La scorsa settimana le persone che abitano a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, hanno ricevuto una brochure illustrata dalla Solvay, ovvero l’attuale proprietaria dello stabilimento chimico che confina con le loro case, in cui l’azienda cerca di fare chiarezza. Innanzitutto sui problemi ambientali per cui al momento è sotto indagine della procura di Alessandria, e più in particolare sulla salute dei cittadini. Per farlo parla degli studi condotti da Arpa e Asl nel 2019 che cercavano di dare risposta alle domande: ci si ammala o si muore di più in prossimità del polo chimico?

Le scorrettezze di Solvay

Studi che Solvay dice essere stati condotti a scopo “descrittivo” e per questo motivo insufficienti a dimostrare una casualità tra l’incremento di un Pfas e l’incremento di determinate patologie ad esso correlato. La verità, scrive la multinazionale belga agli spinettesi, è che «non c’è nessuna prova che stabilisca come lo stabilimento rappresenti un reale pericolo per la salute e l’ambiente». 

Eppure secondo quanto riportato dagli studi in questione nel raggio di tre chilometri intorno allo stabilimento, ci sono stati degli aumenti di patologie correlate ai Pfas. In particolare per quanto riguarda l’apparato cardiovascolare e quello urinario, comunemente associati all’esposizione di questi composti. Al tempo l’Arpa utilizzando i dati di Asl aveva riscontrato nella popolazione di Spinetta aumenti della colesterolemia e dell'ipertensione che sono spesso associate a patologie cardiovascolari. Stessa cosa per quanto riguarda l'insufficienza renale e patologie correlate all’apparato urinario. Come dimostrano, ad esempio, gli aumenti fino al 70 per cento di alcuni tumori, come quello del rene.

«Alcune delle cose scritte in quel opuscolo sul nostro studio, non sono corrette», dice la dottoressa Cristiana Ivaldi di Arpa, autrice dello studio epidemiologico citato appunto da Solvay, «nel senso che si fanno affermazioni scientificamente errate». Ad esempio si legge nell’opuscolo come «gli studi evidenziano una distribuzione degli eccessi di rischio che appare diversa tra maschi e femmine. Questo elemento è un forte indicatore della non riconducibilità a fattori di rischio ambientale. Un'esposizione ambientale infatti dovrebbe produrre conseguenze simili, senza distinzione di genere». 

Tuttavia, come ha sottolineato anche il dottor Carlo Foresta dell'Istituto Superiore di Sanità, raggiunto per un commento, «in verità questo non è sempre vero, nel senso che questi composti non sono metabolizzati allo stesso modo. Ed è quello che è stato appunto riscontrato nello studio epidemiologico condotto nel 2019. Proprio i Pfas hanno una diversa modalità di essere assorbiti dall'organismo maschile e quello femminile». E quindi comportano un incremento di patologie diverse tra uomini e donne.

Il rischio è reale

Negli studi condotti, ribadisce la dottoressa Ivaldi, Arpa ha riscontrato incrementi di rischio statisticamente significativi e non semplicemente descrittivi, come invece affermato da Solvay nell’opuscolo. «Non è che l'epidemiologia è un'arte a cui ognuno dà il proprio significato. Se vedo che c’è un incremento di rischio del 50 per cento di una patologia, ed è statisticamente significativo, vuol dire quel l'incremento di rischio è reale», spiega Ivaldi.

Rischio che riguarda anche l’ambiente, per esempio, e più specificatamente l’acqua e non l’aria come invece viene detto ai cittadini di Spinetta. «Infatti non è un segreto che la falda sottostante l’impianto sia già inquinata», dice Stefano Polesello, ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). Il vero problema del composto prodotto in esclusiva della Solvay, il cC6O4, è che si muove in fretta, «come dimostrano anche le analisi di Arpa» svolte attraverso prelievi di terreno e di acqua di falda esterni all'azienda. Il cC604 si accumula non solo negli esseri umani ma anche negli animali. «Abbiamo trovato questo Pfas all’interno delle uova degli uccelli, il che vuol dire che è presente nel sangue delle madri arrivandoci attraverso l’alimentazione», spiega Polesello «è l’evidenza sospetta che di solito ci mette in allarme, ma servono ulteriori indagini». 

La necessità di monitorare

Serve un biomonitoraggio della popolazione di Spinetta e della provincia di Alessandria. Monitoraggio che verrebbe a costare due milioni di euro, e che tutti gli enti interessati, in particolare Arpa e Asl, vorrebbero realizzare. Ma di cui a oggi non si sa niente. Qualche tempo fa l’assessore all’ambiente della Regione Piemonte, Matteo Marnati, ha definito il progetto «non cantierabile».

Quello che però si sa per certo, invece, come ha detto bene Ivaldi, è che «questi opuscoli non aiutano». Secondo Ivaldi nel caso i cittadini di Spinetta saranno chiamati a partecipare su base volontaria alla sperimentazione, i messaggi rassicuranti ricevuti dall’azienda potrebbero scoraggiarli dal partecipare: «Il primo passo per capire cosa succede all’ambiente e alle persone intorno al polo chimico sarebbe accettare che il problema c’è ed esiste».

© Riproduzione riservata