Proprio nel giorno in cui, ancora una volta, l’Italia si è scoperta terribilmente indietro nell’adattamento alla crisi climatica, l’Unep ha pubblicato un devastante rapporto sul gap globale tra quello che stiamo facendo e quello che dovremmo fare per prepararci agli inevitabili effetti crescenti del riscaldamento globale. Una delle verità più citate nel contesto climatico è: «La mitigazione è evitare l’ingestibile, l’adattamento è gestire l’inevitabile».

Sono come due ruote della stessa bicicletta, devono procede insieme. L’Unep è l’agenzia ambientale delle Nazioni unite, ogni autunno pubblica una serie di rapporti che servono anche come avvicinamento politico alla conferenze Onu delle parti sui cambiamenti climatici di metà autunno. Quella del 2023, Cop28, si terrà a partire dalla fine di novembre a Dubai, negli Emirati Arabi.

Il fianco scoperto

Quello sull’adattamento era uno dei più attesi, perché questo da tempo è uno dei fronti più scoperti, la ruota della bici che più gira a vuoto. Il rapporto si chiama Adaptation Gap ma, più che un gap, quella che mostra attraverso i suoi dati l’agenzia ambiente delle Nazioni unite sembra una vera e propria voragine, più grande del 50 per cento rispetto a quello che si stimava in precedenza.

Questa è una voragine che ha i suoi effetti più devastanti nei paesi del sud globale ma che colpisce anche le economie più sviluppate come l’Italia. Per altro l’Onu sottolinea, come dato di partenza, che l’85 per cento dei paesi ha un piano di adattamento ai cambiamenti climatici già operativo: tra questi però non c’è l’Italia, il nostro è ancora, dopo sette anni, in una fase di consultazione. I lentissimi tempi di reazione del nostro paese non fanno che aggravare l’emergenza.

Un problema di risorse

Ma il gap di adattamento è innanzitutto un problema di risorse economiche. Proprio mentre la crisi climatica si sta amplificando, i fondi per rendere le comunità, le città e le infrastrutture più resilienti agli eventi estremi continuano a calare.

Oggi i soldi messi in campo globalmente sono solo tra il 5 e il 10 per cento di quelli che servirebbero per affrontare l’emergenza sulla scala necessaria. In vista delle complicate sfide della Cop28, questo è anche un problema di collaborazione e di fiducia tra i paesi sviluppati (e quindi considerabili responsabili dell’emergenza climatica) e quelli più vulnerabili.

I fondi necessari arrivano oggi a 366 miliardi di dollari all’anno ma, invece di crescere sono calati, secondo gli ultimi dati, del 15 per cento. Una parte del mondo sta lasciando l’altra a se stessa. Oggi le risorse che servirebbero sono di 10-18 volte più grandi rispetto a quelle reali.

Investire

L’adattamento è innanzitutto un investimento: secondo l’Unep un miliardo di dollari speso in prevenzione e protezione contro le alluvioni permette di risparmiare quattordici miliardi in ricostruzioni successive.

La direttrice dell’Unep, Inger Andersen, ha descritto così questo giorno della marmotta del mancato adattamento: «Come civiltà, non siamo ancora preparati al clima che cambia. Non abbiamo adeguata programmazione e non abbiamo messo in campo gli investimenti necessari, e questo ci rende ancora tutti esposti.

Nel 2023 il cambiamento climatico è diventato ancora più distruttivo, ne vediamo le prove davanti ai nostri occhi e sui nostri schermi in continuazione. Ma non stiamo ancora agendo e la conseguenza è che le persone si trovano costrette ad affrontare la forza piena degli impatti climatici senza nessuno scudo di protezione. Più lasciamo indietro l’adattamento e più grandi saranno le sofferenze che dovremo affrontare».

Nelle 55 economie più vulnerabili al mondo rispetto agli effetti peggiori della crisi climatica, i danni e le perdite da cambiamenti climatici negli ultimi due decenni hanno ormai superato la cifra di 500 miliardi di dollari.

Uno dei temi della Cop28 sarà proprio come rendere operativo il fondo di compensazione sui danni e le perdite: servirà uno sforzo finanziario immane per affrontare i disastri futuri. L’invito contenuto nell’Adaptation Gap 2023 a migliorare gli strumenti di prevenzione serve esattamente a questo: ridurre le perdite che dovremo andare a compensare in futuro. È una lezione che però non sembra ancora essere stata appresa, né in Italia né su scala globale.

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