«Il Brasile è tornato». Nel suo primo viaggio all’estero da quando è stato eletto presidente, Lula è stato accolto come un liberatore a Cop27, la conferenza sui cambiamenti climatici in corso in Egitto, con folle e cori da stadio che hanno seguito ogni suo passo nel centro congressi di Sharm El Sheikh.

In dote, Lula ha portato il suo «whatever it takes forestale», la promessa di mettere fine a qualsiasi costo alla deforestazione dell’Amazzonia, uscita a pezzi dalla presidenza Bolsonaro e prossima al suo punto di non ritorno ecologico. Ha confermato la creazione di un ministero dei popoli indigeni, ai quali affiderà la tutela della biodiversità amazzonica e che sarà probabilmente affidato all’attivista per l’ambiente Sônia Guajajara.

E ha anche chiesto al segretario generale delle Nazioni unite Guterres di ospitare in Brasile, proprio in Amazzonia, la Cop30, la conferenza sul clima che si terrà nel 2025 (la prossima sarà a Dubai e per la successiva è candidata l’Australia).

Confronti

Lula ha anche incontrato le due figure chiave di questo vertice, gli inviati per il clima degli unici due paesi che possono sbloccare un negoziato incagliato: John Kerry (Stati Uniti) e Xie Zhenhua (Cina). È il segno che Lula vuole fare del Brasile un leader globale della lotta ai cambiamenti climatici, rovesciando la narrativa degli anni di Bolsonaro, che ne avevano fatto uno stato canaglia dell’ambiente.

Il nuovo presidente eletto non intende solo avviare il processo interno di decarbonizzazione, che per il Brasile passa dal portare l’Amazzonia lontana dal baratro dove si trova ora, ma si è presentato anche come uno dei leader del sud globale e di tutte le sue battaglie, con l’ambizione di diventare punto di riferimento per il blocco dei vulnerabili, un ruolo che a oggi solo la Cina di Xi Jinping è stata in grado di svolgere, con tutte le ambiguità del caso, visto che la Cina gioca due partite in una: superpotenza e paese in via di sviluppo.

Un senso di futuro

Copyright 2022 The Associated Press. All rights reserved

In questo vertice sul clima povero di buone notizie e di speranza, Lula ha portato un senso di futuro che sembrava smarrito. «È l’Obama di quest’anno», ha commentato Adam Vaughan, corrispondente del Times, riferendosi all’intervento dell’ex presidente Usa a Glasgow nel 2021.

La Cop27 si sta aggrappando alle figure carismatiche dal sud globale per andare avanti, nonostante il fallimento della guida egiziana del negoziato, caotica e piena di conflitti di interesse.

Durante la prima settimana il faro è stata la forza calma della premier di Barbados Mia Mottley, col suo piano per affrontare gli squilibri climatici ristrutturando la finanza internazionale. La seconda è stata dominata dall’attesa e poi dall’entusiasmo per l’arrivo di Lula, che con la sua vittoria di ottobre ha indicato una via ecologica per la sconfitta dei sovranismi.

Un nuovo Brasile

Il presidente eletto del Brasile ha messo sul piatto la promessa di un nuovo Brasile ecologista, in grado di combinare la salvezza delle foreste e lo sviluppo dell’agricoltura, ma ha anche chiesto in cambio la creazione di «un nuovo ordine internazionale», rafforzando l’idea che questo negoziato sul clima parli sempre meno di ambiente e sempre più di come si governa il mondo.

«Il potere di veto di cinque paesi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, ereditato dalla fine della Seconda guerra mondiale, è un privilegio al quale dobbiamo mettere fine, i cambiamenti climatici ci stanno dicendo soprattutto una cosa: abbiamo bisogno di una nuova governance globale».

Il discorso di Lula ha travolto lo sconforto di Cop27 come un uragano, il suo è stato uno dei discorsi più importanti mai pronunciati a una conferenza sui cambiamenti climatici. «Senza ridurre le diseguaglianze tra ricchi e poveri non c’è futuro per questo pianeta. La lotta alla crisi climatica è inestricabile dalla lotta alla povertà. Durante la campagna elettorale ho detto che non ci possono essere due Brasile, oggi vi dico che non ci sono due pianeti Terra. Il contributo del Brasile sarà fatto di due parole, speranza e azione».

In cerca di un compromesso

Copyright 2022 The Associated Press. All rights reserved

Lula ha consegnato un discorso alto e retorico, ma è anche entrato nella materia viva del negoziato che sta dilaniando Cop27: il riconoscimento del diritto dei paesi poveri colpiti dalla crisi climatica a essere risarciti, attraverso la creazione di uno strumento finanziario operativo già dal 2024.

Cop27 si sta muovendo sul ghiaccio sottile, alla ricerca di un compromesso molto difficile e il discorso di Lula è destinato a cambiare gli equilibri. «Dobbiamo creare questa struttura finanziaria per aiutare i paesi la cui integrità fisica è compromessa dai cambiamenti climatici, non possiamo più sprecare tempo, stiamo vivendo una corsa verso l’abisso».

Il discorso di Lula galvanizza i paesi in via di sviluppo e mette in un angolo gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Biden e il vicepresidente della Commissione europa Timmermans hanno portato buoni risultati nella riduzione delle emissioni, ma sono stati accolti con freddezza. Il «mondo degli altri» chiede molto di più: un riconoscimento delle responsabilità storiche di questo disastro che si traduca in soldi, risorse e fondi. Dal discorso di Lula l’occidente esce ancora di più in un angolo. 

© Riproduzione riservata