Ricercatori del dipartimento di ingegneria chimica della Texas A&M University hanno realizzato uno studio in cui dimostrano come sia possibile riutilizzare l’anidride carbonica, il noto gas serra, trasformandola in composti chimici “a valore aggiunto”, cioè con più valore economico del gas stesso, tramite reazioni chimiche particolari.

Come spiega Denis Johnson, primo autore della ricerca, con i progressi scientifici odierni si può essere fiduciosi sul fatto che l’umanità un giorno possa arrivare ad invertire i danni che il gas ha procurato all’ambiente. Un metodo per ridurre i livelli di anidride carbonica nell’ambiente è la decarbonizzazione: questo metodo prevede che il carbonio venga rimosso là dove viene prodotto.

Ma la decarbonizzazione spesso non è sostenibile in quanto per metterla in atto ci vogliono altre fonti di energia che talora poi sono composte dalla combustione di materie prime. Insomma un cane che si morde la coda.

Un altro metodo per rallentare l’accumulo di anidride carbonica nell’ambiente è il cosiddetto “sequestro del carbonio”: praticamente si cattura l’anidride carbonica dall’atmosfera e la si conserva affinché non possa più ritornarci. Quindi si prevede di portarla a profondità abissali negli oceani oppure di sotterrarla là dove vi sono giacimenti di idrocarburi esauriti.

Anche questo metodo però, spesso non è sostenibile, soprattutto a livello economico. Ora ecco la proposta e la realizzazione di una nuova metodologia. Spiega Johnson: “La nostra ricerca ci ha portato a voler riutilizzare l’anidride carbonica tramite una tecnologia simile a quella della cattura del carbonio, ma che prevede un processo di purificazione. Una volta purificata dal resto degli elementi che di solito accompagnano il gas-serra, si può sottoporla ad una reazione di riduzione dell’anidride carbonica con un metallo di transizione che può essere il rame o il nichel”.

In altre parole si procede ad una reazione elettrochimica il cui risultato finale è un altro prodotto chimico che può essere utile. Ad esempio si possono ottenere il propanolo, che può essere utile nel settore della medicina, o l’etanolo, utile nel settore dei combustibili.

Usare l’anidride carbonica, che ad oggi è considerata solo uno scarto dannoso, per realizzare etanolo il quale può poi essere utilizzato per produrre altro carburante vuol dire “riciclare” la stessa anidride carbonica. E questo permetterebbe di prolungare la vita di automobili e altri mezzi di trasporto prima di arrivare alla sostituzione definitiva con mezzi elettrici.

L’aria pulita salva vite

Nel 2019 l’inquinamento che vi è stato in Europa ha causato un gran numero di decessi prematuri e malattie. Lo sostiene il rapporto“Health impacts of air pollution in Europe” pubblicato dall’EEA (European Environment Agency).

Lo studio presenta la situazione di tre inquinanti chiave che sono alla base di tutto ciò: particolato fine (Pm2.5) (ossia le particelle estremamente piccole prodotte dalla combustione di combustibili fossili), biossido di azoto e ozono troposferico.
Ebbene, nel 2019, nei 27 Paesi dell’Unione Europea vi sono stati 307.000 decessi attribuiti all’ispirazione di Pm2.5, mentre il biossido di azoto ne ha causati 40.400 e l’ozono 16.800. Se si considerano anche gli altri Paesi europei si arriva a 373.000 morti premature attribuite all’esposizione a PM2.5, a 47.700 all’esposizione a biossido d’azoto e a 19.070 all’esposizione a ozono.

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L’Italia segna valori drammatici, in quanto, sempre secondo il rapporto, vi sono stati 49.900 morti premature da Pm2.5; 10.640 da biossido d’azoto e 3.170 per ozono. Ci precede solo la Germania. A livello generale tuttavia, i valori d’inquinamento stanno diminuendo, tant’è che sono inferiori a quelli del 2018. In particolare si è avuta una riduzione del 16 per cento dei decessi per il biossido d’azoto, dell’11 per cento al particolato fine e del 9 per cento per esposizione all’ozono.  

Ma, stando ancora una volta al rapporto, se l’inquinamento da particolato fosse stato portato ai livelli che richiede l’OMS (non superare i 5 µg/m3) si sarebbero potuti risparmiare almeno 178.000 persone.

Una punta di ottimismo si può avere considerando che nell’ambito dell’European Green Deal europeo, il piano d’azione per l’inquinamento zero dell’Unione europea, è stato fissato l’obiettivo di ridurre il numero di morti prematuri a causa del particolato fine di oltre il 55 per cento entro il 2030 rispetto al 2005. Secondo l’Eea si è attualmente sulla buona strada per arrivare all’obiettivo, poiché la quantità dei decessi è diminuita di circa un terzo dal 2005 al 2019.

Il dinosauro più grande del mondo

La medaglia d'oro per il dinosauro più lungo al mondo potrebbe andare al “Supersaurus”, così giustamente chiamato, ora che un gruppo di paleontologi ha ristudiato reperti fossilizzati già noti da tempo e analizzato nuove ossa portate recentemente alla luce sempre a Dry Mesa Dinosaur Quarry in Colorado.

Come altri dinosauri estremamente lunghi, Supersaurus è un diplodocide, ossia un sauropode dal collo lungo, con una coda a forma di frusta altrettanto allungata. Il Supersaurus è sempre stato considerato uno dei dinosauri più lunghi comparsi sulla Terra, ma l’ultima ricerca dimostra che "effettivamente questo è il dinosauro più lungo mai studiato e lo si può affermare grazie alla ricostruzione di uno scheletro estremamente ricco di parti", ha spiegato Brian Curtice, un paleontologo al Museo di Storia Naturale dell'Arizona che ha guidato la ricerca ancora in atto.

Secondo il nuovo studio di Curtice, quando Supersaurus era vivo, circa 150 milioni di anni fa durante il periodo Giurassico, superava i 39 metri di lunghezza e forse raggiungeva anche i 42 metri dal muso alla coda.

Il dinosauro in questione dunque, sarebbe stato più lungo di un altro contendente al record, il Diplodocus, il quale probabilmente raggiungeva una lunghezza di 33 metri (secondo uno studio del 2006 di un esemplare noto come Seismosaurus che si trova nel New Mexico Museum of Natural History, sul quale sono stati fatti studi pubblicati su Science Bulletin).

La ricerca sul Supersaurus tuttavia, non è ancora stata pubblicata, ma è stata presentata online alla recente Conferenza annuale della Society of Vertebrate Paleontology. Va detto che lo studio sul Supersaurus è in atto da quasi 50 anni, da quando cioè venne alla luce il primo esemplare nel 1972 in un “letto di ossa che sembrava un’insalata di ossa", ha detto Curtice. A quel tempo non fu chiaro immediatamente se quelle ossa appartenessero ad un animale, piuttosto che a più esemplari.

Negli anni vennero alla luce altri reperti, ma si continuò a credere che appartenevano a esseri diversi, mentre in realtà, grazie all’ultima ricerca di Curtice, si è capito che erano tutte parti di un unico esemplare.

La prova per spostare un asteroide

Il 24 novembre, quando saranno le 8:20 in Italia, se non ci saranno intoppi verrà lanciato  Dart, il Double Asteroid Redirection Test della Nasa. Si tratta di una missione ideata per raggiungere, colpire e deviare la traiettoria di un piccolo asteroide. La sonda partirà dalla base di lancio di Vandemberg, in California, pronta per essere lanciata da un razzo Falcon 9.

Dart è un pesante oggetto che pesa 500 chilogrammi il cui obiettivo sarà quello di colpire a ben 24.000 chilometri orari l’asteroide Dimorphos, un oggetto roccioso di circa 160 metri di diametro che orbita attorno a un asteroide ben più grande, Didymos. In altre parole è la sua luna.

Rappresentazione dell’asteroide Apophis che nel 2068 potrebbe interessare il nostro Pianeta. Foto: NASA

Dimorphos in realtà non costituisce alcun pericolo per il nostro pianeta, ma è stato scelto come obiettivo per provare, se mai ce ne dovesse essere il bisogno, le capacità di deviare un oggetto in movimento nello spazio. Si stima che l’impatto di Dart causerà solo un piccolissimo cambiamento nella traiettoria di Dimorphos, una variazione piccolissima che però nel corso del tempo si trasformerà in una variazione importante.

Cosa centra l’Italia in tutto ciò? Ebbene a riprendere l’intera scena sarà uno spettatore italiano: LiciaCube, un microsatellite realizzato interamente negli stabilimenti di Argotec a Torino in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi).

Dieci giorni prima dell’impatto, previsto per settembre 2022, LiciaCube si separerà da Dart e si sposterà su una traiettoria leggermente ‘sfalsata’ rispetto a quella del veicolo madre per fotografare in sicurezza tutti i momenti dello scontro e fornire i dati per un primo riscontro sulla riuscita della missione.

Una seconda missione, Hera dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), sarà lanciata in direzione di Didymos per verificare con precisione lo spostamento di Dimorphos a 5 anni di distanza dall’impatto di Dart.

La più grande estinzione

Per decenni, gli scienziati hanno cercato di svelare le cause dell'estinzione di massa che si verificò alla fine del Permiano. Un evento così drammatico che oggi viene chiamato “la madre di tutte le estinzioni”.

L'opinione prevalente è che il riscaldamento globale abbia avuto un ruolo importante, ma ora ci sono prove che il riscaldamento sia stato preceduto da un inverno vulcanico particolarmente intenso, un lungo periodo di freddo globale legato ad un'attività vulcanica che avrebbe destabilizzato tutti gli ecosistemi terrestri.

Il tutto avvenne circa 252 milioni di anni fa, quando in un batter d'occhio geologico, circa l'85 per cento delle specie del pianeta scomparve. Si era pensato che tutto ciò fosse iniziato quando la grandi eruzioni vulcaniche interessarono l’attuale Siberia in una serie di eruzioni che pomparono abbastanza anidride carbonica e metano nell'atmosfera tale da aumentare le temperature globali e rendere privi di ossigeno la maggior parte degli oceani. Ma ora, un nuovo studio suggerisce che tali eruzioni non furono le uniche responsabili dell'estinzione.

"Nella Cina meridionale, ci sono livelli insoliti di rame e mercurio incorporati negli strati di cenere proprio al confine dell'estinzione di massa", ha affermato Michael Rampino della New York University, uno degli autori dello studio. Gli strati di cenere sono anche ricchi di zolfo, che spiega il tipo di eruzione vulcanica che si verificò: "Suggerisce un vulcanismo esplosivo nella regione", dice.

Queste eruzioni esplosive - che erano ben diverse dalle eruzioni siberiane non esplosive - sono state così catastrofiche che la nube di cenere che si produsse coprì gran parte del pianeta causando l’"inverno vulcanico", causa di un rapido periodo di raffreddamento globale che i ricercatori pensano possa aver preceduto il riscaldamento causato dalle eruzioni siberiane.

L’insieme dei due fenomeni dunque, deve aver fatto collassare gli ambienti di quel periodo che solo con grande difficoltà riuscirono a conservare forme di vita semplice che si riprese nei milioni di anni successivi.

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