Le aziende più grandi nel settore dei combustibili fossili ci devono 209 miliardi di dollari all’anno in risarcimenti climatici. Ed è una stima conservativa. È il frutto di una ricerca pubblicata su One Earth, alla quale ha partecipato un docente dell’Università Bicocca, Marco Grasso.

Lo studio ha quantificato i danni che saranno causati dai 21 grandi inquinatori climatici del mondo (Bp, Shell, ExxonMobil, Total, Saudi Aramco, Chevron) tra il 2025 e il 2050: 5.400 miliardi di dollari in siccità, incendi, fusione dei ghiacci, innalzamento del livello del mare, eventi estremi. È la prima volta che il danno finanziario dell’attività fossile viene quantificato in modo così esatto.

Il contesto di questo studio è il dibattito politico su chi dovrà mettere i soldi nel fondo danni e perdite, creato alla Cop27 in Egitto, che i paesi Onu hanno due anni per rendere operativo (saranno importanti anche i negoziati intermedi di giugno a Bonn). Una delle ipotesi porta proprio alle aziende fossili.

La stima

La metodologia scelta dallo studio per altro non prende in considerazione le vite perse, il collasso della biodiversità, la perdita di culture, l’abbassamento del benessere, e si basa solo su tutto quello che viene fotografato nel Pil di paesi e comunità colpite.

Quindi è una stima molto prudente. Però è un modo per legare in modo diretto dal punto di vista finanziario ed economico quello che le scienze fisiche sanno già da anni: a determinate emissioni di gas serra corrispondono determinati eventi estremi. Questi eventi hanno un impatto sul Pil.

Chi è responsabile di queste emissioni è responsabile anche di queste perdite. Questa è la logica. Queste riparazioni dei danni causati dalle 21 major fossili sarebbero comunque inferiori ai loro profitti, se prendiamo il 2022 (anno di crisi per quasi tutti, tranne che per chi vendeva energia).

Secondo la ricerca, Saudi Aramco dovrebbe per esempio pagare 43 miliardi di dollari all’anno per i danni causati dalle sue emissioni: è un quarto dei profitti del 2022. ExxonMobil dovrebbe pagare 18 miliardi di dollari, contro 56 miliardi di dollari di profitti nel 2022. E così via.

Comportamenti mafiosi

Intanto, è interessante la strategia legale scelta da una piccola città del New Jersey, Stati Uniti, Hoboken, famosa soprattutto perché qui si è tenuta la prima partita di baseball della storia.

La geografia di Hoboken la rende particolarmente vulnerabile alle alluvioni, e questo ha richiesto degli altissimi costi (nell’ordine di centinaia di milioni di dollari) per mettere in sicurezza le infrastrutture.

Le istituzioni cittadine hanno deciso di fare causa a Exxon, Chevron e altre grandi aziende petrolifere Usa per far pagare loro queste ricostruzioni, portandole in tribunale tre anni fa.

Sembrava un contenzioso climatico come tanti (negli Usa ce ne sono tantissimi), ma gli avvocati di Hoboken hanno scelto una strategia diversa. Non contestano più solo la violazione delle norme a tutela dei consumatori ma hanno deciso di tirare in ballo una legge chiamata Rico, cioè Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act. Una legge anti mafia.

Hanno accusato le major del petrolio di essersi comportate come un’associazione a delinquere di stampo mafioso, per usare una terminologia italiana.

Perché conoscevano i danni che avrebbero causato, e hanno fatto cartello per nasconderli al pubblico e lasciare indisturbato lo status quo, con la creazione del Group Climate Coalition nel 1989 da parte dell’American Petroleum Institute.

Il Rico è stato già usato in passato, e con successo, contro Philip Morris e durante la crisi degli oppiacei. È la seconda contestazione di questo tipo alle aziende del petrolio fatta negli Usa, la prima veniva da Porto Rico, territorio devastato dagli uragani Irma e Maria.

In quel caso le città portoricane chiedevano il risarcimento dei danni e non il costo delle infrastrutture. «Ci hanno paradossalmente reso le cose facili», ha detto a Grist Melissa Sims, avvocata della causa di Porto Rico, «Perché nessuna altra organizzazione mafiosa ha messo nero su bianco un piano di battaglia su come avrebbero ingannato il pubblico».

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