In Afghanistan la siccità è diventata così grave che alla fine del 2021 migliaia di persone si sono riunite a Kandahar per pregare e invocare la pioggia.

La guerra civile, l'abbandono degli americani ad agosto, l'arrivo dei talebani al potere si sono innestati nella peggiore crisi ecologica da trent'anni, arrivata al suo picco quando la pandemia era già in corso.

Un paese sull’orlo

Un doppio punto di rottura per un paese isolato, allo stremo delle forze e nel frattempo anche scivolato fuori dall'agenda politica globale. La crisi idrica è entrata nel suo secondo anno e sta spingendo il paese sull'orlo della carestia. Secondo le Nazioni Unite, più di metà della popolazione è in una situazione di «fame acuta».

Secondo almeno due criteri (su tre) dell'Onu, l'Afghanistan sarebbe già legalmente in carestia: la mancanza di accesso al cibo e la malnutrizione. Il terzo è la mortalità: servono due decessi su diecimila abitanti al giorno per parlare ufficialmente di carestia.

Siccità in campo

L'agricoltura afghana è però già ora sull'orlo del collasso, i raccolti sono crollati del 40 per cento rispetto a quelli già magri del 2019, il prezzo del grano è salito del 25 per cento e l'origine di tutto è la mancanza di acqua, che colpisce almeno 25 delle 34 province afghane.

Sul sessanta per cento del territorio l'impatto è estremamente grave, ma non c'è un solo angolo di Afghanistan che non sia stato colpito a qualche livello da questa crisi idrica.

Annus horribilis

Il 2022 si preannuncia come un anno terribile. Secondo la Fao «l'impatto cumulativo della siccità su comunità già debilitate è un altro punto di rottura verso la catastrofe». Oggi sono tra 19 e 23 milioni le persone che non riescono a fare almeno un pasto ogni giorno, circa il sessanta per cento della popolazione.

Per alleviare la situazione, Stati Uniti e Nazioni Unite hanno allentato parte delle restrizioni che avevano imposto ai Talebani prima che salissero al potere, allo scopo di permettere un accesso più facile per gli aiuti umanitari.

Un brutto clima

La crisi climatica è almeno in parte responsabile di quello che sta succedendo nel paese, che in alcune regioni si è riscaldato al doppio della media mondiale, che era di 1,1 gradi centigradi al 2021.

Già nel 2019 un rapporto della stessa Fao aveva avvertito che le siccità già affrontate dall'Afghanistan nel suo passato sarebbero diventate più frequenti e potenti a causa del riscaldamento globale e del crollo della portata delle piogge primaverili.

Come contesto, il 14 per cento dei ghiacciai afghani è sparito negli ultimi due decenni, le riserve d'acqua sono dieci volte inferiori rispetto a quelle dei paesi confinanti e le precipitazioni sono diventate rare, irregolari e violente.

Impatto diseguale

Questo è un caso da manuale di ingiustizia climatica: un afghano emette in media 0,2 tonnellate di CO2 nell'atmosfera ogni anno, mentre un americano circa quindici tonnellate.

Il New York Times l'aveva definita a settembre dell’anno appena passato come una nuova categoria di crisi umanitaria, cioè quella che si sviluppa quando la guerra incontra i cambiamenti climatici.

Un moltiplicatore di conflitti che si alimentano a vicenda.

Guerra e altri disastri

«La guerra ha esasperato gli effetti dei cambiamenti climatici», ne prende atto Noor Ahmad Akhundzadah, professore di idrologia all’Università di Kabul, intervistato da Somini Sengupta, la corrispondente del New York Times. «Per dieci anni la metà del budget nazionale è andata alla guerra. La nostra attuale situazione è senza speranza».

L'Università di Notre Dame ha calcolato che almeno la metà dei venticinque paesi climaticamente più vulnerabili sono anche in una situazione di guerra. Si tratta di luoghi come Somalia, Siria, Mali, tutti catturati in una serie di crisi che si alimentano a vicenda.

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