La tanto attesa svolta per l’ex-Ilva di Taranto, ribattezzata Acciaierie d’Italia e tenuta in vita dal governo italiano con iniezioni di capitale, ricorso alla cassa integrazione e duelli in tribunale, stenta ancora a delinearsi. Ma per ArcelorMittal, la svolta c’è già. Il gruppo si è scrollato di dosso il rischio di costi faraonici per rendere lo stabilimento tarantino ecosostenibile e, grazie a una congiuntura di mercato estremamente favorevole, sta anche incamerando profitti record. Un quadro quasi ideale per accelerare i suoi sforzi per ridurre le emissioni di anidride carbonica e altri effetti nefasti legati ai fumi degli altiforni.

Il gigante gestito dalla famiglia indiana Mittal vuole mettere a frutto anni di ricerche per raggiungere la neutralità carbonica nel 2050. Già alla fine di questo decennio, l’ambizione è di ridurre del 30 per cento le emissioni di CO2 nei suoi siti produttivi in Europa. Come hanno scritto gli analisti di Bank of America, «la sostenibilità è la questione chiave» per il futuro del leader europeo dell’acciaio.

A marzo, ArcelorMittal ha annunciato che le attività e altre iniziative del gruppo a favore del clima ora si chiamano XCarb. Una marca che permetterà ai clienti di fare acquisti di acciaio con risparmi energetici certificati. In termini di capacità produttive, i principali progetti pilota per introdurre l’idrogeno nella produzione dell’acciaio sono in Germania, Francia e Spagna. L’Italia non è sulla mappa. A Brema e in altre acciaierie tedesche, ArcelorMittal sta cercando fondi per convertire le fabbriche e potenzialmente sfornare fino a 3,5 tonnellate di acciaio nel 2030 a partire da idrogeno verde. A differenza dell’idrogeno grigio, prodotto con energie fossili, l’idrogeno verde si produce usando elettricità proveniente da fonti rinnovabili.

Eliminare il carbone

Anche il Recovery plan italiano punta sull’idrogeno e nota che la produzione di Direct reduced tron (Dri) con metano e forno elettrico genera circa il 30 per cento di emissioni di Co2 in meno rispetto al ciclo integrato dell’acciaio, mentre l’uso dell’idrogeno verde può spingere l’abbattimento delle emissioni fino al 90 per cento. «Un’acciaieria produce Co2, polveri e fumi in funzione dei fattori di produzione», dice Didier Julienne, specialista delle materie prime. «Se si elimina il carbone per sostituirlo interamente con l’idrogeno, non si dovrà più cercare di progredire poco a poco verso meno inquinamento e ci sarà un cambiamento di paradigma».

Il problema (e la scommessa) è di avere quantità sufficienti di elettricità pulita a disposizione. Nel nord della Germania, ad esempio, un consorzio sta progettando una infrastruttura regionale per trasformare in idrogeno l’energia catturata dal vento del Mare del Nord. Nell’acciaieria di Amburgo, ArcelorMittal si dice già pronta a forgiare 100mila tonnellate l’anno di metallo inserendo idrogeno nella produzione. Marginale per un gruppo che nel 2020 nonostante la pandemia ha prodotto più di 70 milioni di tonnellate di acciaio, ma è un inizio.

Per amplificare la sua strategia climatica, ArcelorMittal ha anche deciso di stanziare 100 milioni di euro all’anno per un fondo a sostegno di startup innovanti. A confronto, i 70 milioni di euro promessi per l’ex-Ilva nel quadro del partenariato con il governo italiano fanno magra figura. Certo, a Taranto ArcelorMittal ha perso la scommessa del rilancio della più grande acciaieria d’Europa. Il colosso con sede in Lussemburgo ha preferito disimpegnarsi per via delle tante incertezze che pesano sullo stabilimento e soprattutto dopo che il parlamento italiano nel 2019 ha cancellato lo scudo penale legato all’esecuzione del piano di risanamento ambientale.

Ristrutturare e vendere

Una ritirata che sa anche un po’ di opportunismo. I Mittal hanno costruito il loro impero attraverso una lunga serie di compravendite. Ristrutturare o disfarsi di attività in bilico fa parte del gioco. Come l’anno scorso, quando ArcelorMittal ha venduto i suoi siti industriali americani più costosi per alleggerire debiti e distribuire proventi agli azionisti.

Tutto questo in un mercato dell’acciaio dominato dalla Cina, che assicura più della metà della produzione mondiale ma che sta prendendo coscienza del suo impatto sull’ambiente. «La Cina avrà meno bisogno di produrre acciaio e vuole produrre meno acciaio inquinante, quindi in futuro esporterà di meno», dice Didier Julienne. «Per soddisfare i nostri bisogni in Europa, dobbiamo conservare una produzione strategica e continuare a produrre acciaio sempre più verde. Ci sarà una competizione tra imprese europee. Quella che riuscirà per prima a mettere a punto una filiera dell’acciaio pulito avrà un vantaggio considerevole».

 

© Riproduzione riservata