Dei fondi “verdi” promessi da Meloni a Cop 28 ancora non si è vista l’ombra

Alla Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop) di Dubai del 2023, Giorgia Meloni sorprese la platea dichiarando che l’Italia avrebbe contribuito con 300 milioni di euro al Green Climate Fund e 100 milioni di euro al Fondo per le perdite e i danni, due fondi multilaterali per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la crisi climatica. Peccato che ora sia uno dei pochissimi paesi che ancora non hanno adempiuto ai propri impegni o confermato quelle promesse, secondo quanto rivelato in uno studio di Ecco, il centro studi italiano sul clima. Di quei soldi, insomma, non si è ancora vista l’ombra. «Ad oggi è l’unico grande donatore che non ha confermato questo impegno» spiega Eleonora Cogo, Responsabile del Team Finanza di Ecco. Sebbene i fondi provenienti da questi meccanismi rappresentino sola una piccola parte della finanza internazionale per il clima, per Ecco rivestono un’importanza politica e simbolica significativa. Oltre agli stanziamenti per il Green Climate Fund e per il Fondo per le Perdite e i Danni, l’Italia ha poi istituito nel 2022 anche un Fondo Italiano per il Clima con una dotazione di 840 milioni all’anno. Ma ad oggi è stato effettivamente stanziato solo un terzo delle risorse a causa di ritardi nell’approvazione dei progetti. Sfrutta la Nigeria e scappa, le accuse dell’Onu a Eni & co Contributi in aumento, ma ancora insufficienti In quanto firmataria della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico e dell’Accordo di Parigi, l’Italia ha l’obbligo di fornire sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo per aiutarli nella transizione energetica e sostenerli nell’affrontare i danni provocati dal riscaldamento globale. Obbligo ribadito anche da un parere consuntivo emesso dalla Corte Internazionale di Giustizia a luglio. Per questo motivo, fra gli accordi raggiunti alla Cop dello scorso anno a Baku, i paesi hanno deciso di darsi un obiettivo collettivo di finanza per il clima di almeno 300 miliardi di dollari entro il 2030, di triplicare le risorse destinati ai fondi multilaterali e di aumentare i finanziamenti provenienti da fonti pubbliche e private fino a 1300 miliardi l’anno entro il 2035. Cogo e la sua squadra hanno quindi elaborato un policy paper insieme al centro studi Odi, stimando quali dovrebbero essere i contribuiti finanziari dell’Italia. Secondo le loro analisi, non sarebbe giusto bollarla come uno dei paesi che sta venendo meno ai suoi obblighi: i contributi sono infatti aumentati, passando da 3,02 miliardi di dollari nel 2021 a 3,40 miliardi nel 2023. «Ma non a sufficienza» chiarisce Cogo, dato che l’importo copre solo il 73 per cento della quota che gli dovrebbe spettare. La loro analisi rivela però anche luci e ombre nei finanziamenti. «Fino al 2023 l’aumento è largamente attribuibile a un incremento della spese delle Banche multilaterali di sviluppo», spiega Cogo, ovvero quelle istituzioni finanziarie internazionali che hanno come scopo la riduzione della povertà e di cui l’Italia è membro. Una scelta che – ricorda Cogo – è in parte figlia della presidenza italiana del G20 guidato nel 2021 da Mario Draghi. L’aumento dei fondi non risponderebbe quindi a precise decisioni politiche, ma a un adeguamento degli obblighi dovuti dalla partecipazione a istituzioni internazionali. In particolar modo, la Banca Mondiale avrebbe aumentato di circa il 30 per cenot i propri flussi per il clima. Prestiti in aumento, ma rischiosi I contributi diretti italiani ad altri paesi sono invece solo in lieve crescita. Secondo i dati comunicati dall’Italia all’Unione europea, nel 2024 questo aumento ha riguardato però soprattutto i prestiti. In un contesto in cui gli Stati più vulnerabili affrontano forti spese proprio sugli interessi del debito, «il rischio è che si crei un circolo vizioso in cui il debito diventi ancora più costoso proprio per quei paesi che affrontano uscite maggiori a causa del cambiamento climatico» dice Cogo. Basti pensare alla Giamaica, che in queste ora ha dovuto fare i conti con il devastante passaggio dell’uragano Melissa sul proprio territorio. Gli esperti dell’impresa di previsioni metereologiche statunitense Accu Weather hanno per ora stimato danni e perdite attorno ai 22 miliardi di dollari. Praticamente quanto il Pil dell’intero paese. L’uragano Melissa è il messaggio della crisi climatica al pianeta e alla Cop30 Intervenendo a un briefing per la stampa organizzato da Ecco, Federica Fricano, capo della delegazione italiana del ministero dell’Ambiente che si recherà alla Cop, ha riconosciuto i ritardi negli stanziamenti, ma ha ribadito che la sua struttura è al lavoro insieme a palazzo Chigi per sbloccarli. «In Italia è sempre complesso trovare lo strumento per far sì che questi fondi arrivino» ha spiegato, ammettendo che ci stanno «impiegando un po’ troppo». Il rischio, secondo Ecco, è che i ritardi finiscano per ridurre il valore reale degli impegni presi dall’Italia, a causa dell’inflazione e delle mancate opportunità di reintegro dei fondi stessi. In un contesto in cui le necessità rimangono altissime: secondo un’analisi presentata dal Gruppo Indipendente di Esperti di Alto Livello sul Finanziamento per il Clima, i mercati emergenti e i paesi in via di sviluppo dovranno spendere circa 2.400 miliardi di dollari entro il 2030. Ecco perché ogni ritardo conta.