«Il grande problema di Roma è il suo rapporto con l'acqua. I modelli idraulici sono basati su serie storiche che non valgono più, ora che il clima è cambiato. Il rischio di esondazione del Tevere è concreto, guardano ai grandi muraglioni ma il vero problema è all'altezza di Ponte Milvio». Sono parole di Andrea Filpa, docente di pianificazione urbana all'Università Roma Tre. Filpa è uno dei massimi conoscitori di una delle ombre meno considerate quando si parla del futuro della città: Roma è una bomba climatica pronta a esplodere. «Se il Tevere esondasse in quel punto, l'acqua imboccherebbe a sinistra Via Flaminia, verso Piazza del Popolo, e a destra verso Prati, tutte zone depresse e non preparate. Gli ingegneri idraulici hanno simulato uno scenario in cui ci troviamo due metri e mezzo d'acqua dentro il Pantheon. E anche con un metro sarebbe una tragedia, per il patrimonio artistico e per le vite umane», dice Filpa, anticipando i risultati di uno studio non ancora pubblicato del Dipartimento di ingegneria del suo ateneo.

A fine novembre, su questo tema, è uscito un rapporto di Legambiente, Il clima è già cambiato, con numeri inquietanti sull'adattamento di Roma, di gran lunga il comune italiano più vulnerabile all'emergenza climatica. Nell'ultimo decennio è stata colpita da 47 i fenomeni estremi, di cui ben oltre la metà allagamenti, con 28 giorni di stop gravi alle infrastrutture dei trasporti, oltre 2000 beni del patrimonio culturale a rischio, 600 decessi per problemi circolatori e cardiovascolari legati alle ondate di calore. Poi si va a chiedere, fare domande a esperti, atenei, istituzioni, e si scopre che la fragilità climatica di Roma la conoscono tutti, è indagata, mappata, documentata, discussa ovunque meno che in politica. Il cambiamento climatico su Roma è un bouquet di problemi e per ognuno c'è un campanello d'allarme che suona a vuoto da anni.

Le elezioni in primavera

C'è uno studio del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio sul pericolo delle ondate di calore per l'incolumità dei cittadini. A Roma la temperatura è aumentata di +3,65°C dal 1960, la città è disseminata di isole di calore create dal cemento. La mappa frutto della ricerca ha delle zone rosse che partono dal centro e coprono buona parte del nord-est. Nelle isole di calore romane il rischio di mortalità per gli over 65 è doppio rispetto alle zone fresche, quelle con meno cemento e più verde. «Roma è piena di parchi, ma ci sono anche quartieri senza un albero», spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente. »L'effetto è un'amplificazione delle diseguaglianze, con le ondate di calore che si abbattono su anziani, poveri, fragili, su chi non può permettersi l'aria condizionata».

Salvo rinvii causa Covid, tra sei mesi a Roma si vota per eleggere il nuovo sindaco. Oggi si parla di nomi, patti, alleanze, un grande casting senza contenuti nel quale un rapporto come quello di Legambiente atterra e viene sostanzialmente ignorato. «Il nostro studio non è entrato nel dibattito politico perché non c'è un dibattito politico a Roma», spiega Zanchini. «Il problema della politica romana è che non si parla di nulla e non si fa nulla. Non è solo la fase elettorale, sono anni che non ci si occupa di adattamento urbano. Il bilancio dell'amministrazione Raggi è semplice: non ha fatto assolutamente niente, non c'è un intervento degno di nota». Da anni quella urbana è stata individuata come la scala migliore per l'adattamento climatico. Come spiega Francesca Giordano, responsabile Ispra per l'adattamento climatico: «La sfida si gioca sulle città, le aree urbane sono sia causa del cambiamento climatico che uno dei suoi principali target». La profondità di campo per innescare una riscossa è però più ampia dei cinque anni del mandato amministrativo, bisogna ragionare a lungo termine e «saper accettare», come spiega Filpa, «che quello che si fa oggi potrebbe essere raccolto da qualcun altro». Impossibile in una città nella quale gli ultimi tre sindaci appartenevano a schieramenti incomunicabili. E i problemi si sono accumulati, di mandato in mandato.

Più che un tema monolitico, il cambiamento climatico è una lente attraverso cui guardare tutti gli aspetti di una città. Chi se ne occupa sollecita innanzitutto innovazione amministrativa: non serve un commissario al clima, ma coordinamento orizzontale, trasversale alla macchina pubblica e agli assessorati. Trasporti, patrimonio culturale, casa, edilizia, rifiuti: ogni problema è anche un problema ambientale. L'acqua, innanzitutto. causata dalle precipitazioni violente e irregolari degli ultimi anni: + 194 millimetri in media su Roma rispetto alle serie storiche. L'impatto della pioggia è strettamente collegato all'altro grande problema ecologico: il consumo di suolo. Secondo i dati Ispra, nel 2019 nella capitale sono stati consumati 108 ettari di suolo, una superficie pari a 200 campi da calcio, contro i 91 nell’anno precedente e più che in tutti gli altri diciannove capoluoghi di regione messi insieme. A Roma si continua a costruire e il fronte del nuovo stadio non migliorerà la situazione: il progetto di Tor di Valle, attualmente bloccato con la nuova società in cerca di alternative, prevedeva l'uso di 125 ettari. Il consumo di suolo amplifica l'effetto delle piogge perché porta all'impermeabilizzazione, l'acqua che arriva dall'alto non può essere assorbita e questo causa i continui allagamenti cittadini, con i devastanti effetti sui servizi.

Monitoraggio

Tutta questa fragilità si scarica sul trasporto pubblico, indebolito dai problemi amministrativi e politici ma anche pensato per un altro clima. Il rapporto di Legambiente contiene il catalogo delle interruzioni gravi causate dal meteo nell'ultimo decennio. Appartengono alla biografia di ogni romano, la prima a ottobre del 2010, un nubifragio fece chiudere entrambe le linee della metropolitana. Da allora non è passato anno senza blocchi. «Basterebbero interventi banali, in tutta Europa le fermate della metropolitana sono coperte, a Roma sono dei pozzi a cielo a aperto, quando piove sono destinate a trasformare i tunnel in fiumi», spiega Zanchini, che aggiunge: «Per l'adattamento serve manutenzione, per la manutenzione serve monitoraggio». Quest'ultimo è un tema che Lorenzo Barbieri, ricercatore in urbanistica di Roma Tre, conosce bene. La sua tesi di dottorato era uno studio sugli effetti degli eventi atmosferici sui mezzi di superficie, fatto analizzando i fonogrammi tra autisti e la centrale del trasporto pubblico. Il risultato era la mappa di una ciclicità invisibile, punti critici dove ogni anno, allo stesso modo, il sistema si ferma. Come gli allagamenti della zona della Stazione Tiburtina, il cui blocco manda in crisi tantissime linee di trasporto pubblico. «I dati sono fondamentali per l'adattamento ed è un peccato che in tanti anni non ci sia stata una regia istituzionale nella loro raccolta, avere un quadro di quello che è successo nel passato aiuta a indirizzare interventi, finanziamenti e risorse».

Parallelamente al problema di una città bloccata ogni anno dall'acqua, c'è quello dell'accesso all'acqua. «La situazione romana in teoria sarebbe invidiabile, eppure nel 2017 siamo riusciti ad andare in crisi idrica», spiega Filpa. Quell'anno per non lasciare la città a secco fu necessario attingere in via straordinaria al Lago di Bracciano, causando quel tipo di conflitto tra esigenze d'uso (dissetiamo i romani o proteggiamo l'ecosistema del lago?) destinati a essere la norma in un paese nel quale la portata dei corsi d'acqua potrebbe ridursi del 40% nei prossimi decenni. Le estati bollenti sono l'altra faccia dei problemi climatici di Roma. Nel 2018 secondo Legambiente ci sono state 23 notti tropicali (temperatura superiore ai 20 gradi) in eccesso rispetto alle serie storiche, sono quelle a rendere la città così pericolosa per gli anziani, con la temperatura non si abbassa mai per giorni di fila. «L'aumento della temperatura e l'inquinamento sono la tempesta perfetta, il calore aumenta l'aggressività degli inquinanti nell'aria», spiega Filpa. La città è da cinque anni fuori dai parametri Oms per le polveri sottili e il biossido d'azoto.

Non c’è un piano di adattamento

Questo scenario Roma lo affronta senza essersi dotata di un Piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Nel 2018 la giunta ha presentato una Strategia di resilienza, elaborata dopo aver partecipato - unica città italiana - al bando 100 Resilient Cities della Fondazione Rockfeller. «È una una strategia interessante, ma non identifica ruoli, responsabilità e fonti di finanziamento», spiega Giordano di Ispra, «Un vero piano di adattamento ti permette di programmare a lungo termine, avere uno sguardo di qui ai prossimi cinquant'anni, investire soldi in modo intelligente. Il problema è che molti sindaci non si impegnano su progetti i cui vantaggi verranno percepiti tra decenni». A livello nazionale è andata in modo simile, nel 2016 è stata presentata una Strategia nazionale, sono partite le consultazioni per elaborare un piano vero e proprio, lo strumento cardine per individuare criticità e misure, ma il lavoro non è stato ancora portato a termine. Secondo Filpa «il problema è che non si vede un livello amministrativo più consapevole di altri, ci vorrebbe un input forte dal Ministero dell'ambiente, occorreva fare formazione agli amministratori locali, far capire l'urgenza di un piano di adattamento per ogni città». Ormai non è più questione di prepararsi al futuro, ma di affrontare il presente.  «La rigenerazione urbana è un'occasione grandissima per recuperare territori in difficoltà, integrando politiche di adattamento nella riqualificazione della città», conclude Giordano. È questo il salto che servirà nella prossima amministrazione, capire che non è solo una necessità ma anche un'opportunità. 

© Riproduzione riservata