cinque anni più caldi mai registrati si sono verificati tutti dal 2015.

I dati del 2020 evidenziano che lo strato dell’oceano tra la superficie e i duemila metri di profondità, ha assorbito 20 Zettajoule di calore rispetto all’anno prima, equivalenti al calore prodotto da 630 miliardi di asciugacapelli in funzione giorno e notte per un anno. Simona Simoncelli dell’INGV di Bologna, coautrice italiana dello studio con Franco Reseghetti dell’ENEA, dice che «il 90 per cento del calore del riscaldamento globale finisce negli oceani: il riscaldamento globale è riscaldamento dell'oceano. Oceani più caldi influiscono notevolmente sulle condizioni meteorologiche locali, generando tempeste più potenti e favorendo l’innalzamento del livello del mare. Questa ricerca è l’ennesimo segnale della necessità di agire al più presto per limitare gli effetti del cambiamento climatico».

Il lavoro dà anche un quadro sul lungo termine: risulta infatti che ciascuno degli ultimi nove decenni è stato più caldo del decennio precedente. Il Mediterraneo non è da meno rispetto agli oceani, anzi: è il bacino con il tasso di riscaldamento maggiore negli ultimi anni; prosegue il processo iniziato una trentina di anni fa.

Il più antico disegno di animale

In Indonesia è venuto alla luce il più antico disegno di un animale: risale a 45.500 anni fa. Si tratta di un maiale peloso e verrucoso, conosciuto con il nome scientifico di Sus celebensis. I pittori indonesiani utilizzarono ocra rossa per realizzare il dipinto, con un risultato unico.

Adam Brumm della Griffith University australiana ha condotto le ricerche e dice che «questi animali sono ancora presenti in Indonesia, anche se in numero sempre minore». Lo studio, pubblicato su Science Advances, mostrerebbe come l’Indonesia sia un’area di grande importanza per l’arte rupestre, dove nacque ben prima che in Europa. Il disegno è lungo 136 centimetri per 54 ed è contornato dall’impronta di due mani impresse sulla groppa dell’animale. In una grotta vicina a questa c’è un altro dipinto, ancor più grande, ma le condizioni ambientali sono tali da aver impedito per ora di definirne l’età.

Prima del ritrovamento, il più antico dipinto di animale noto risaliva a 43.900 anni fa, anch’esso in una grotta dell’isola.

Il più antico disegno noto in assoluto fu dipinto su una roccia del Sud Africa 73mila anni fa.

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