Il prezzo della Green revolution lo pagano i congolesi. Come ampiamente dimostrato da rapporti, ricerche e articoli, il processo di passaggio dalle energie fossili a quelle rinnovabili continua ad avere delle spaventose zone d’ombra e a calpestare i diritti di intere popolazioni. Uno dei paesi maggiormente colpiti dal perpetuarsi di un sistema di ingiustizie e sfruttamento è senza dubbio la Repubblica Democratica del Congo.

Baciato da un numero impressionante di risorse di cui non ha mai sostanzialmente beneficiato – prova ne è il fatto che è tra gli stati più poveri, instabili e infelici del pianeta – ultimamente si è aggiudicato il primato assoluto di giacimenti di uno dei minerali più preziosi al momento in quanto essenziale per le performance delle batterie ricaricabili dei nostri smartphone e, soprattutto, delle nostre auto elettriche: il cobalto.

Si calcola che in Congo, anzi nella sola provincia del Lualaba, ex Katanga, giacciano il 70 per cento delle riserve di questo minerale che dal 2014 in poi ha scalato le classifiche del London Metal Exchange: nel solo 2017 è cresciuto del 120 per cento, superando i 90mila dollari a tonnellata, al momento oscilla tra i 33 e i 34 mila dollari.

Da allora si è scatenata una corsa all’oro moderna che ha fatto strame di diritti, rispetto dell’ambiente, di uomini, donne e bambini. Secondo l’Unicef sarebbero oltre 40mila i minorenni sfruttati nelle miniere artigianali che i locali hanno preso a scavare a mani nude anche sotto casa, ricevendone in cambio tra i 3 e i 4 dollari al giorno, per 12 ore di lavoro in cunicoli in cui spesso si muore. Non fosse stato per i due report di Amnesty International del 2016 e del 2017, la grande sopraffazione che si perpetua lungo la sporca filiera del cobalto e che porta colossali profitti alle aziende dell’estrazione, della raffinazione, dell’assemblaggio, fino agli utilizzatori finali dell’automotive.

La nota Ong, assieme all’organizzazione congolese Iniziativa per il buon governo e i diritti umani, ha pubblicato un nuovo rapporto che denuncia l’ennesima ingiustizia consumata ai danni dei congolesi. In “Energy Transition: Powering Change or Business as Usual?” le due organizzazioni descrivono nel dettaglio come la frenetica competizione delle aziende multinazionali per espandere le operazioni minerarie abbia causato lo sgombero forzato di intere comunità dalle proprie abitazioni e terre agricole.

L’espansione, su scala industriale, delle miniere di cobalto e rame in tutto il paese ha portato a fenomeni di land grabbing, di trasferimento forzato di intere comunità e a gravi violazioni dei diritti umani, tra cui incendi dolosi, aggressioni sessuali, violenze a abusi.

Altre violazioni

«Le attuali espulsioni forzate causate dall’intento delle aziende di ampliare i propri progetti minerari di rame e cobalto – denuncia Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International - stanno devastando vite umane e devono essere immediatamente fermate. Amnesty International riconosce l’importante funzione delle batterie ricaricabili nella transizione energetica... Tuttavia, la decarbonizzazione dell'economia globale non deve comportare ulteriori violazioni dei diritti umani».

La batteria di un veicolo elettrico richiede più di 13kg di cobalto, mentre per uno smartphone ci vogliono circa 7g. Si stima che la domanda di cobalto raggiungerà le 222 mila tonnellate annue entro il 2025. Per realizzare il rapporto, le due Ong, hanno intervistato più di 130 persone in sei progetti minerari diversi nella città di Kolwezi capoluogo della provincia del Lualaba e zona di enorme concentrazione cobaltica, durante due visite separate nel 2022.

I ricercatori hanno lavorato sulle risposte degli intervistati ed esaminato documenti, fotografie, video e immagini satellitari. Le testimonianze e la documentazione attestano di una gravissima situazione di violazioni dei diritti umani, sgomberi forzati, abusi e deportazioni di fette di popolazione che, abituate a vivere di un certo tipo di economia, trovano molto complesso l’adattamento improvviso ad altre.

«Le persone - ha dichiarato Donat Kambola, presidente dell’Iniziativa per il buon governo e i diritti umani - vengono sgomberate forzatamente, minacciate o intimidite affinché lascino le loro case o ingannate a dare il loro consenso a risarcimenti irrisori. Spesso non esiste alcun meccanismo di reclamo, responsabilità o accesso alla giustizia».

E così, l’ultima preziosissima risorsa scoperta in grandi quantità nel paese centro africano dopo caucciù, oro, diamanti, rame, uranio etc, che in qualsiasi altro continente, sarebbe stata salutata come benedizione, diventa in Congo, ma più in generale in Africa, una maledizione. Chi ne avrebbe diritto, non solo non trae benefici, ma ricava guai in termini di deportazioni, guerre, povertà, instabilità politica, provocata dagli enormi interessi in gioco. In nome della rivoluzione verde.  

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