I cambiamenti climatici attualmente in corso potrebbero pesantemente influenzare in modo negativo lo sviluppo di almeno la metà delle foreste europee (che occupano circa 2 milioni di chilometri quadrati), in quanto risulterebbero molto vulnerabili a fenomeni come gli incendi violenti, l’arrivo di insetti nocivi per gli alberi e venti particolarmente forti, che negli ultimi anni sono tutti aumentati in numero o intensità a causa del “riscaldamento globale”.

A questa conclusione sono giunti ricercatori del Max Planck Institute for Biogeochemistry che hanno analizzato i dati per il periodo 1979-2018 relativi ai fattori di disturbo per gli ecosistemi forestali nel nostro continente e i cui risultati sono stati pubblicati su Nature Communications. Stando allo studio circa 33,4 miliardi di tonnellate di biomassa forestale sarebbero a rischio.

La situazione non sarebbe uniforme sul continente, ma sarebbe peggiore là dove il riscaldamento globale si fa sentire con maggiore intensità, ossia nelle fasce estreme a nord e a sud del continente europeo. Sembra che a risentirne maggiormente siano gli alberi più vecchi e con dimensioni maggiori. 

Tra tutti gli elementi negativi associati ai cambiamenti climatici quello che preoccupa di più sembrano essere gli attacchi portati dagli insetti. Sottolinea Henrik Hartmann, tra gli autori della ricerca: ”Lo studio degli ultimi anni, con riferimento soprattutto al 2018, ha dimostrato che la minaccia per le foreste rappresentata dagli insetti nocivi è particolarmente aumentata in seguito ai cambiamenti climatici.

Il rischio che un ulteriore riscaldamento climatico aumenti questa situazione è molto forte”. Il quadro delineato dai ricercatori non dice quali sono le misure da prendere, ma risulta ovvio che una riduzione della crescita della temperatura terrestre è senza dubbio la strada principale da seguire

Acqua potabile dal mare

Secondo lo studio “The sociopolitical factors impacting the adoption and proliferation of desalination: A critical review”, pubblicato su Desalination la risposta ad una sempre maggiore richiesta di acqua potabile legata all’aumento della popolazione mondiale che abita sempre di più le aree costiere del pianeta, è senza dubbio la tecnologia di desalinizzazione.

Ciò grazie al fatto che i costi dell’acqua desalinizzata stanno sempre più scendendo in rapporto allo sviluppo tecnologico. Il gruppo di lavoro, tuttavia, sottolinea senza mezzi termici che la desalinizzazione comporta anche alcuni seri problemi, comprese questioni ambientali, che spesso sono sottovalutati da chi adotta tale tecnologia.

Va ricordato che anche se in Europa l’acqua desalinizzata utilizzata è una quantità piccolissima rispetto a quella prelevata dai fiumi o dalle falde acquifere, la maggior parte dell’acqua potabile degli Emirati Arabi invece, proviene da più di 70 grandi impianti di desalinizzazione, che soddisfano il 42 per cento del fabbisogno idrico del Paese e quasi il 100 per cento di acqua potabile.

Da soli gli Emirati Arabi Uniti producono circa il 14 per cento del totale mondiale di acqua desalinizzata.  Spiega Yazan Ibrahim del Center for Membranes and Advanced Water Technology (CMAT), tra gli autori della ricerca: “Le scarse risorse di acqua dolce nei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa legato ad un forte sviluppo tecnologico e umano delle aree hanno determinato negli ultimi anni un forte aumento del numero e delle dimensioni degli impianti di desalinizzazione”.

Ma quali sono i punti a loro favore e a loro sfavore?  “Abbiamo identificato 8 punti di forza e 7 punti deboli”, spiega Ibrahim. “Alcuni tra i punti di forza sono la possibilità di decentrare l’approvvigionamento idrico e la velocità con la quale si possono fornire le tecnologie di desalinizzazione che permette di aiutare e far crescere velocemente le comunità remote e le strutture turistiche.

Vi è poi il fatto che la desalinizzazione può fornire quantità sufficienti di acqua come e quando necessario, il che può migliorare in modo significativo la sicurezza idrica di una nazione, sostenendo anche le stabilità regionali, evitando qualsiasi conflitto sulle risorse idriche”. Per quanto riguarda i punti deboli invece, lo studio dimostra come i più critici siano gli impatti visivi, il rumore e i problemi di utilizzo del suolo.

Vi sono poi forti preoccupazioni da parte delle comunità locali le quali difficilmente vogliono tali impianti e poi vi è il fatto che affidarsi eccessivamente alla desalinizzazione potrebbe avere conseguenze sulla salute umana perché l’acqua desalinizzata è poverissima di sali minerali. Non ultimo vi è il fatto che l’energia richiesta per la desalinizzazione è ad oggi quasi unicamente affidata ai combustibili fossili con le note ricadute ambientali che essi producono.

Non c’è dubbio dunque, che un equilibrio tra acqua desalinizzata e acqua continentale per soddisfare le esigenze di richiesta di acqua potabile sarebbe la giusta soluzione almeno finché non si risolveranno tutti i problemi legati alla tecnologia dell’acqua desalinizzata.

“La vita impossibile”

Stando a Huw Griffiths, biologo marino del British Antarctic Survey (BAS) ciò che ha scoperto a circa un chilometro sotto i ghiacci dell’Antartide non dovrebbe essere lì. Il suo gruppo di lavoro infatti, si è imbattuto in un habitat di forme di vita mai prima osservate che abitano un ambiente che si trova nel buio totale e a centinaia di chilometri di distanza da qualunque possibile fonte di cibo nota. La presenza di tali organismi in un simile ambiente così estremo per la vita, pone serie domande su tutto ciò che ritenevamo di conoscere sulla sopravvivenza in condizioni ritenute impossibili.

Lo studio, realizzato da un gruppo internazionale di ricercatori, è stato pubblicato su Frontiers in Marine Science. Come spesso accade nella ricerca scientifica la scoperta dei nuovi organismi si è verificata in modo del tutto casuale, in quanto il gruppo di lavoro a cui facevano capo James Smith e Paul Anker stava compiendo trivellazioni nel ghiaccio per motivi geologici, in quanto desideravano portare in superficie campioni di fondale oceanico, prelevati perforando la piattaforma di ghiaccio nota come Filchner-Ronne che si estende galleggiando sul mare. Prima di arrivare sul fondo marino la trivella è dovuta scendere di circa 900 metri nel ghiaccio per poi incontrare dapprima l'acqua liquida e poi il fondale che avrebbe dovuto perforare. Ma ecco la sorpresa: appoggiato sul fondale marino vi era un grosso masso ricoperto da 16 spugne e altri 22 animali non ancora identificati.

La scoperta ha sorpreso gli scienziati perché, in teoria, quegli animali non avrebbero dovuto trovarsi in un ambiente simile.

Si sa che sono sessili, ossia che vivono immobili su fondale marino, i quali, per mangiare devono filtrare i nutrienti contenuti nell'acqua circostante e poiché il luogo dove sono stati trovati si trova a quasi 300 chilometri dal fronte glaciale e quasi un chilometro sotto il ghiaccio, lì non arriva la luce solare (il che esclude la presenza di organismi fotosintetici che possano fare da nutrimento alle spugne). 

Secondo Griffiths poi, vi è il fatto che la corrente più vicina che proviene dal mare aperto, che potrebbe trasportare cibo, si trova a 600 chilometri di distanza. In tali condizioni si capisce come per qualunque forma di vita sembrerebbe impossibile sopravvivere. Ma quegli organismi sono lì, vivi e vegeti.

Sono così sorte più di un’ ipotesi per spiegare quelle forme di vita quasi aliene, anche se al momento nessuna esaustiva. Una vuole, per esempio, che quegli organismi potrebbero avere un ciclo vitale lunghissimo, anche di migliaia di anni (e non sarebbe la prima volta che in Antartide si scoprono organismi con più di 10.000 anni di vita) e lentissimo, e questo farebbe sì che essi si debbano nutrire da una o due volte l'anno a una o due volte al secolo, cioè durante le rare occasioni in cui un po' di nutrienti riescono raggiungerli dal mare aperto. Ma il mistero della vita di quegli abissi è ancora tutto da capire.

Il viaggio gratis sulla Luna

Nonostante che le prove dello shuttle di SpaceX, noto come Starship, continuino a non essere portate a termine con pieno successo (mercoledì scorso è esploso a terra, dopo l’atterraggio, il terzo modello della nave spaziale che aveva compiuto un volo pienamente riuscito), il progetto di portare un gruppo di 10 uomini attorno alla Luna entro il 2023 è più vivo che mai. Yusaku Maezawa, un imprenditore giapponese divenuto miliardario grazie alla piattaforma di vendita Zozotown, il quale aveva annunciato nel 2018 (con il beneplacido di Elon Musk) di voler comperare un intero volo per la Luna da SpaceX, ha radicalmente trasformato il suo progetto DearMoon.

L’obbiettivo iniziale era quello di portare in orbita attorno al nostro satellite diversi artisti che avessero saputo trasmettere le emozioni di un simile viaggio spaziale. Ma poiché è risultato difficile definire che è un artista Maezawa ha deciso di dare una svolta alla selezione dell’equipaggio, aprendo a tutti la possibilità di partecipare.

Secondo Maezawa infatti, ogni persona che faccia qualcosa di creativo nel proprio ambito può essere definito “artista”. Ma per poter partecipare alla selezione bisogna avere due qualità imprescindibili: la prima vuole che qualsiasi cosa si faccia nella vita bisogna essere pronti a superare i propri limiti e ad aiutare altre persone e la società intera a fare lo stesso.

La seconda è quella di essere disposti ad aiutare gli altri membri dell’equipaggio a raggiungere i medesimi traguardi. Se si ritiene di avere queste caratteristiche e si ha il desiderio di poter volare verso la Luna si sappia che fino alle 15:59 del 14 marzo è possibile registrarsi sul sito di DearMoon per essere scelti a far parte dell’equipaggio. Tra tutti coloro che parteciperanno ne verranno scelti otto i quali accompagneranno Maezawa nel suo viaggio lunare.

È possibile che tra i prescelti ci possa essere anche Soichi Noguchi, l’astronauta giapponese che attualmente si trova a bordo della ISS e che potrebbe svolgere il ruolo di comandante della missione. Ovviamente le selezioni si faranno via via più restringenti, ma è certo che si arriverà a formulare l’equipaggio completo che, stando ancora a Musk, partirà per la Luna nel 2023.

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