Tra i paesi in via di sviluppo più vulnerabili ai cambiamenti climatici, 58 hanno oltre 500 miliardi di dollari di debiti in scadenza nei prossimi tre anni. I paesi più impoveriti – come riporta il sito The Republic - in media, spendono fino al 40 percento delle loro entrate per ripagare il debito.

Di fatto, tra il 2015 e il 2017, circa la metà dei paesi africani aveva un rapporto debito/PIL superiore al 50 percento. Nel Sud globale, sono molti gli stati che stanno considerando con sempre maggiore insistenza di ricorrere al meccanismo noto come debt-for-nature swaps (riduzione del debito in cambio di investimenti ambientali), il metodo lanciato per la prima volta dal Wwf sul finire degli anni Ottanta che mira ad affrontare da un parte la questione dell'indebitamento dei paesi impoveriti e dall’altra liberare fondi ed energie per contrastare gli effetti deleteri che la mancanza di investimenti adeguati ha sull'ambiente.

In quei tempi, specie tra i paesi dell’America Latina gravemente indebitati, si poneva con urgenza il tema delle forti riduzioni della capacità di conservazione dell’ecosistema e si cercavano soluzioni che potessero calmierare il debito e promuovere politiche ambientali.

Il finanziamento previsto dal debt-for-nature swap è in genere un accordo tra i creditori, il governo del paese debitore e le organizzazioni ambientaliste che utilizzano i fondi. In altre parole si tratta di remissioni del debito che consistono in una rinunzia parziale o totale del credito da parte del creditore previo impegno del paese indebitato a investire in fondi liberati, in campo ambientale.

I casi

Col tempo il concetto iniziale ha subito trasformazioni legate a scelte politiche così come all’aumento del fenomeno del riscaldamento globale quasi interamente generato da paesi che figurano come creditori a scapito di paesi debitori che, al contrario, ne sono responsabili in minima parte.

Il metodo conserva una sua attrazione: lo scorso maggio, l'Ecuador ha concluso il più grande accordo di questo tipo, rifinanziando 1,6 miliardi di dollari del suo debito, in cambio di un flusso costante di entrate per la conservazione delle isole Galápagos. Il 14 agosto il Gabon ha completato uno swap da 500 milioni di dollari per rifinanziare una piccola parte del suo debito e bloccare i fondi per la conservazione dell'ambiente marino.

Le Barbados hanno concluso un accordo di 150 milioni di dollari nel 2021 mentre lo scorso gennaio il Portogallo e la sua ex colonia Capo Verde hanno siglato un accordo debt-for-nature che converte una parte del debito in una risorsa per finanziare investimenti per la lotta al cambiamento climatico. Lo Sri Lanka ci sta pensando. Secondo Bloomberg, il mercato dei debt-for-nature swaps è destinato a superare gli 800 miliardi di dollari, provocando una forte concorrenza tra banche a causa dell'aumento della domanda di investimenti verdi.

«In genere – spiega al Guardian Slav Gatchev, direttore generale del debito sostenibile per la Nature Conservancy, un ente spesso coinvolto nella facilitazione degli accordi – i paesi si rivolgono a noi perché hanno visto che questi swap possono essere fatti su scala. È possibile risolvere i vincoli di liquidità prima che diventino problemi di solvibilità e, grazie al nostro ruolo di organizzazione per la conservazione, possiamo essere un onesto intermediario quando si tratta di attuare questi programmi sul campo».

Non mancano, però, le critiche. Alcuni detrattori mettono in guardia da presunti greenwashing e hanno criticato gli accordi anche perché le banche spesso percepiscono grandi commissioni. Come sottolinea Agenda digitale, poi, dopo aver elencato una serie di ‘pro’ degli swap, spesso succede che «siano posti in essere con stati che sono già in difficoltà con le restituzioni. Il semplice cambio di destinazione delle risorse, ove non accompagnato da liberazioni assolute, lascia in difficoltà lo stato stesso che si vedrà costretto a risparmiare su altri settori essenziali».

Per quanto possa essere controverso, il meccanismo, uno dei punti all’ordine del giorno della Cop 28, è un tentativo di raggiungere quella giustizia climatica che tanto serve al mondo, a partire dai paesi più impoveriti. Quelli più ricchi e responsabili della crisi climatica sono chiamati a sforzi molto maggiori. Come sostiene The Republic «sono perfettamente in grado di mettere a disposizione ingenti somme quando lo decidono, come nel caso del sostegno dell'Occidente all'Ucraina nel conflitto in corso».

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