- Da due anni, John Kerry è l’inviato del clima degli Usa e si trova in una posizione complessa: indirizzare la transizione globale e allo stesso tempo giustificare le cadute e le contraddizioni di quella degli Stati Uniti.
- L’ultima delle contraddizioni è il progetto Willow, una nuova estrazione di petrolio in Alaska, sopra il Circolo polare artico, da oltre mezzo miliardo di barili e nove tonnellate di emissioni di CO2 all’anno.
- In una recente intervista ha sminuito la portata del progetto, per contenere il danno reputazionale e politico, ma ha anche dichiarato – ed è una notizia – che per gli Usa i piani di cattura e stoccaggio della CO2 sono «pericolosi». Un modo per spazzare via le illusioni del tecnoottimismo.
Sono poco più di due anni che John Kerry è inviato per il clima degli Stati Uniti, è stata la prima nomina di Joe Biden da neo-presidente. L’ex segretario di Stato, che nel 2015 aveva firmato l’accordo di Parigi per conto degli Usa, è diventato l’infaticabile ambasciatore della leadership statunitense nella lotta ai cambiamenti climatici. È una posizione scomoda quella di Kerry, deve convincere il mondo a fare quello che chiede l’amministrazione Usa, ma anche spiegare agli stessi interlocutor



