Dopo giorni di tentennamenti, e in seguito a un’ultima conversazione interministeriale nella mattinata di ieri che ha alla fine sbloccato le cose, l’Italia è entrata nella Beyond Oil and Gas Alliance. Boga, questo il nomignolo diplomatico del progetto, è la coalizione di paesi che vogliono decretare «l’inizio della fine delle fonti fossili», come ha spiegato nell’evento di lancio alla Cop26 Dan Jorgensen, il ministro del clima e dell’energia della Danimarca, paese co-promotore del progetto insieme alla Costa Rica.

«La sfida non è piccola, la nostra ambizione non è modesta, non lo facciamo per il brivido della sfida ma per non pagare le conseguenze del non averlo fatto. L’età della pietra non è finita perché sono finite le pietre, quella delle fonti fossili non finirà perché sono finite le fonti fossili», ha aggiunto Jorgensen, con tutta l’enfasi del caso, conquistata sul campo, perché la Danimarca, al momento della moratoria alle nuove estrazioni del 2019, era il primo paese produttore di petrolio dell’Unione Europea, con un ritmo da 100mila barili al giorno (già scesi a 70mila).

Non sono volumi da medio oriente ma non è una rinuncia da poco. In tutta questa ambizione l’Italia si è però ritagliata solo un ruolo da attrice decisamente non protagonista, quasi una comparsa. Ufficialmente siamo solo amici del Boga.

Membri e amici

Alla coalizione Boga si accede a tre livelli di impegno e serietà decrescenti: da membri, da membri associati e da amici. I membri mettono fine alla concessione di nuove licenze per l'estrazione domestica di petrolio e gas e si impegnano ad annunciare a breve una data per l’uscita definitiva dal loro consumo (per la Danimarca è già fissata al 2050).

Oltre ai due fondatori, tra i membri ci sono la Francia (43esimo produttore mondiale di petrolio), la Svezia (92esimo), l’Irlanda (117esimo), il Quebec (si accede anche a livello regionale), il Galles (uno schiaffo al Regno Unito, grande e criticato assente al Boga), la Groenlandia (membro degno di nota, per il potenziale delle sue vaste riserve).

I membri associati non mettono uno stop definitivo ma faranno sforzi significativi per la riduzione della produzione, per esempio attraverso una politica di riforma dei sussidi e del finanziamento a progetti all’estero (cosa che – va detto –  l’Italia ha annunciato in un accordo separato, la settimana scorsa).

Tra loro ci sono la Nuova Zelanda (66esimo produttore mondiale), il Portogallo (88esimo), la California. Non è un blocco in grado di avvicinarci in nessun modo ai grandi obiettivi dellaCop26 e a un aumento delle temperature di solo 1,5° C, ma il senso di progetti come Boga è soprattutto creare inneschi, convincere altri paesi a seguire l’esempio.

«Quando ci eravamo messi in testa di rendere il 30 per cento del mondo area protetta eravamo solo in sei, oggi siamo diventati 67, l’obiettivo è condiviso a livello mondiale ed è molto più vicino», ha detto Andrea Meza, ministra dell’Ambiente e dell’energia della Costa Rica, piccolo paese da tempo attivo sul fronte della diplomazia del clima e della biodiversità. L’architetta degli accordi di Parigi era non a caso una diplomatica costaricana, Christiana Figueres.

Scaltra manovra d’immagine

E poi c’è lo status di amici, che comporta un sostegno alla dichiarazione dei membri fondatori, l’impegno a una transizione giusta e quello ad allineare la produzione nazionale all’accordo di Parigi.

E in questa lista di «amici del Boga» l’unico paese presente è l'Italia. Niente di concreto, niente di operativo, al momento questa partecipazione è soprattutto una mossa scaltra dal punto di vista dell’immagine internazionale (e uno smacco al paese co-organizzatore della Cop26, il Regno Unito), ma non cambia  le prospettive operative del nostro paese dal punto di vista dell’estrazione del gas o del petrolio, settore nel quale peraltro l’impegno danese ci trasforma nel primo paese estrattore dell’Unione europea.

Friends of Boga è praticamente un vestito cucito sulla nostra difficoltà a decarbonizzare combinata con la nostra intenzione di apparire come chi lo sta facendo davvero. Cingolani ha annunciato la partecipazione un’ora prima dell’evento, con un video in diretta su YouTube.

Nelle comunicazioni su Twitter e Instagram ufficiali del Ministero della transizione ecologica non era menzionato il dettaglio che del Boga fossimo solo «amici». Alla presentazione davanti alla stampa internazionale – con gli altri ministri e ministre dei paesi fondatori – il Mite ha peraltro mandato Renzo Tomellini, capo della segreteria tecnica.

La conferenza è stata una delle più affollate di tutta la Cop26, perché Boga (nella sua versione piena) è uno dei progetti più concreti e allineati con l’obiettivo della conferenza sul clima, tenere un aumento di 1,5° C a portata di mano.

Oil Change International, una delle Ong più impegnate per una vera uscita dai fossili, ha elogiato Boga con un entusiasmo che è raro leggere nelle organizzazioni della società civile a Cop26, ma nel suo comunicato non ha nemmeno menzionato l’Italia, perché in effetti sul nostro appoggio esterno alla decarbonizzazione al momento c’è poco da dire.  

«Non mi fate domande politiche, sono solo un chimico», ha aggiunto Tomellini in una breve conversazione a margine dell’evento, nella quale ha sottolineato come le partite che contano per le prospettive italiane sono quelle europee del Fit for 55, molto più che alleanze di volenterosi come Boga. Ha anche smentito le voci sulla possibilità di scalare almeno a partner associati l’anno prossimo. Rimaniamo a guardare, ma con la spilla di amici. 

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