L'odore di benzina si sente ancora nell’aria perché, dopo anni, ancora quel territorio non è bonificato: si trova così il Sito di interesse nazionale (Sin) - ovvero contaminato - Napoli orientale. Un’immensa estensione di 800 ettari che attraversa Napoli dalla zona del mare ai quartieri tra i più problematici della città, San Giovanni a Teduccio, Poggioreale e Gianturco. A settembre è partito il processo contro la società che si occupa di prodotti petroliferi Kuwait Petroleum Italia (Kupit), accusata di traffico illecito di rifiuti, ma non si è costituito parte civile né il ministero, né il comune, né la regione e mancano all'appello anche le principali associazioni ambientaliste.

Le bonifiche in tutto il perimetro Sin, che non riguardano solo Kupit ma altre centinaia di società che lì operano, non sono state completate, anzi: il ministero dell’Ambiente aspetta il comune, il comune aspetta la regione ed è difficile trattare con i soggetti coinvolti. Così l’area resta inquinata.

Il processo

L’11 settembre c’è stata la prima udienza davanti al giudice monocratico del tribunale di Napoli Giovanni Tartaglia Polcini, che dovrà decidere sul caso Kupit. Secondo la procura la società ha stoccato illegalmente dal 2010 al 2013 oltre 91 milioni di litri di liquido infiammabile proveniente dal lavaggio a fine discarica delle navi, dell’oleodotto di interconnessione fra il deposito e il terminale del porto, ottenendo un profitto illecito di quasi 240 milioni di euro. Un mancato trattamento che secondo le indagini ha inquinato l’aria, l’acqua e il suolo, e ha dato vita a una tra le più complesse operazioni a livello nazionale sullo smaltimento illecito di rifiuti in forma organizzata. Nessuno sta chiedendo i danni.

In tutto gli imputati sono 29. Tra questi la società, difesa dallo studio dell’ex ministra della Giustizia, Paola Severino, l’allora presidente della Kuwait Italia, Alessandro Gilotti. All’epoca Gilotti era anche presidente dell’associazione delle società italiane che si occupano di petrolio, Unione petrolifera, oggi rinominata Unione energie per la mobilità.

Le indagini

Le indagini sono state chiamate “Operazione Terra pulita”. Tutto è nato dagli accertamenti dell'agenzia delle Dogane nel 2013. Volevano verificare se erano state pagate le accise e hanno trovato i rifiuti. Allora sono partiti i controlli che hanno portato alla scoperta delle acque oleose. La polizia ambientale della capitaneria di porto ha potuto appurare che venivano stoccate in depositi non adatti al trattamento e con gravi carenze strutturali. Le acque nocive si sono riversate nelle aree circostanti, avvelenando la terra e il sottosuolo.

Gli imputati, si legge nelle carte, hanno agito nella consapevolezza che l’impianto dello stabilimento Kupit non fosse idoneo a trattare i rifiuti. In un’intercettazione Gilotti parla con Roberto Grillo, responsabile del terminal, e tra di loro commentano che erano “sessant’anni” che andava avanti quella storia. Un dettaglio che dà un’idea su quanti anni di incuria “Napoli Orientale” abbia dovuto subire. Anche se l’area è stata dichiarata Sin solo nel 1998.

Secondo l’accusa, Kupit ha agito per risparmiare al massimo sui fondi che avrebbero dovuto essere investiti in buone pratiche industriali e nella manutenzione ordinaria delle strutture collegate al deposito. A fine 2015 la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha ha quantificato il guadagno illecitgo e ha disposto l’esecuzione di del sequestro preventivo “per equivalente” dei beni Kupit: 239.723.305. Così sono state bloccate disponibilità finanziarie e 1.146 proprietà immobiliari della Kuwait, tra cui depositi, fabbricati, edifici, aree di servizio e distributori stradali in tutta Italia, da Pordenone a Porto Empedocle. Sequestro confermato dal giudice.

A fine febbraio 2017, con atto a firma del Procuratore aggiunto della Repubblica di Napoli Filippo Beatrice e dei pubblici ministeri Antonella Fratello e Salvatore Prisco, è stato emesso l’avviso di conclusione delle indagini a carico di 29 indagati, tra cui i vertici della Kuwait petroleum Italia. Ad aprile 2018 sono stati rinviati a giudizio tutti.

Adesso la società è imputata di traffico illecito di rifiuti, un delitto punito dal Codice dell’ambiente.

Il presente

A settembre 2020 è ripartito il processo con la prima udienza di comparizione degli imputati dopo il trasferimento al giudice monocratico. A quanto comunicano i legali della società, c’è stata un’altra udienza con i primi testimoni a inizio ottobre, la prossima sarà a gennaio. Prima della sentenza ci vorranno mesi. I serbatoi sono stati svuotati, e a fronte di questa azione, il Tribunale ha disposto il dissequestro di beni per 19 milioni.

Per il resto le bonifiche procedono a rilento, sia di Kuwait che di tutto il resto del sito. L’area Kupit dal 2017 è già parte di un accordo di programma, ma tra appalti e messa in opera, i lavori sono solo iniziati.

Per le altre parti del Sin, spiegano al ministero dell’Ambiente, il Comune, a cui dal 2011 spetta la gestione degli accordi, non riesce ad accordarsi con i privati coinvolti. Si parla di un numero di controparti che secondo il ministero dell’Ambiente supera il centinaio, ma potrebbero essere anche di più. Secondo l’Arpa infatti l’area interessa 500 privati.

Intanto l’inquinamento continua a peggiorare. Nel 2017 Il prefetto di Napoli, Maria Gerarda Pantalone, nell’audizione dinanzi alla commissione bicamerale di Inchiesta sui rifiuti ha spiegato il perché. Rispetto alla situazione dell’altro Sin di Napoli, quello di Bagnoli, infatti, «quella del Sin Napoli orientale, se posso anticipare una mia impressione, è ancora più grave». Mentre Bagnoli oggi non è più attivo, «qui le attività produttive non sono ferme, ma vanno avanti, continuando a produrre l’inquinamento che era stato già rilevato anni fa».

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