«Questi mesi senza stipendio ci hanno tolto la capacità di filosofeggiare. Questa lotta però deve arrivare fino in fondo, vincere o perdere. Perdere e spiegare perché ha perso o vincere e spiegare in cosa consiste la vittoria».

Dario Salvetti è il portavoce della fabbrica occupata più famosa d'Italia, la più lunga e visibile battaglia sindacale di questi anni, quella dell'ex Gkn di Campi Bisenzio, pochi chilometri fuori Firenze.

Era una linea produttiva d'eccellenza nella filiera automotive, ferma dal giorno di luglio 2021 in cui i quasi 500 operai sono stati licenziati con una mail. Doveva essere l'inizio dell'ennesima delocalizzazione industriale, invece quella mattina gli operai hanno fermato la dismissione e occupato lo stabilimento.

Così è partita la più lunga occupazione di fabbrica nella storia di questo paese, più della tipografia Apollon a Roma, 1968 - 1969, e delle Officine Meccaniche Reggiane, 1950 - 1951.

Per altro e per tutto

LaPresse

Quella di Gkn è una lotta sindacale con un significato diverso a seconda del punto di vista da cui la si osserva. Per gli operai che resistono da quasi due anni, fino all'attuale stallo senza reddito e buste paga, questa è una guerra di logoramento, per salvare il lavoro, far ripartire la fabbrica e riprendersi il proprio futuro personale.

Nel contesto più ampio della politica italiana, però, questa lunga crisi industriale è diventata allo stesso tempo un simbolo, una promessa e un orizzonte nuovo, che va oltre la fabbrica stessa. «Per questo, per altro e per tutto», come recita lo slogan del Collettivo Gkn, la frase urlata in ogni corteo e scritta sullo striscione appeso ai cancelli.

«Per noi la vittoria per noi è tenere aperta una prospettiva. Oggi conta la tramandabilità di quello che abbiamo fatto in questi anni, non bruciare questo percorso, passare un testimone», dice Salvetti nel suo ufficio occupato.

Cosa succederà alla fabbrica, agli operai e alle linee produttive, ferme da troppo tempo e nel frattempo invecchiate, è difficile prevederlo (come è difficile essere ottimisti), ma quello di Gkn è un solco che altri percorreranno.

Salvataggi mancati

Fino al 1994 questa era una fabbrica della Fiat, poi la cessione a Gkn Driveline, uno dei principali produttori di sistemi di trasmissione meccanica, a sua volta in mano a un fondo inglese, Melrose. «Buy, improve, sell» (Compra, migliora, vendi) il loro slogan.

Nel 2021 la proprietà ha deciso di chiudere lo stabilimento e licenziare tutti, operai, quadri e dirigenti, per spostare la produzione in est Europa.

Dopo sei mesi di occupazione, a dicembre i tavoli di crisi hanno prodotto un nuovo proprietario, Francesco Borgomeo, esperienza nel ramo ceramiche e sanpietrini, passaggio alla Leopolda di Renzi nel 2018.

Borgomeo ha ribattezzato la Gkn con un nome immaginifico: QF, Quattro F, Fiducia nel Futuro della Fabbrica di Firenze.

Borgomeo è un imprenditore specializzato nel comprare realtà in crisi, riconvertirle, rivenderle, proprio come Melrose prima di lui, ma anche i suoi piani non hanno funzionato.

La produzione non è ripartita, i compratori non si sono visti, lo sviluppo industriale è rimasto vago. Nel passaggio da un proprietario all'altro (e da un governo all'altro) lo stallo sociale si è infettato, i lavoratori sono rimasti senza ammortizzatori, con la loro Società di mutuo soccorso come unica rete sociale.

Sullo sfondo di queste difficoltà, la lotta operaia non solo non si è fermata, ma si è allargata, ha cercato alleanze, è diventata più ambiziosa, ha guardato oltre il piazzale della fabbrica.

È qui che inizia la fase più importante, quella più politicamente «tramandabile»: la convergenza con i movimenti ambientalisti.

Con gli ambientalisti

Il Collettivo dei lavoratori Gkn ha capito che la lotta avrebbe avuto gambe solo se fosse stata contemporanea, calata nel presente e rivolta al futuro e non di retroguardia, e che la fabbrica poteva rivendicare quel futuro soltanto se inserita nella filiera della transizione ecologica.

Questa lettura ha avuto due effetti, ugualmente dirompenti e fertili. Il primo è la scrittura, spontanea e dal basso, di un piano industriale autonomo, con il contributo di ingegneri ed economisti della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, del centro di ricerca sulla robotica Artes 4.0 e di altri gruppi di competenza solidali, cioè persone che hanno lavorato gratis, dando un significato politico all'impegno di trovare idee per il futuro della fabbrica.

Il risultato è stato la proposta di convertire la produzione ai semiasse per i bus elettrici del trasporto pubblico.

Dice Salvetti: «Il paradosso è che noi stiamo facendo qui, in fabbrica, quello che il Pnrr e il Green Deal dicono di fare: trasformare l'industria in chiave sostenibile partendo dalle competenze».

È un paradosso perché quel piano, per quanto credibile, è stato ignorato sia dalla proprietà che dalle istituzioni. Il secondo pezzo dell'evoluzione della lotta Gkn è stato l'alleanza con i movimenti ambientalisti italiani, in particolare quelli per il clima, e ancora più in particolare Fridays for Future.

Questa convergenza ha prodotto la manifestazione congiunta della scorsa primavera a Firenze, la presenza dei rappresentanti di fabbrica al Climate Social Camp della scorsa estate a Torino e la protesta contro il passante di mezzo a Bologna in autunno.

«La canzone di Gkn è diventata la nostra canzone anche quando protestavamo contro la tassonomia europea su gas e nucleare a Bruxelles. La lotta che si fa qui ha contribuito a costruire il nostro immaginario», spiega Alice Franchi, del gruppo locale Fridays di Pistoia.

Gli attivisti della Toscana frequentano abitualmente la fabbrica, diventata quasi un centro di formazione al conflitto novecentesco per giovani nati alla fine del secolo vecchio o all'inizio di quello nuovo.

Tra ragazzi dei movimenti e operai dello stabilimento non c'è solo un'alleanza politica, è in corso uno scambio di legittimità. Fridays for Future ha ottenuto un radicamento sociale e di classe che da solo non potrebbe darsi.

Il Collettivo Gkn ha ricevuto un orizzonte politico che va oltre la questione locale, che la rende nazionale, quasi universale.

Gli operai hanno dato credibilità agli ambientalisti, che a loro volta hanno messo a disposizione piazze, social e simboli per l'amplificazione della battaglia.

Sono riusciti a parlare della fine del mondo e della fine del mese nello stesso discorso, Greta e Cipputi insieme. Questo è un innesto dal quale difficilmente si tornerà indietro, a prescindere da cosa succederà a Campi Bisenzio.

Il piano al governo

Il modello di collaborazione tra accademici e operai per un nuovo piano industriale è stato presentato al ministero dell'Economia con Roberto Gualtieri ministro e poi è stato applaudito da Rosa rossa, il pensatoio di sinistra legato a Elly Schlein nel Pd.

Insomma, l'esperienza Gkn è sulle mappe della sinistra italiana. Quanto sarà ascoltata è un’altra storia. Andrea Roventini è un economista della Scuola Sant'Anna, ha partecipato al lavoro con il Collettivo e pensa che questa sia una strada scalabile, un nuovo modo di fare le cose.

«La transizione ecologica farà del bene, ma nel breve provoca scossoni, è un fenomeno di distruzione creatrice, ci saranno crisi industriali che non si possono gestire con uno stato puramente assistenzialista come abbiamo fatto fino ad oggi, cioè pagando la cassa integrazione e consentendo alle proprietà di uscire il più facilmente possibile. Così si distruggono le imprese una alla volta e l'unico risultato è la deindustrializzazione».

L'alternativa è la strada sperimentata a Campi Bisenzio, task force locali con le università e i centri di ricerca.

«È la nostra vera terza missione, oltre alla didattica e alla ricerca: gli atenei devono aiutare lavoratori e settore pubblico a salvare le imprese progettando il futuro insieme a loro nelle filiere verdi. È una logica antiassistenzalista, eppure c'è un blocco politico ogni volta che si parla di un intervento pubblico che non sia cassa integrazione. Ma se guardiamo le Bidenomics, vanno esattamente in quella direzione».

È questa l'eredità politica di Gkn: non solo aver unito su un unico fronte operai, ambientalisti e universitari ma anche aver stanato il fatto che in Italia una visione industriale verde ancora non c'è, e che difficilmente verrà dagli imprenditori del buy improve and sell

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