Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza ieri in oltre sessanta città italiane per lo sciopero globale del clima promosso da Fridays for future. 

A Roma studenti, attivisti e ambientalisti hanno sfilato in corteo per chiedere al governo un cambio di rotta per contrastare il cambiamento climatico.

«La nostra rabbia è energia rinnovabile», recitava uno degli striscioni che i dimostranti hanno esibito mentre il corteo sfilava tra le strade della capitale.
Accanto alla richiesta di politiche radicali per la transizione ecologica hanno trovato spazio anche i temi della siccità e della desertificazione, costanti della protesta che in queste settimane di emergenza idrica sono salite rapidamente nella lista delle priorità.  
«Siamo qui in piazza perché evidentemente le politiche del governo non sono soltanto insufficienti, ma vanno nella direzione sbagliata», dice Marzio Chirico, portavoce nazionale di Fridays for future.

«Mi riferisco per esempio alle politiche energetiche. Non si è tassato al cento per cento, come da nostra richiesta, l’Eni. Al contrario, si è lucrato sulla guerra in Ucraina, perché l’aumento del prezzo del gas, l’aumento delle bollette, avveniva già prima dello scoppio della guerra».

Un’altra battaglia del movimento è per l’estensione delle piste ciclabili e delle aree verdi.
«Lo stesso governo ha disinvestito ben 94 milioni dalle infrastrutture ciclabili», prosegue Chirico, «in realtà il parco macchine andrebbe dimezzato, implementato con ulteriori ciclabili, con aree verdi, spazi di socialità».

Anche il fenomeno migratorio, tragicamente presente nelle cronache recenti, rappresenta un tema inestricabilmente legato al riscaldamento globale e dovrebbe rientrare nel discorso politico sulle conseguenze dei cambiamenti climatici.

La desertificazione e l’incremento di fenomeni climatici estremi sta già influenzando i flussi migratori verso l’Europa e non solo.
Per i Fridays for future l’Unione europea sta facendo qualcosa in questa direzione, ma non abbastanza. 

Indifferenza

Ad animare il corteo sono la rabbia e lo sgomento delle nuove generazioni per l’indifferenza generale di fronte a segnali catastrofici che non  riguardano il futuro, ma il presente.

Elisa Mazzocchi, studentessa diciottenne, dice: «Capisco che ci sono schieramenti politici contrastanti, ma trovo paradossale che non sia un obiettivo unico e principale quello di preservare il nostro pianeta».

La preoccupazione per il futuro incombe sui ragazzi che sfilano. «Le persone che stanno inquinando ora moriranno di vecchiaia, ma noi non sappiamo di cosa moriremo, magari proprio di inquinamento», dice Diana Romagnino, 16 anni.

Questione intergenerazionale

L’importanza della pressione di Fridays for future sulla politica risuona nel pensiero di Federica Fabrizio, 26 anni, secondo cui la lotta al cambiamento climatico non può essere demandata soltanto a un cambiamento delle abitudini dei cittadini, un contributo utile che deve però affiancare le decisioni della politica e delle corporation.

I manifestanti sanno che le istituzioni hanno una strategia facile e ben collaudata per minare la credibilità della protesta: ridurla a una questione da ragazzi. 

«Continuare a parlare di queste manifestazioni solo come di ragazzini che scendono in piazza tanto per divertirsi è un’infantilizzazione ed è controproducente verso l’intero movimento globale», dice Fabrizio.
La speranza dei Fridays for future è affermarsi come forza intergenerazionale, una trasformazione in parte già in atto: in piazza non sono tutti giovani.

 «Ho parlato poco fa con il papà di una ragazza che si è accorto, grazie a sua figlia, di dover cambiare le proprie abitudini e di dover fare pressione politica insieme a lei», prosegue Fabrizio. «Questa è una delle prime volte in cui questo movimento va dal basso verso l’alto anche a livello generazionale.»


 

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