Quella di Dubai è la conferenza del clima delle prime volte. Non era mai successo che il presidente di una Cop dovesse convocare un incontro urgente con la stampa per confermare che lui crede nella scienza.

Tutto il processo messo in piedi dalle Nazioni Unite trent’anni fa è fondato su una cosa sola: convertire le conoscenze scientifiche in decisioni politiche. Per questo motivo era così grave lo scoop di Guardian e Center for Climate Reporting di due giorni fa, il video in cui Sultan al Jaber sosteneva, in una conversazione privata ma politica (con l'ex inviata del clima dell'Irlanda), affermazioni contrarie al consenso della scienza sulla necessità di uscire dai combustibili fossili per contenere l'aumento delle temperature.

Il video andava anche oltre il conflitto di interessi (al Jaber è anche capo dell'azienda petrolifera di stato) e minava il fondamento stesso della Cop: un’istituzione in cui la scienza è regina. Un petroliere potrà anche guidare una conferenza sul clima, a voler essere molto inclusivi, un negazionista no.

Non a caso, nella sua arringa difensiva al Jaber ha portato con sé Jim Skea, che non è solo un rispettato professore di sostenibilità dell’energia all'Imperial College di Londra ma è soprattutto il presidente dell'Ipcc il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, la rete di scienziati creata dall'Onu per sintetizzare e sistematizzare la conoscenza sui cambiamenti climatici di tutte le università, i centri di ricerca e le accademie del mondo.

È stata una mossa abile, anche se Skea non sembrava la persona più entusiasta del mondo di essere lì e si è limitato a dire che nelle loro conversazioni al Jaber non aveva mai messo in discussione il lavoro degli scienziati. Insomma, l'avvocato era autorevole ma la sua difesa è stata fredda.

Al Jaber ha ricordato la sua carriera di ingegnere ed economista, ha detto che tutto il suo percorso è stato fondato sulla scienza e che non si sarebbe mai sognato di metterla in discussione.

Poi ha aggiunto che le sue affermazioni in quel video privato («di un giornale che non voglio nemmeno nominare») sono state prese fuori contesto, fraintese, male interpretate. Ha rivendicato i primi successi della sua presidenza (tra cui l'istituzione del fondo sui danni e le perdite) e ha chiesto di essere giudicato solo dal risultato finale. 

Regole democratiche

La conferenza stampa di Sultan al Jaber alla COP28 è stata un momento interessante più per chi si occupa di giornalismo che per chi si occupa di clima. Dopo la sua dichiarazione iniziale, il petroliere emiratino è sembrato sinceramente in difficoltà quando la moderatrice ha aperto lo spazio delle domande dei giornalisti e si sono alzate in simultanea quaranta mani tutte insieme, come guidate da una molla.

C'era tutta la ferocia dei migliori reporter climatici del mondo in quella scena, un tipo di dinamica a cui chi lavora e comanda in una monarchia assoluta non è abituato.

Le conferenze sul clima sono un processo fondato sulle regole democratiche, anche quando si svolgono in paesi non democratici: il lavoro dei giornalisti e la partecipazione della società civile sono garantiti dall’Onu.

Nel confronto tra Sultan al Jaber e i giornalisti internazionali si è visto tutto questo attrito tra come funzionano le cose negli Emirati e come funzionano in un contesto democratico.

Al Jaber si è lamentato dicendo: «Sono sorpreso dai continui tentativi di minare il mio lavoro e sminuire quello che fa la presidenza di questa Cop. Ho sempre detto e ribadisco che rispetto la scienza».

Il valore politico di una conversazione rubata, come quella da cui è partito il caso che ha sconvolto la Cop, è una tradizione dei paesi democratici ma un oltraggio per una monarchia autoritaria senza società civile come gli Emirati. È una parafrasi, ma al Jaber ha sostanzialmente detto: ho detto tante volte di credere nella scienza, ma non mi avete mai citato né ci avete fatto dei titoli.

Ho detto una volta, per sbaglio, in una conversazione privata, in cui si parlava di altro, delle frasi che potevano essere interpretate come contro la scienza e tutti ci avete fatto il titolo. Il punto è che quelle frasi svelavano qualcosa di importante, un contenuto che era pubblicamente rilevante: le idee personali della guida del più importante processo negoziale al mondo basato sulla scienza.

Contano i fatti

Quello che è difficile capire per un emiro, un autocrate o un dittatore è che si viene giudicati non solo da quello che si afferma pubblicamente, ma soprattutto da quello che si fa, in ogni ruolo.

Le vesti di capo di un'azienda petrolifera che progetta un'espansione senza precedenti per i prossimi anni non possono essere separate da quelle del diplomatico che deve contenere quell'espansione. Il sospetto della stampa è legittimo, l'onere della prova spetta a lui.

Al Jaber ha detto di essere convinto che la riduzione e poi l'eliminazione dei combustibili fossili avverranno. Il che è quasi un'ovvietà logica: carbone, petrolio e gas sono risorse finite, a un certo punto nel corso del futuro del genere umano si esauriranno.

Quello che si discute alla Cop28 non è se si ci sarà una transizione energetica, ma in che tempi si farà, se nei trent'anni che chiede la scienza per contenere l'aumento di temperature e mantenere la Terra abitabile, o nei tempi molto più lunghi che sembrano servire a quest'industria (non solo nel Golfo, ovviamente), che finora ha contribuito solo all'1 per cento dello sviluppo dell'energia pulita. In questo snodo è cruciale sapere quanto davvero il presidente di una conferenza sul clima creda alle richieste della scienza.

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