Da un punto di vista climatico, è la notizia più importante della settimana, anche più delle alluvioni in Germania o del piano europeo Fit for 55: la foresta amazzonica emette molta più CO2 di quella che è in grado attualmente di assorbire.

Dal 1960 i carbon sink forestali hanno sottratto all'atmosfera quasi un quarto delle emissioni di carbonio, sono considerati (a volte anche sproporzionatamente rispetto alle loro possibilità di esserlo e ai nostri tagli di emissioni) un alleato nella lotta al riscaldamento globale. 

Ora invece sappiamo che quello che consideriamo il più grande pozzo di carbonio della Terra in realtà sta accelerando la crisi climatica invece di mitigarla. Il principale motivo di questa inversione sono gli incendi, appiccati quasi senza limiti per aumentare la superficie a disposizione degli allevamenti intensivi e della produzione di soia, una distruzione che è aumentata vertiginosamente con Bolsonaro presidente e che ha visto il Brasile diventare il primo deforestatore globale nel 2020, quando è stato raggiunto il picco degli ultimi dodici anni.

Anche la degradazione del suolo, causata dalla siccità che sta colpendo il paese e dalle alte temperature, contribuisce alla riduzione della capacità dell'Amazzonia di catturare CO2 dall'atmosfera.

La metamorfosi accelera, è uno dei tanti circoli viziosi del clima: meno alberi portano a temperature più alte e meno precipitazioni, più caldo e meno pioggia significano più siccità, più siccità porta ad avere meno alberi e più incendi, e così e via.

L’ambiente in fumo

Già degli studi fatti con immagini satellitari avevano preannunciato questa inversione di tendenza, la nuova ricerca (pubblicata questa settimana su Nature) è stata effettuata dal National Institute for Space Research con aerei che hanno raccolto dati sulla foresta volandoci sopra a bassa quota in 600 siti diversi.

Le proporzioni sono preoccupanti: le parti della foresta che bruciano emettono il triplo della CO2 di quanto la foresta sia in grado di assorbire e, proprio per quei circoli viziosi tra siccità, copertura di alberi e temperatura, una volta superata la soglia del 30 per cento di deforestazione, le emissioni dell'Amazzonia in fiamme aumentano di dieci volte.

La fotografia in numeri è questa: l'Amazzonia emette 1,5 miliardi di tonnellate di CO2 all'anno, a fronte di 0,5 tonnellate di CO2 assorbite.

Il saldo negativo è di un miliardo di tonnellate di CO2, è come se gli incendi avessero trasformato la foresta tropicale del Brasile in un grande inquinatore globale, che si troverebbe al sesto posto, sotto il Giappone (1,1 GT) ma sopra la Germania (0,75 GT) e con il triplo di emissioni annuali dell'Italia (0,33 GT).

Come un paese industriale

Il mondo non può permettersi una foresta amazzonica che emette CO2 come un grande paese industriale, né potrebbe permettersela il Brasile stesso. Nonostante le promesse fatte al summit organizzato da Biden per l'Earth Day, il presidente brasiliano Bolsonaro ha proseguito la sua opera di smantellamento di regole, argini e protezioni: lo stesso ente che ha effettuato questa ricerca è stato sollevato dall'incarico di monitorare la foresta, a favore dell'Istituto nazionale di meteorologia, più vicino al governo e al settore agricolo.

L'unico intoppo nella marcia di distruzione ambientale sono state le dimissioni del ministro dell'ambiente Ricardo Salles, per una storia di traffico di legname illegale.

Nel mondo stanno crescendo le minacce e gli annunci di boicottaggio di prodotti alimentari brasiliani da parte di paesi, aziende e istituti finanziari.

Le prossime elezioni sono previste nell'ottobre del 2022, la stagione degli incendi raggiunge il picco tra agosto e settembre. 

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