Il Sole si scatenò il 30 gennaio 2022. Dalla superficie partì un enorme getto di particelle che dopo pochi giorni raggiunse la Terra. Gli osservatori classificarono quella tempesta di valore “uno” sulla scala che va da uno a cinque. E quindi non venne lanciato alcun allarme particolare. Eppure quando SpaceX, di lì a pochi giorni dall’evento, lanciò 49 satelliti della costellazione Internet Starlink nell’orbita terrestre bassa, ne vide ben 40 scontrarsi con un’atmosfera più densa del solito e precipitare a Terra.

Fu la dimostrazione che quel che gli astronomi chiamano Cme (Espulsione di massa coronale), ossia una violenta esplosione di materiale che dal Sole viene lanciato nello spazio, se raggiunge la Terra può causare seri danni tecnologici. Eppure l’esplosione di gennaio agli astronomi non suscitò particolare preoccupazione quando la videro formarsi sul Sole, ma evidentemente si sbagliavano.

Tutte le tempeste solari infatti possono riscaldare l’atmosfera terrestre facendola espandere e ciò può trascinare verso l’alto satelliti che si trovano a quote elevate o, se il flusso è intenso, spingere i satelliti più vicini alla Terra verso la superficie. Nel caso in questione tutte le osservazioni suggerivano che ci sarebbero state solo lievi conseguenze. Le reti elettriche e i satelliti avrebbero potuto presentare piccoli problemi, ma non al punto che satelliti in fase di posizionamento sarebbero precipitati a terra. Fortunato sarebbe stato chi si fosse trovato alle alte latitudini, dicevano i bollettini astronomici, perché avrebbe potuto osservare spettacolari aurore.

Qualcosa non andava

Ma almeno in quel caso le previsioni non furono precise. Subito dopo il lancio dei satelliti Starlink dal Kennedy Space Center della Florida, infatti, si capì che qualcosa non andava. Quando i satelliti raggiunsero l’atmosfera superiore della Terra, incontrarono una resistenza inaspettata da una forza esterna che impediva loro di salire di quota, e non ci volle molto a capire che il tutto era da correlare con la tempesta solare che stava dando effetti più gravi di quelli previsti.

Ma a quel punto non si poteva fare più nulla. Ai controllori non rimase che assistere alla caduta di ben 40 satelliti, uno dopo l’altro, che alla fine bruciarono nell’atmosfera. Una dimostrazione del potere di un capriccio del nostro Sole che ancora non conosciamo fino in fondo.

2 settembre 1859

Rispetto a ciò di cui è capace il Sole, la tempesta che ha interessato i satelliti di Starlink comunque è stata ben poca cosa. Per capire veramente cosa può fare la nostra stella, dobbiamo riportare l’orologio al 2 settembre 1859. Quel giorno, la Terra fu inghiottita da una gigantesca Cme. Enormi quantità di particelle cariche elettricamente vennero espulse dalla superficie del Sole che arrivando in prossimità della Terra travolsero la barriera che costantemente crea a loro il campo magnetico. 

Ma all’epoca nessuno sapeva cosa fosse una Cme, in quanto vennero identificate solo alla fine degli anni ’70. Quel che successe in quei giorni, dunque, nessuno poteva predirlo a partire dallo spettacolo che si osservò quasi ovunque: aurore boreali, prodotte dall’interazione delle particelle solari con i gas dell’atmosfera, riempirono i cieli notturni di gran parte del pianeta.

Il cielo si colorò di verde e di azzurro anche alle nostre latitudini. Il sistema telegrafico globale ebbe problemi a non finire. Si innescarono incendi in molti centri telegrafici, alcuni operatori rimasero storditi dal fenomeno, mentre le bussole si contorcevano a causa di un campo magnetico impazzito. Le comunicazioni globali rimasero bloccate.

Quella tempesta e le sue conseguenze sono oggi conosciute come l’“evento di Carrington” dal nome di Richard Carrington, l’astronomo britannico che testimoniò e descrisse l’evento. Da allora, per nostra fortuna, fenomeni simili non si sono più ripetuti, o meglio nessuna Cme avvenuta sul Sole di simile intensità si è diretta verso la Terra.

«Se avvenisse oggi potrebbe essere un vero dramma – dice Janathan Eastwood dell’Imperial College London che si occupa di meteorologia spaziale – perché dipendiamo molto di più di allora dall’elettricità e dalle reti tipo Internet che potrebbero saltare in tutto il mondo creando problemi inimmaginabili».

Le possibili conseguenze

Negli Stati Uniti, uno studio ha previsto blackout per circa 130 milioni di persone e ha affermato che il danno potrebbe richiedere fino a 10 anni per porre rimedio. Un altro studio condotto da ricercatori della Nuova Zelanda, afferma che un simile evento potrebbe causare una catastrofe globale. Le forniture di cibo infatti, potrebbero essere interrotte per settimane. Potrebbero verificarsi incidenti agli incroci stradali non più controllati da semafori e ovunque si potrebbero avere guasti alla rete ferroviaria. Le persone collegate ai sistemi di supporto vitale potrebbero morire e, in luoghi remoti, le persone che fanno affidamento sul Gps potrebbero perdersi. 

C’è anche la possibilità che una forte tempesta solare possa innescare un qualche tipo di evento violento, come avvenne con l’apparizione della cometa Hale-Bopp nel 1997, che portò 39 membri del culto di Heaven’s Gate a morire per suicidio. Negli ultimi anni si sono aggiunti nuovi rischi. 

La Nasa infatti ha in programma di inviare nuovamente astronauti sulla Luna e poi su Marte, dove non c’è campo magnetico a proteggerli. Per quegli astronauti, una forte tempesta solare potrebbe essere fatale. Dalla nostra parte, a nostra difesa però, vi è il fatto che satelliti preposti all’osservazione del Sole 24 ore su 24 sono in grado di catturare i brillamenti e conseguentemente di metterci in allarme per porre rimedio là dove è possibile. Ad esempio spegnendo tutto ciò che di elettronico non è indispensabile oppure facendo rivolgere le parti meno sensibili dei satelliti alla direzione del vento solare.

L’aereo invisibile

E allora dov’è il problema? Sta nel fatto che negli ultimi anni, i fisici solari hanno iniziato a sospettare che alcune Cme si sono avvicinate alla Terra di soppiatto, lanciandosi verso di noi senza un’esplosione o qualcosa del genere, facilmente osservabile, ossia senza alcun preavviso. Gli astronomi chiamano tali fenomeni Cme stealth, proprio come l’“aereo invisibile”.

L’anno scorso, ad esempio, una Cme colpì la Terra senza che gli astronomi avessero visto alcun evento scatenante. I ricercatori ipotizzarono di primo acchito che l’eruzione fosse avvenuta sul lato opposto del Sole e per questo non si ebbe modo di vedere cosa l’aveva scatenata. Ma di lì a poco ne fu osservata un’altra.

Era improbabile che anch’essa si fosse prodotta sulla faccia nascosta poco prima che quell’area ruotasse verso la Terra. Fu allora che vari ricercatori, tra i quali Jennifer O’Kane del Defence science and technology laboratory del governo britannico, iniziarono a chiedersi se non stesse succedendo qualcosa e, utilizzando missioni come il progetto Stereo (Solar terrestrial relations observatory) della Nasa, approfondirono la questione. 

Stereo

Lanciato nel 2006, Stereo è composto da due veicoli spaziali che si allontanarono dalla Terra in direzioni opposte: una verso est, l’altra verso ovest. Questo permette di studiare lo spazio tra il Sole e la Terra visto di lato. «È stato solo quando abbiamo ottenuto i dati da quei diversi punti di vista che i Cme stealth sono venuti alla luce», afferma O’Kane.

In primo luogo, era chiaro che le Cme esplosero sul lato del Sole rivolto verso la Terra e non su quello a noi nascosto. In secondo luogo, grazie a una visione stereo del fenomeno, è stato possibile ubicare la posizione precisa dove si erano scatenati. Fu presto chiaro che alcuni esplodevano senza alcun preavviso apparente o almeno fino ad allora conosciuto.

Durante il suo dottorato di ricerca presso il Mullard space science laboratory, University College London, O’Kane decise di capire se realmente i Cme stealth fossero davvero impossibili da rilevare studiando il Sole nelle lunghezze d’onda dell’ultravioletto. Il suo certosino lavoro le permise di trovare una macchia, o uno schema insolito, sulla superficie solare poco prima dell’esplosione. «C’era sempre qualcosa che indicava che forse stava per succedere un evento esplosivo», spiega O’Kane.

Ma il 19 aprile 2020, un Cme stealth ha attraversato il veicolo spaziale Solar Orbiter dell’Agenzia spaziale europea (Esa), ma questa volta la ricercatrice non trovò alcun segnale che preannunciata l’avviso di un’esplosione. Nulla. La sua testardaggine la portò ad approfondire come non aveva mai fatto le immagini di Stereo, finché intravide una struttura magnetica estremamente flebile che si sollevava delicatamente dal Sole e furtivamente viaggiava nello spazio. 

Rielaborando altre immagini, scoprì che la struttura esisteva da un po’. Sorse una domanda importante a cui dare risposta: «Cosa fece esplodere quella struttura?» dice O’Kane. «Al momento non lo sappiamo ancora. È un vero mistero». La ricercatrice ha ipotizzato che potrebbe esserci addirittura una fisica ancora sconosciuta che lavora dietro i Cme stealth. E non è l’unica a pensare in questo modo.

Nariaki Nitta del Lockheed Martin solar and astrophysics laboratory in California ha organizzato un gruppo di ricercatori attraverso l’International space science Institute in Svizzera per indagare se davvero la fisica che lancia le Cme stealth è diversa da quella che sta dietro alle Cme più normali. 

Recentemente ha reclutato nel suo gruppo anche O’Kane. La ricerca è di grande interesse perché perdite come quella dei satelliti di Starlink potrebbero aumentare in numero se non si sarà in grado di prevederle e se una Cme stealth come quella del 1859 dovesse prendere forma senza che nessuno se ne accorgesse prima del suo arrivo sulla Terra, le conseguenze potrebbero essere realmente catastrofiche.

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