«È stata una mattanza». Matteo Federici è il vice presidente di Apilombardia, un’associazione di apicoltori con circa 1500 soci. Non usa mezzi termini quando ripercorre i fatti accaduti tra l’8 e il 12 agosto in un lembo di terra non più grande di 15 chilometri quadrati tra le province di Brescia e Cremona.

«I corpi delle api morte, ammassati alle porticine di volo dell’arnia, bloccavano l’uscita, uccidendo per asfissia quelle all’interno». Con un brivido nella voce, Federici riporta a galla la macabra scoperta fatta l’estate scorsa nel cuore della bassa padana, una distesa di mais e soia che alimenta gli 8 milioni di suini stipati nei capannoni  (la metà dei quali in Lombardia) e gli impianti a bio-gas della zona. Secondo Greenpeace, la morìa ha coinvolto quasi dieci milioni di api.

La pistola fumante

A leggere le carte della denuncia per danno ambientale depositata alle procure competenti da Alessandro Gariglio, l’avvocato degli apicoltori coinvolti, ci si trova catapultati nella sceneggiatura di una serie Netflix, con tanto di sopralluoghi dei carabinieri (forestali) e del servizio veterinario sulla scena del crimine. «In questo caso però abbiamo la pistola fumante», commenta il presidente di Apilombardia. È bastato osservare il paesaggio nel raggio di 3 chilometri, l’area di volo delle api, per far cadere i sospetti su quella enorme estensione di campi di mais.

Le analisi svolte sulle api hanno confermato che le cause del decesso sono due pesticidi dal nome impronunciabile: indoxacarb e chlorantraniliprole, tipicamente utilizzati per trattare il mais. «Sono sostanze legali» spiega Federici, «però non dovevano essere usate in quel periodo dell’anno, quando le api sono in piena attività». Ersaf, l’ente regionale per i servizi all’agricoltura, lo aveva chiarito in due bollettini, emessi prima e dopo le date incriminate, scrivendo che «non è necessario intervenire» e che è «vietato trattare durante la fioritura».

Che l’uso della chimica di sintesi in agricoltura sia uno dei maggiori responsabili della morte delle api è un fatto conclamato, al punto da scatenare accese battaglie sociali: in seguito alle pressioni delle organizzazioni ambientaliste, tre pesticidi neonicotinoidi, sono stati banditi dal mercato europeo nel 2018. Una misura necessaria ma non sufficiente visto che, restando in Lombardia, la scorsa primavera almeno mille alveari hanno registrato percentuali elevatissime di spopolamento, con la morte di migliaia di bottinatrici.«Questa è solo la punta dell’iceberg perché noi siamo in grado di fare la conta dei morti solo per le api allevate, ma la stessa cosa – e sicuramente in numero maggiore – accade alle specie selvatiche» conclude Federici. Ma il problema supera il confine lombardo: in tutto il mondo gli apicoltori segnalano problemi analoghi. Con quali conseguenze? Stando al solo calcolo economico, l’Unione europea stima un danno di 15 miliardi solo per il vecchio continente.

Colpi di freddo

All’uso di sostanze chimiche che sta facendo strage di impollinatori, si aggiunge una minaccia più difficile da affrontare: il cambiamento climatico. Secondo l’Osservatorio nazionale del miele, il 2020 è stato un anno disastroso, al pari di quello precedente: «Il meteo incostante, i cambiamenti climatici che condizionano la produzione di nettare da parte delle piante e stravolgono gli equilibri nello sviluppo delle famiglie di api nei momenti più delicati, sono solo alcune delle cause delle problematiche produttive che si registrano ormai da molti, troppi, anni».

Le continue oscillazioni della temperatura portano sempre più spesso le api a riprodursi con i primi caldi primaverili, le esploratrici e le bottinatrici (quelle che raccolgono il polline) escono dall’alveare convinte di trovare cibo a sufficienza, salvo poi rendersi conto che le fioriture sono state interrotte da improvvise gelate. Tutti questi fattori portano a una riduzione nella produzione e così, per salvare le api dalla fame, i cinquanta mila apicoltori presenti in Italia hanno incrementato la nutrizione artificiale con sciroppi di zucchero.

Nonostante questi palliativi, la pressione combinata dei pesticidi e della crisi climatica rappresenta oggi una minaccia esistenziale per le api e altri impollinatori. Eppure «è grazie a loro che un terzo del cibo arriva sulle nostre tavole», sottolinea Federica Ferrario, che con Greenpeace da anni si batte per salvare le api. «Senza questi insetti, molto del cibo che mangiamo sarebbe a rischio: mele, pere, mandorle, albicocche, solo per fare qualche esempio. Ma anche i formaggi che vengono da animali allevati al pascolo risentirebbero della qualità, perché i prati non verrebbero più impollinati».

A rafforzare questo scenario arriva un recente studio pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica Science, secondo cui stiamo già assistendo ad una «estinzione di massa» dei bombi, che stanno scomparendo dalle zone dove le temperature stanno aumentando maggiormente. Se contro i pesticidi gli apicoltori lombardi hanno sporto denuncia, cosa possono fare contro il cambiamento climatico? La procura di Cremona ha aperto un fascicolo e, con un po’ di fortuna, riuscirà a individuare e sanzionare gli agricoltori che irrorano il mais fuori stagione. Purtroppo però, non c’è una legge che punisce le ondate di caldo o le gelate. Anche perché, ad essere punite dovrebbero essere le politiche di questi decenni che hanno portato all’impazzimento del clima.

© Riproduzione riservata