L'Africa, nei cui confini risiede circa il 17% della popolazione mondiale, contribuisce solo al 4% delle emissioni globali di carbonio, con 1,45 miliardi di tonnellate. Su base pro capite, inoltre, l'Africa ha le emissioni più basse di tutti i continenti, con una media di 1 tonnellata di CO2 emessa annualmente da ogni individuo, seguita da Sud America (2,5 tonnellate), Asia (4,6), Europa (7,1), Oceania (10) e Nord America (10,3).

Nonostante questi dati che farebbero pensare a un’area risparmiata dal global warming, l'Africa risulta secondo ogni statistica, il continente più vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico. È la regione del mondo più colpita dalla siccità e la seconda più colpita dalle inondazioni dal 2010 e secondo l'International Rescue Committee, dei dieci paesi più vulnerabili ai disastri climatici, sette si trovano in Africa: Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Ciad, Repubblica Centrafricana, Nigeria ed Etiopia.

Gli altri tre sono Siria, Afghanistan e Yemen. Messi insieme, questi dieci paesi contribuiscono solo allo 0,28 percento delle emissioni globali di CO2, pur rappresentando il 5,16 percento della popolazione mondiale.

Tutto ciò ha un ricasco diretto e drammatico sull’esistenza di milioni di esseri umani che vivono in Africa e nelle aree più impoverite e vulnerabili. Negli ultimi 30 anni, infatti, secondo Loss and Damage Collaboration, nei paesi più fragili, gli eventi climatici estremi sono raddoppiati e hanno causato circa 680mila vittime, il 79 percento del totale a livello globale.

Le lobby del nord globale

È l’ennesimo torto di stampo colonialista fatto a centinaia di milioni di individui che pagano l’indifferenza e l’interesse per i fatturati del mondo più industrializzato. Nel 2021 sono stati emessi circa 37,12 miliardi di tonnellate di CO2 in tutto il mondo, il maggior contributore è la Cina, con 11,47 miliardi di tonnellate, seguita da Stati Uniti (5 miliardi), India (2,7 miliardi), Russia (1,75 miliardi) e Giappone (1,07 miliardi).

Se non vorrà concludersi con l’ennesimo fallimento nel porre rimedio a una crisi climatica sempre più grave, l’imminente Cop28 di Dubai, dovrà tenere ben presente questi dati e cominciare a ristabilire i necessari equilibri oltre che la giustizia. Nell’emisfero sud del mondo, la pazienza si sta esaurendo da molto tempo e sono molte le ong e le rappresentanze della società civile, a temere che le nazioni ricche e le imprese internazionali, alla fine, spingeranno per politiche che permettano loro di continuare a fare affari come al solito, facendo ricadere il peso della crisi climatica sulle nazioni più povere visto che, per il momento, non sono loro a pagare il prezzo più alto.

C’è bisogno di un approccio radicalmente innovativo che prenda le mosse dalla istanze della base e smetta di curare, dietro maschere di finto ambientalismo, solo gli interessi del Nord. Lo spiega molto bene in un articolo apparso su Al Jazeera, Sydney Chisi, un attivista zimbabwiano e responsabile senior della campagna di Equal Right, che se la prende anche con l’Africa Climate Summit svoltosi a Nairobi lo scorso settembre.

La conferenza, che ha riunito migliaia di rappresentanti di governi, imprese, organizzazioni internazionali e società civile, era l'occasione per i popoli africani di concordare una posizione comune su questioni come il programma Loss and Damage, la mitigazione del clima e i finanziamenti per il clima in vista della COP28. Il documento finale, però, come denuncia Chisi, e con lui molte organizzazioni, è stato un compromesso al ribasso che fa temere per i risultati raggiungibili a Dubai.

«Non c’è da sorprendersi degli scarsi obiettivi dichiarati – spiega nell’articolo l’attivista – dato che i lobbisti dei paesi del nord globale e delle multinazionali hanno avuto spazio e accesso ad alto livello per spingere verso false soluzioni. Nel frattempo, molti dei delegati - attivisti e membri della società civile che chiedono chiarezza e soluzioni a sostegno del nostro continente - hanno incontrato difficoltà di accesso durante i lavori e si sono sentiti messi da parte».

Intanto, le alluvioni in Somalia hanno già fatto 50 vittime e quasi 700mila sfollati mentre sarebbero 1,7 milioni le persone in gravissima emergenza a causa delle piogge torrenziali. In Kenya, sono saliti a una cinquantina i morti e 58 mila gli sfollati per l'aggravarsi delle esondazioni. E tutto senza che nessuno nel Nord globale si senta particolarmente in colpa.

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