Per otto anni la multinazionale chimica Solvay ha prodotto nello stabilimento di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, un particolare tipo di Pfas, il cC6O4, non solo senza avere alcun tipo di autorizzazione ma anche senza che l’amministrazione ne sapesse alcunché. Da quanto risulta infatti da un accesso agli atti, nonostante avesse iniziato a produrlo a partire dal 2013, come confermato dall’azienda stessa, non risulta però nessuna autorizzazione alla produzione da parte della provincia fino al 2019.

Più di un secolo

Quando il polo si insediò trasformò progressivamente tutta la zona, portando lavoro e benessere. In pochi anni infatti Spinetta Marengo passò dall’essere un insieme di cascine, che dipendevano da un’economia principalmente agricola, all’essere un piccolo paese industriale che cresceva in osmosi con la fabbrica. Di contro i limiti ambientali erano minimi, come racconta Luigi Gino Pozzi, manutentore per quarant’anni nella precedente dirigenza dello stabilimento, la Montedison, e cittadino di Spinetta, «quando ero bambino c'erano i gas che corrodevano le tende, le grondaie delle case, le calze delle ragazze. Era accettato non c'era nessun movimento politico che si opponesse. Anzi tutte le giunte comunali erano d’accordo. Il polo chimico portava ricchezza, benessere e in fondo non importava a quali condizioni». Sono quasi un centinaio d’anni infatti che il paese subisce l’inquinamento derivato dalle produzione dello stabilimento. Inquinamento accumulatosi con gli anni e certificato dall’indagine epidemiologica condotta sui cittadini di Spinetta da Arpa e Asl, in cui è stato dimostrato come in un raggio di tre chilometri dal polo chimico ci si ammali e si muoia molto di più che nel resto della provincia e della regione.

La svolta di Science

Il cC6O4 è un Pfas di nuova generazione, un composto intermedio che serve alla produzione di altri acidi perfluoroacrilici usati in genere per impermeabilizzare i tessuti, che è brevettato e prodotto esclusivamente dalla multinazionale belga. E a cui l’azienda tiene moltissimo perché lo considera meno dannoso, e quindi una valida alternativa commerciale ai più pericolosi Pfos e Pfoa, usati alla Miteni di Trissino in Veneto. La cui tossicità è stata riconosciuta anche dall’Unione europea.

Tuttavia recenti analisi suggeriscono che a fronte di un potenziale accumulo negli esseri viventi cinque volte inferiore del cC6O4 rispetto al più dannoso Pfoa, si rivelano comunque delle alterazione genetiche negli organismi, tra cui l’alterazione della risposta immunitaria, dello sviluppo del sistema nervoso e di quello limbico. Nel complesso, si legge nello studio pubblicato su Science, «le analisi suggeriscono che i rischi potenziali per l’organismo non sono ridotti sostituendo il Pfoa con il cC6O4».

A oggi Solvay ha smesso di produrre il cC6O4 nello stabilimento di Spinetta, almeno fino a quando non potrà garantire un rischio ambientale minimo. Così é stato stabilito dagli enti territoriali nelle scorse settimane, quando si è formalmente chiuso l'iter burocratico che ha contemporaneamente concesso alla Solvay un aumento della produzione del cC6O4. L’anno scorso infatti l’Arpa, con l’aiuto dei dati forniti dalla stessa azienda, ha rintracciato il composto brevettato dalla multinazionale belga al di fuori dello stabilimento. Ovvero al di fuori della barriera idraulica che venne costruita anni fa per bloccare la dispersione di cromo esavalente accumulato nel terreno. E per cui la Solvay è al momento sotto indagine da parte della Procura di Alessandria. Per questo motivo a fronte di un aumento della produzione, e «considerata la tossicità e la persistenza [del cC6O4] deve essere garantita l’assoluta tenuta della rete idrica e l’eliminazione delle perdite dovute non solo alla tubazione ma anche ad emissioni diffuse» si legge nel documento sottoscritto da Provincia, Comune, Arpa e Asl.

Tuttavia da quanto risulta da un accesso agli atti presso la Provincia di Alessandria, non c'è nessun riferimento al uso del cC6O4 da parte dell'azienda fino al 2019, quando venne iscritto per la prima volta nell’Autorizzazione Integrata Ambientale, o AIA. L’autorizzazione integrata è un documento che gli enti del territorio interessato alla produzione di sostanze potenzialmente pericolose, concedono perché l’inquinamento prodotto sia controllato e ogni tipo di pericolo ridotto al minimo. Si tratta di una procedura molto rigorosa introdotta in Italia nel 1996 e che prevede inoltre un rapporto di continuità tra enti e azienda. Quest’ultima ha infatti l’obbligo di comunicare ogni tipo di modifica nella produzione. In particolare ci sono due tipi di modifiche: sostanziali e non sostanziali, per le prime è necessario un ulteriore controllo dopo la comunicazione agli enti territoriali, mentre per le seconde basta una semplice comunicazione. Quando nel gennaio 2019 la Solvay comunicò alla provincia l’uso e la produzione del cC6O4 lo fece introducendo una modifica non sostanziale all’interno dell’Aia concessa all’azienda nel 2010.

La modifica venne poi trasformata in sostanziale dalla provincia, che «a seguito della lettura della documentazione tecnica», si legge negli atti, decise di convocare una prima conferenza unificata degli enti esattamente un mese dopo, nel febbraio del 2019. A cui ne seguì un’altra a maggio, dopo la quale venne stabilito che le modifiche presentate «necessitavano di ulteriori approfondimenti e dovevano essere considerate nella loro globalità». Tant’è che la modifica prima presente sotto la dicitura «produzione e uso», con cui l’azienda annunciava la produzione del cC6O4, diventa nel luglio del 2019 una modifica sostanziale per estensione della produzione. Prima di allora non c'è alcuna traccia di questo composto nella documentazione ufficiale, nonostante la produzione fosse iniziata otto anni prima. Alla presentazione dell’istanza di accesso agli atti infatti sono state richieste anche le modifiche sostanziali fatte dalla Solvay a partire dal 2010. Tuttavia non essendo state incluse nella documentazione ricevuta, è molto probabile che non ce ne siano state.

«La produzione di cC6O4 è iniziata nel 2013 in seguito all’iter organizzativo che ha visto coinvolti gli enti competenti», ha dichiarato la Solvay raggiunta per un commento. La multinazionale belga ha inoltre ribadito come «l’introduzione del nuovo composto facesse parte del programma internazionale (EPA-PFOA Stewardship Program) che prevedeva l'eliminazione dell'uso di PFOA entro il 2015». Lo stesso sostiene l'attuale  responsabile ambiente della provincia di Alessandria, Claudio Coffano.

Claudio Lombardi, ex assessore all’ambiente del comune di Alessandria, che era in carica durante l’intero processo di dismissione, invece smentisce questa versione. «Tutte le autorità competenti - lui incluso - sapevano che la Solvay nel 2013 avesse dismesso il Pfoa, ma nessuno sapeva con che cosa esattamente». 

L’autorizzazione è stata concessa invece alcune settimane fa, e  nonostante riguardi testualmente «l’ampliamento della produzione del cC6O4» include anche altri composti. In particolare l’autorizzazione fa riferimento all’azzeramento della produzione di un altro Pfas l’ADV 7800, trovato recentemente da Arpa nel terreno di Spinetta. Pfas prodotto dalla Solvay nonostante - anche qui - la produzione non risulti essere mai stata approvata dalla provincia. E che ora «viene “condonato”, dice la presidente a patto che il suo utilizzo venga “monitorato” e si riduca gradualmente fino a cessare nel 2025». L’Adv 7800 viene spesso paragonato per effetti su persone e ambiente ai Pfoa e Pfos, tuttavia le informazioni a riguardo sono molto scarse perché tenute segrete per motivi di proprietà intellettuale.

A fronte dell’ampliamento della produzione di cC6O4 a sessanta tonnellate, sono stati previsti dei limiti per la concentrazione di questo composto nell’acqua e in particolare nel fiume limitrofo allo stabilimento, il Bormida. I limiti prescritti dagli enti territoriali oscillano tra gli  0,3 microgrammi per litro come valore obiettivo dato all’azienda per il prossimo anno, e i sette microgrammi per litro come valore massimo tollerato. Tuttavia essendo un composto relativamente nuovo ogni limite é indicativo, perché non è ancora stato stabilito in che dosi sia nocivo per l’uomo. Stando però a quanto afferma l’associazione medici per l’ambiente del Veneto «il concetto di limite non è applicabile a queste sostanze». Perché per quanto basso possa essere, la loro emissione provocherà danni all’ambiente e all’uomo per decenni, in quanto sostanze non biodegradabili e accumulabili nell’ambiente e negli organismi. «Per questo motivo», dice l’Isde, «l’unico limite razionale dovrebbe essere zero».

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