Nel pomeriggio di oggi Mario Draghi incontrerà Greenpeace, Wwf e Legambiente. È un inedito (Conte non lo fece né durante la formazione del primo né del secondo governo, l’unico contatto fu agli Stati generali) ed è un piccolo segnale di quanto le tematiche ambientali siano al centro del progetto di governo.

È una questione di mandato europeo: non solo il 37 per cento dei fondi Next Generation Eu deve andare a contrastare la crisi climatica, ma ogni altro capitolo deve contenere una valutazione di impatto ambientale. Ed è una questione di credibilità internazionale: nei giorni in cui il governo iniziava a venire giù, Sergio Costa era al telefono con John Kerry, l’inviato speciale per il clima di Joe Biden, e gli spiegava che l’appuntamento di fine febbraio a Washington era da considerarsi cancellato causa crisi politica in corso.

Costa sarebbe stato il primo ministro dell’ambiente a essere ricevuto da Kerry, che si era rivolto al nostro governo in qualità di presidente del G20: c’era da ascoltare le nostre proposte e concordare una strategia d’azione, ma tutto è sospeso. A novembre ci sarà la Cop26, l’incontro delle Nazioni unite che definirà il rilancio degli accordi di Parigi e che sarà organizzato congiuntamente dal Regno Unito e dall’Italia. Dal nostro paese in questo momento non è solo atteso il rispetto di impegni internazionali ed europei, è richiesta anche leadership.

Un fronte politico

Per Draghi la transizione ecologica sarà anche uno dei fronti più politici e meno tecnici dell’azione di governo. Non solo per le richieste di leadership internazionale e per il peso che l’ambiente ha nella scrittura del piano per i fondi europei, ma anche perché è una delle faglie sulla quale nasce la sua maggioranza. Da un lato c’è la Lega: la corsa a dare un’interpretazione «cemento e sviluppo» del Recovery plan sarà uno dei temi del nuovo Salvini addomesticato.

L’ex ministro dell’Interno ne ha già dato un assaggio durante le consultazioni: «Draghi la pensa come noi: va bene l’ambientalismo, ma senza ideologie». Potrebbe trovare una linea di dialogo con Renzi e l’ansia da cantieri di Italia viva. Dall’altro c’è il Movimento 5 stelle, in piena crisi d’identità e con l’ecologia come possibile cura ai malanni di governo.

Nel dibattito è intervenuto Beppe Grillo, con un decalogo che ha i toni di un riposizionamento e di un ritorno alle origini. Contiene anche la proposta di inserire lo sviluppo sostenibile direttamente in Costituzione, una promessa fatta anche in Francia da Emmanuel Macron, che su questo tema ha annunciato un referendum sul quale si gioca eredità e futuro, per dire quanto può essere politica la lotta per il clima.

L’ispirazione, per Grillo, è il successo dei partiti Verdi in Francia e Germania, dove sono terza e seconda forza politica. È un terreno che in Italia da decenni nessuno riesce a rivendicare o presidiare. Anche perché come sempre in mezzo rimane il Partito Democratico, per il quale la lotta ai cambiamenti climatici non è per ora niente di più che un tema di bandiera, sempre menzionato e mai approfondito. Il governo Draghi è l’ultima chiamata.

E poi c’è l’azione che il governo è chiamato a fare. Ce le racconta Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace e parte della delegazione che oggi incontra Draghi. «La difficoltà sarà vincere le resistenze dei grandi settori che sono stati la spina dorsale del vecchio sviluppo». La prima partita è la decarbonizzazione e il riferimento è soprattutto a Eni, la cui strategia è incompatibile con gli obiettivi che l’Unione europea ha alzato due mesi fa: tagliare il 55 per cento e non più il 40 per cento delle emissioni entro il 2030.

«Decarbonizzazione vuol dire elettrificare i consumi e aumentare la quota delle rinnovabili, che da noi procedono ancora troppo lentamente. La velocità di crescita di solare ed eolico è a uno, dovrebbe essere a cinque. Nei progetti italiani manca una parola fondamentale: batterie. La filiera del litio è strategica, per superare la dipendenza dal gas e per lo sviluppo della mobilità elettrica. È un settore che ha bisogno di attenzione e soldi».

Comunità energetiche, sviluppo dell’agrivoltaico, solare galleggiante e a monte semplificazione della burocrazia: sono questi i temi che gli ambientalisti portano oggi da Draghi. «In Italia c’è un problema di autorizzazioni che rallenta tutto il processo: per fare un impianto eolico ci vogliono otto anni di burocrazia». Le sensazioni rispetto al nuovo governo sono buone. Gli ambientalisti, come quasi tutti, sono in luna di miele con Draghi: «Serve un salto di civiltà e forse solo un governo di unità nazionale può riuscirci».

Le nomine

C’è infine il tema dei nomi. Per il ministero dell’ambiente circola quello di Donatella Bianchi. Volto televisivo, presidente del Wwf, esperta di gestione del territorio. Sarebbe un tecnico, ma la sua nomina sarebbe un segnale politico, una rassicurazione sulle intenzioni del governo e un modo di bilanciare un ministro dello sviluppo economico molto legato alle imprese.

La proposta di Grillo di un ministero della transizione ecologica sul modello francese, che accorpi i due dicasteri e abbia competenze sull’energia (la materia più importante dell’azione climatica). tocca un problema vero. «La maggior parte delle politiche ambientali non le fa il ministro dell’ambiente, ma quello delle infrastrutture o dello sviluppo economico», dice Onufri. Non è un caso che il ministro che tratterà con Kerry per conto dell’Italia sull’azione climatica è considerato di fascia bassa nel nuovo “manuale Cencelli”. Anche nel format tradizionale, troverà una serie di dossier aperti di grande peso. I green bond, in collaborazione col Mef e pronti al lancio quando è caduto il governo. I decreti attuativi della legge end of waste, dai quali dipende tutta l'economia circolare. E l’Ilva: quella del futuro è un tema di sviluppo economico, quella del presente una polveriera ambientale.

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