Tra i grandi temi inclusi nel documento di Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) l’attenzione è rivolta a produzione energetica, ciclo dei rifiuti, mobilità, agricoltura sostenibile e altro, ma non alla bonifica dei siti inquinati. Neanche degli attuali 42 siti di bonifica di interesse nazionale (Sin), per non parlare delle migliaia su scala regionale e locale, nonostante Pnrr sia orientato alla “transizione ecologica”. Eppure i Sin rappresentano senza dubbio un problema ambientale, sanitario, economico e sociale, non solo per i milioni di persone che ci vivono e lavorano, ma per l’intero paese.

I Sin sono stati individuati da vent’anni a questa parte, perché sono aree pesantemente inquinante, con evidenze di danni sull’ambiente circostante e di rischio sanitario, ecologico e per i beni culturali. Le procedure di bonifica sono di competenza del ministero dell’Ambiente (Mattm) che si avvale di Ispra, del sistema delle agenzie ambientali , dell’Istituto Superiore di Sanità e di altri soggetti pubblici o privati.

In queste aree sono state svolte moltissime attività di caratterizzazione ambientale e studi epidemiologici che hanno sempre confermato uno stato di salute alterato o compromesso. Succede soprattutto nei Sin con discariche di amianto, rifiuti pericolosi e con impianti industriali petrolchimici e siderurgici, attivi o dismessi. Sono stati anche effettuati studi sui consistenti benefici economici che si otterrebbero con le bonifiche, risparmiando morti premature e ricoveri ospedalieri, sebbene il valore della vita sia inestimabile. A fronte di conoscenze ormai consolidate e nonostante un interesse diffuso a risanare aree che potrebbero essere restituite al pubblico o riutilizzate a scopi economici, le attività di bonifica procedono molto lentamente o in alcuni casi non sono ancora iniziate. Ebbene, questo settore di sviluppo non è incluso ad oggi nel Pnrr.

Non si può certo addebitare questo silenzio alla mancanza di attenzione dei media su tante aree diventate simbolo di sofferenza e di mancato riscatto. Non si può neanche pensare a distrazione, viste le evidenti connessioni con molti altri temi presenti nello stesso Recovery plan, dallo sviluppo sostenibile all’economia circolare. Tanto meno la sottovalutazione sulle bonifiche può essere attribuita alla mancanza di voce da parte dei cittadini, che da tempo manifestano la richiesta di un ambiente risanato e del proprio diritto alla salute. Non può neanche sfuggire la conflittualità sociale per l’evidente ingiustizia ambientale che è anche alla base delle contrarietà all’installazione di nuovi impianti nelle stesse aree Sin che non sono ancora bonificate.

C’è da chiedersi allora perché, avendo a disposizione ingenti finanziamenti da impegnare per la riconversione verde dell’economia, non si includano le bonifiche, per le quali fino ad oggi sono stati impiegate risorse che sono insufficienti anche solo per la messa in sicurezza; risorse che sono largamente inferiori a quelle necessarie per vere bonifiche.

Una delle motivazioni è senz’altro l’oggettiva difficoltà di effettuare bonifiche complesse tecnicamente e che sono in aree in parte pubbliche e in parte private, quando deve essere applicato il principio “chi inquina paga”. Dovrebbe essere oggetto di seria riflessione la carenza di approfondimenti sui benefici economici che si possono ottenere con il miglioramento dell’ambiente e della salute delle comunità. La sostenibilità deve essere sottratta ad un uso strumentale o ingenuo, poiché è concetto misurabile; vanno messe al primo posto tecnologie più efficienti nel lungo periodo, in grado di distribuire in modo allargato i loro benefici.

 

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