Il 28 ottobre per Rio de Janeiro è stato il giorno dell’Operazione Containment, la retata più letale della storia brasiliana, condotta contro il clan del narcotraffico Comando Vermelho: 32 veicoli blindati e 2500 agenti di polizia sguinzagliati nelle favelas collinari di Penha e Alemao, con il mandato di sparare a chiunque scappasse, a chiunque apparisse sospetto. Più morti che arrestati, il conteggio è aumentato per giorni, siamo a 138. Gli arrestati sono 113, i fucili confiscati 93.

Ore di spari e inseguimenti per le vie delle favelas e in mezzo alla vegetazione della Serra da Misericordia, prima che tornasse la quiete e si contassero le vittime. I cadaveri sono stati man mano radunati dagli abitanti del posto uno accanto all’altro perché potessero essere riconosciuti: c’è voluto tempo per trovarli tutti, i giornali locali riportano le testimonianze di madri e sorelle che hanno passato giornate intere a cercare i propri figli e fratelli negli ospedali e in questura.

Il governatore di Rio de Janeiro, il bolsonarista Cláudio Castro, mandante del blitz, è comparso poche ore prima che finisse l’operazione, soddisfatto della carneficina, raccontandolo alla popolazione e ai media come un colpo esemplare alla criminalità organizzata. Venerdì 31 migliaia di manifestanti si sono riuniti per le strade della favela per protestare contro politiche securitarie che stanno trasformando i quartieri popolari in “zone di guerra”. Chiedevano le dimissioni di Castro e brandivano uno striscione: “Favela Lives Matter”, a ricordare che sono sempre certe vite a essere considerate sacrificabili.

La Cop30 sullo sfondo

Tutto questo avviene a meno di due settimane dalla Cop30, quella che in qualche modo chiude un cerchio, a dieci anni dagli Accordi di Parigi: delicatissima, necessariamente deludente, in un Brasile contraddittorio, che protegge la foresta Amazzonica e investe miliardi in nuove estrazioni petrolifere, e allo stesso tempo una Cop che si svolge finalmente una democrazia, finalmente non in un petrostato, nel Brasile di Inácio Lula da Silva, che nel 2023 aveva rivinto le elezioni dopo anni di carcere acclamato come presidente del popolo e guida dell’ecologismo globale. Gli occhi del mondo sono puntati sul Brasile.

Comincerà a Belem il 10 novembre ma avrà la sua apertura ufficiale proprio in questa Rio de Janeiro insanguinata, fra il 3 e il 5 novembre, con il Local Leaders Forum: un evento co-organizzato dalla Presidenza della Cop30 e dalla Bloomberg Philanthropies, sotto la guida dell’inviato speciale dell’Onu per l’ambizione climatica Michael R. Bloomberg. Parteciperanno network globali di governi locali e regionali, come la Under2 Coalition, il Global Covenant of Mayors for Climate & Energy, il Forum of Amazonian Cities e il C40 World Mayors Summit, che riunisce i sindaci delle quasi 100 città della rete C40 e apre ufficialmente il Forum stesso.

«Il nostro obiettivo, in apertura alla Cop, è mostrare che a livello locale sta già accadendo molto, l’azione per il clima è concreta e in corso. Vogliamo dare un messaggio di ambizione e di positività: in un mondo che sembra cadere a pezzi, la speranza arriva dalle città e dai territori, dove le emissioni si riducono più in fretta e migliora la qualità dell’aria. Ma serve anche la volontà di continuare e mantenere credibilità. Chiediamo alla Cop, quindi alla cooperazione internazionale e agli stati, di fare lo stesso» racconta Caterina Sarfatti, Amministratrice Delegata all’Inclusione e la Leadership Globale in C40.

Il sindaco di Rio 

Per la politica brasiliana sarà un momento molto significativo e non ci si immaginava certo di affrontarlo all’indomani di una strage: a Rio stanno arrivando sindaci, governatori e ministri da ogni parte del mondo, probabilmente parteciperà anche Lula. E in questo contesto, in cui i sindaci del mondo si prenderanno la responsabilità anche simbolica di aprire questa delicatissima Cop30 spronandola alla concretezza, inevitabilmente il protagonista sarà il sindaco di Rio, Eudardo Paes.

Paes è membro di C40 ed è il sindaco più longevo della storia della città: due mandati nel 2009 e nel 2012, ora al terzo, ha cominciato la sua carriera politica nei verdi, poi è stato nel partito laburista e ora fa parte del Partito Social Democratico, un partito di centro ma sostenuto da Lula. È amato dai cittadini e fortemente inviso al governatore bolsonarista Cláudio Castro per le sue politiche che puntano un po’ più all’integrazione e molto meno alla sicurezza e alla militarizzazione. Inutile dire che Castro non aveva avvertito il sindaco della sua operazione: Paes non ne sapeva nulla, e anche Lula il giorno dopo si è detto costernato.

E infatti per le strade di Rio e su molti giornali, dal Pais alla CNN spagnola, la notizia rimbalza: sarà un caso? Sarà un caso che la retata più letale della storia del Brasile sia arrivata una settimana prima del Local Leaders Forum e del summit di C40?

In molti dicono di no: «È consuetudine che la polizia conduca operazioni su larga scala contro i gruppi criminali prima di eventi importanti nella città, che è stata una delle sedi dei Mondiali di calcio 2014, ha ospitato le Olimpiadi del 2016, il vertice del G20 del 2024 e il vertice dei BRICS a luglio» scrive Cnn. Non per “ripulire” la città ma per mostrarla pericolosa e ferita – mai così ferita come oggi. Sembra un modo per screditare Paes e il suo controllo sulla città e sul narcotraffico.

La Cop30 si annuncia come un momento complesso, in cui cambiano gli equilibri globali attorno alla transizione energetica, si trasformano le narrazioni, i protagonisti e le priorità. E proprio per questo quanto mai importante. L’attacco bolsonarista a Rio suona almeno come un monito sinistro. Intanto, poco lontano, lo stesso Donald Trump che ha fatto uscire gli Usa da ogni accordo sul clima che fosse possibile abbandonare, minaccia una guerra, anche lui con la scusa del narcotraffico.

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