Se facessimo in questo momento una fotografia dell’emisfero settentrionale, vedremmo una lunga striscia di fuoco che attraversa praticamente ogni continente. Gli incendi sono fenomeni locali con cause e soluzioni locali, ma la tendenza dei roghi ad andare fuori controllo e diventare ingovernabili è una delle principali questioni legate all’adattamento alla crisi climatica in corso. California, Oregon, Sardegna, Sicilia, Grecia, Turchia, Siberia: il nord del mondo è attraversato da una costellazione di incendi con una serie di cause in comune, elevate temperature, estati più lunghe, stress idrico, biomassa infiammabile.

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Stati Uniti

I grandi roghi forestali degli Stati Uniti in questo momento sono dodici, coinvolgono principalmente la California e l’Oregon, procedono con un tasso di sviluppo e crescita che sembra peggiore della catastrofica estate del 2020, hanno già sviluppato sistemi meteorologici autonomi (con i tragicamente spettacolari firenado) e le conseguenze atmosferiche sono state avvertite fino all’altra costa, quella atlantica, con una spettrale coltre di fumo che ha avvolto New York.

Il Dixie Fire, il più grande della California in questo momento, ha già bruciato oltre 80mila ettari, il Bootleg Fire in Oregon quasi il doppio. I due incendi ci raccontano storie diverse ed entrambe ci riguardano: quello californiano si sviluppa in un’area popolata, minaccia migliaia di persone e ricorda sinistramente il Camp Fire, l’incendio boschivo con più vittime (85) della storia americana. Peraltro entrambi erano stati causati da una compagnia energetica, la Pacific Gas & Electric (per il Camp Fire già condannata). Il Bootleg Fire invece ha coinvolto foreste che erano state vendute nel mercato del carbon offset, il sequestro di carbonio dall’atmosfera in cambio di crediti. Ora quelle foreste non ci sono più, il carbonio è tornato nell’atmosfera e nessuna emissione è stata quindi risparmiata. È un fatto da ricordare quando le aziende equiparano la sostenibilità al piantare più alberi: i boschi, in crisi climatica, sono tutto meno che permanenti. L’unico modo per tagliare emissioni è tagliare emissioni. Il dato più preoccupante di tutti? Nell’ovest la stagione non è ancora entrata nel vivo, il peggio di solito arriva tra fine agosto e settembre.

Mediterraneo

Nel Mediterraneo non c’è stato solo l’orrore della Sardegna (uno dei peggiori incendi italiani degli ultimi anni) ma anche Cipro, Turchia e Grecia sono state duramente colpite. L’incendio di un bosco di pini a Dionysos, a nord di Atene, è stato a lungo fuori controllo e ha sfiorato anche la capitale, avvolta nel fumo come New York. In Turchia il fuoco ha colpito la turisticamente famosa provincia meridionale di Antalya, facendo tre vittime. E poi c’è l’immane disastro ecologico che sta colpendo la Siberia. Parliamo di un milione e mezzo di ettari (per proporzione: in Sardegna erano 20mila) nella taiga della Yakutia, che non era mai stata così secca negli ultimi 150 anni e che ha raggiunto temperature oltre i 40°C. La Russia ha schierato i militari per combatterlo, ma non c’è esercito grande abbastanza da affrontare un fuoco con un fronte così ampio. A Yakutsk, la principale città della Yakutia, in questo momento la qualità dell’aria è pericolosa per la vita. Manca ancora un mese alla fine della stagione del fuoco in Siberia.

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